Con la compressione di molti diritti fondamentali (movimento, riunione), l’emergenza Covid-19 ha portato in diversi Paesi del mondo a una limitazione del diritto di accesso ai dati (Foia) e alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni.
Si va dalla sospensione brasiliana che ha suscitato le proteste di oltre 70 ONG locali, allarmate dalla sua durata indefinita, al differimento dei termini di risposta alle richieste, misura presa in Spagna, in Scozia e in molti altri Paesi.
L’Italia non ha fatto eccezione: il decreto legge Cura Italia dello scorso 17 marzo (D. L. 18/2020) ha sancito una sospensione temporanea delle richieste di accesso che non abbiano un “carattere di indifferibilità e di urgenza”, limitando di fatto quel controllo generalizzato dell’attività del governo e della pubblica amministrazione che la battaglia per il FOIA aveva reso possibile, garantendo a tutti l’accesso ai documenti pubblici e ribaltando un paradigma che sembrava duro a morire di un’amministrazione trasparente “per concessione”, solita a delimitare quali atti e documenti potessero essere resi pubblici.
Le limitazioni alla trasparenza pubblica possono essere accettabili solo a patto che siano temporanee e che non si protraggano oltre il 31 maggio, termine previsto dal decreto Cura Italia per le misure di estrema urgenza. I provvedimenti assunti per contenere l’avanzata dell’epidemia di Covid-19 che hanno costretto a casa molti di noi valgono anche per i dipendenti pubblici i quali, pur lavorando da remoto, non potrebbero essere in grado di ricercare negli archivi cartacei delle amministrazioni i documenti richiesti e non potrebbero di conseguenza fornire risposte tempestive rispettando il limite dei 30 giorni stabiliti dalla legge.
Il decreto del 17 marzo stabilisce però che, qualora le richieste di accesso avessero un carattere indifferibile e urgente, le risposte andrebbero in ogni caso garantite anche in questa fase “eccezionale” vissuta da tutto il Paese, compresa la sua burocrazia.
L’importanza del diritto all’informazione
Sebbene la formula vaga si presti a eccessiva discrezionalità, possiamo augurarci che le richieste di accesso di chi oggi voglia conoscere scelte e operato delle amministrazioni direttamente coinvolte nella gestione dell’emergenza sanitaria vengano evase. Garantendo, di fatto, un altro diritto fondamentale che – soprattutto nel corso di un evento straordinario come la drammatica pandemia – andrebbe da tutti difeso: quello all’informazione. L’auspicio è perciò che i giornalisti abbiano la possibilità di compiere tutte le indagini utili richiedendo al governo, alle regioni, ai ministeri e agli enti preposti alla gestione dell’emergenza Covid-19 di acquisire informazioni e dati affidabili e aggiornati sulle decisioni compiute in queste settimane.
L’operato dei nostri politici e funzionari pubblici si misurerà anche sulla base della tempestività e della trasparenza con cui saranno in grado di informare e rendere conto delle azioni intraprese. A fronte perciò di una limitazione temporanea del diritto di accesso, si potrebbe chiedere un maggiore sforzo nella pubblicazione proattiva di tutte le informazioni utili a decifrare meglio l’emergenza. Su questo fronte, l’associazione On Data ha chiesto (e ottenuto) dalla Protezione Civile di rendere accessibili e riutilizzabili (in formato aperto) sia i dati relativi alle infezioni e alle demografia clinica, sia quelli sui contributi economici concessi ai Comuni.
Il fronte dei ricercatori, poi, ha chiesto una tempestiva pubblicazione di dati che rendano più facilmente analizzabile la diffusione del contagio e aiutino, perciò, una risposta proattiva e non reattiva. I dati sanitari sono oggi in larga parte detenuti dalle regioni che faticano – forse anche a causa dell’emergenza – a pubblicarli.
Una regia nazionale unica per la gestione dei dati
Il messaggio da parte degli epidemiologi è chiaro: serve una regia unica nazionale nella gestione dei dati necessari a conoscere meglio la diffusione del virus e a poterne prevenire l’espansione. Tanto più se l’Italia, come confermato dal ministro della Salute Speranza, sta mettendo in cantiere una app che permetta un tracciamento digitale dei contagiati e aiuti a costruire database relativo allo stato di avanzamento di Covid-19 in Italia. A tal riguardo, The Good Lobby e Hermes Center hanno chiesto alla ministra per l’Innovazione Paola Pisano che la app di contact tracing a cui si sta lavorando sia all’insegna della massima trasparenza e che si avvalga di un software libero, il solo che permetta alla comunità di valutare in che modo siamo sorvegliati e di comprendere perciò come vengono usati i nostri dati, scongiurando il rischio che ne venga fatto un uso sproporzionato alle necessità contingenti.
Molto di più, inoltre, potrebbe essere fatto per rendere più trasparenti e tracciabili acquisti e consegne delle attrezzature mediche e sanitarie indispensabili per affrontare l’emergenza epidemica fornendo così informazioni tracciabili e verificabili come già stanno facendo altri Paesi. Open Contracting Partnership, un’organizzazione internazionale che collabora con i governi di molti Stati aiutandoli a rendere la procedura degli acquisti pubblici trasparente secondo standard di apertura e chiarezza digitale, ha pubblicato sul proprio sito raccomandazioni molto utili a cui il nostro Paese – così toccato dalla diffusione del Covid-19 e allo stesso tempo tutt’altro che impermeabile al rischio di corruzione nella sua catena di approvvigionamento – potrebbe cercare di ispirarsi. La Colombia e l’Ucraina stanno seguendo protocolli molto rigidi in queste settimane pubblicando in formati accessibili a tutti i dati sui loro acquisti sanitari e medici. Dimostrando che, anche in piena emergenza, la trasparenza può essere un ottimo antidoto per fronteggiare la sfiducia dei cittadini e il pericolo di illegalità che più facilmente può insinuarsi nelle procedure urgenti.
Federico Anghelé, direttore The Good Lobby