Lo scorso 22 marzo l’Ocse ha posto in consultazione il documento “Crypto-Asset Reporting Framework” (“CARF”), contenente una proposta di regolamentazione volta a implementare lo scambio di informazioni tra gli intermediari coinvolti nella circolazione di cripto-attività e le amministrazioni fiscali nazionali, fornendo al contempo uno standard internazionale per la raccolta e lo scambio automatico dei dati.
La nuova proposta di regolamentazione posta in consultazione nasce su richiesta del G20 e si giustifica in ragione della presa d’atto da parte delle autorità internazionali del sempre crescente utilizzo delle criptovalute negli ultimi anni e dal fatto che investimenti ed attività finanziarie sono oggigiorno spesso effettuati attraverso cripto-attività.
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Contrariamente ai prodotti finanziari tradizionali, le cripto-attività possono essere trasferite e detenute senza l’intervento di intermediari finanziari tradizionali e senza che alcun amministratore centrale abbia piena visibilità sulle transazioni effettuate o sulle partecipazioni in cripto-attività detenute.
Il pericolo che la proposta di regolamentazione mira, dunque, a contrastare è quello per cui le cripto-attività potrebbero essere sfruttate per minare le iniziative internazionali di trasparenza fiscale esistenti.
La proposta di regolamentazione relativa al CARF
La proposta di regolamentazione relativa al CARF ruota intorno ad alcuni elementi chiave: l’ambito dei Crypto-Asset da coprire, gli intermediari soggetti alla raccolta dei dati e agli obblighi di segnalazione, le transazioni soggette a segnalazione, così come le informazioni da segnalare in relazione a tali transazioni e le procedure di due diligence necessarie per identificare gli utenti dei Crypto-Asset e le giurisdizioni fiscali pertinenti ai fini della segnalazione.
Va innanzitutto fatta chiarezza sull’ambito di applicazione soggettiva della proposta CARF. Gli obblighi informativi riguardano infatti crypto-asset che possono essere detenuti e trasferiti in modo decentralizzato, senza l’intervento di intermediari finanziari tradizionali (relevant crypto-asset), con conseguente esclusione delle valute digitali emesse dalle Banche centrali e delle critpo-attività “a circuito chiuso”, mentre destinatari degli obblighi di comunicazione dei dati all’Agenzia delle Entrate sono i soggetti, persone fisiche o giuridiche, che forniscono servizi di scambio, a livello professionale, tra criptovalute o tra critpo-attività e valute tradizionali. Il documento definisce anche le tipologie di dati che andranno raccolti e comunicati.
Le altre proposte Ocse
Parallelamente alla proposta CARF, l’Ocse ha formulato altre proposte nell’ambito di una prima revisione globale del Common Reporting Standard (CRS) il sistema automatico multilaterale di scambio di informazioni ai fini fiscali cui hanno aderito oltre 100 paesi.
Di fatto il CRS, introdotto nel 2014, costituisce uno strumento centralizzato per garantire la trasparenza sugli investimenti finanziari transfrontalieri e per combattere l’evasione fiscale offshore. Permette infatti alle singole giurisdizioni di ottenere informazioni sulle attività offshore detenute presso istituti finanziari e di scambiarle automaticamente, su base annuale, con le Autorità di residenza dei contribuenti.
Il limite principale del CRS
Il limite principale del CRS consiste nel fatto che le crypto-assets, nella maggior parte dei casi, non rientrano nell’ambito comunicativo del CRS, la cui applicazione riguarda esclusivamente le attività finanziarie tradizionali e le valute.
Per far fronte a questo vuoto regolamentare, l’Ocse propone di estendere il campo di applicazione del CRS, a seguito dello sviluppo del CARF, ai nuovi prodotti finanziari digitali (talune monete elettroniche e valute digitali create dalle banche centrali) attraverso l’introduzione di modifiche volte a disciplinare gli investimenti indiretti in crypto-assets tramite veicoli specifici di investimento e derivati nonché l’introduzione di nuove disposizioni che garantiscano l’efficiente interazione tra il CRS e il CARF, in particolare per limitare i casi di segnalazioni duplicate. La proposta di modifica del CRS contiene anche l’introduzione di nuove disposizioni volte ad apportare un miglioramento delle procedure di due diligence, al fine di aumentare l’utilizzo delle informazioni relative al CRS per le Amministrazioni fiscali e limitare gli oneri per le istituzioni finanziarie.
La proposta di regolamentazione CARF e la proposta di modifica del CRS fanno seguito e completano il pacchetto di iniziative legislative poste in essere dalle autorità europee di cui la proposta di regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets) costituisce forse l’iniziativa principale.
L’obiettivo di MiCA è di stabilire norme uniformi in relazione agli obblighi di trasparenza e informativa per l’emissione e l’ammissione alla negoziazione di cripto-attività, l’autorizzazione e la vigilanza dei fornitori di servizi; la gestione, l’organizzazione e la governance degli emittenti di ART, di EMT e dei fornitori di servizi per le cripto-attività, oltre disposizioni a tutela dei consumatori e misure volte a prevenire gli abusi di mercato per garantire l’integrità dei mercati delle cripto-attività. La normativa non si applicherà alle cripto-attività che rientrano nella definizione di strumenti finanziari, moneta elettronica, depositi o cartolarizzazioni ai sensi della normativa europea già esistente.
Cripto-attività, la situazione regolamentare in Italia
Se dunque questo è lo stato dell’arte a livello europeo in tema di regolamentazione del mercato dei cripto-assets vediamo di analizzare qual è la situazione in Italia.
A livello generale si può affermare che al dinamismo dell’Unione Europea non fa eccezione l’Italia, che si è sin qui dimostrata tra i Paesi più attenti alle dinamiche di questo nuovo mercato. Basti ricordare in questa sede come proprio il Legislatore italiano, per primo tra i legislatori dell’Unione, abbia sentito l’urgenza di anticipare (con il D.lgs. n. 90 del 25 maggio 2017, modificativo del D.lgs. 231/2007) parte della disciplina in materia di crypto-asset contenuta della V Direttiva Antiriciclaggio (Direttiva (UE) 2018/843).
L’iniziativa della Consob
Menzione particolare merita anche l’iniziativa della Consob che nel gennaio 2020 ha pubblicato un articolato Rapporto a proposito delle “Offerte iniziali e gli scambi di criptoattività”. In tale Rapporto, la Consob chiarisce che il fenomeno delle criptovalute deve essere anzitutto analizzato alla luce della normativa esistente, tant’è che la qualificazione giuridica dei token (già in circolazione o di futura emissione) deve essere verificata seguendo la ormai condivisa ripartizione tra security, payment e utility token e considerando le possibili combinazioni di queste due tipologie (c.d. token “ibridi”). Dalla riconduzione dei token all’una o all’altra delle categorie sopra richiamate può conseguire – sempre secondo la Consob – l’applicazione agli stessi delle discipline in materia di servizi di pagamento, di raccolta del risparmio e offerte pubbliche, di crowdfunding e di servizi d’investimento. Per sistemi come quello italiano la categoria del “prodotto finanziario” è dunque molto ampia e flessibile, perciò capace di intercettare un numero estremamente vasto di casi.
L’iniziativa della Consob non ha però ancora portato alla adozione di una disciplina dedicata a livello nazionale, probabilmente frenata dalla Proposta della Commissione europea riguardante il Regolamento MiCA.
L’importanza di un’azione coordinata a livello sovranazionale
In effetti la prudenza della Consob – come del resto quella di altre autorità regolamentari nazionali – si spiega come diretta conseguenza dell’importanza di un’azione coordinata a livello sovranazionale, soprattutto sul piano della regolamentazione di nuovi mercati. Si allude in particolare al rischio di arbitraggio normativo, inteso come spostamento dell’operatività da Paesi con regolamentazione più severa a quelli con norme meno restrittive, che iniziative prese (magari anche con coraggio) da autorità regolamentari nazionali in assenza di norme comuni a livello europeo possono creare. L’esempio più lampante è forse rappresentato, perlomeno in ambito domestico, proprio dalla decisione cui si faceva cenno in precedenza di anticipare parte della disciplina in materia di crypto-asset contenuta nella V Direttiva Antiriciclaggio. Il Legislatore italiano ha mirato ad includere, sia sul piano dei soggetti obbligati all’adempimento degli obblighi antiriciclaggio, sia su quello delle fattispecie rilevanti, una casistica ampia, variegata e difficilmente codificabile.
Questa ricercata onnicomprensività della definizione è figlia dell’esigenza di tenere in considerazione l’obiettivo della disciplina, che è il contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, un intento totalmente condivisibile, ma che per la sua precocità ha finito per penalizzare gli operatori italiani rispetto a quelli attivi su mercati meno regolamentati. Il risultato, per certi versi scontato, è stato quello per cui le esigenze di controllo sottese alla norma, giustamente voluta dal nostro Legislatore, sono state nella pratica largamente vanificate da fenomeni di arbitraggio normativo non sempre controllabili.
I limiti delle iniziative legislative nazionali
Sembrerebbe dunque potersi concludere che, in assenza di una regolamentazione comune a livello europeo, le iniziative legislative a livello locale corrano il rischio di dover essere necessariamente classificate come interventi di portata territorialmente limitata, e dunque in questo senso poco utili o addirittura inadeguati a soddisfare le esigenze di regolamentazione e di controllo di un mercato come quello delle cripto attività che sostanzialmente coinvolge operatori e utenti aventi una presenza territoriale globale.
D’altro canto, non può non rilevarsi che, nonostante le scelte regolamentari in materia di cripto-attività non potranno che essere europee, altrettanto importante sarà osservare come i diversi Paesi procederanno all’implementazione di tali scelte a livello locale.
Conclusioni
In Italia, ad esempio, per il momento si è assistito ad una tendenza da parte di Consob a ricondurre tutte le cripto-attività, indipendentemente dalle loro concrete caratteristiche, nella definizione di strumenti finanziari, con la conseguenza che la prestazione di servizi legati alle cripto-attività viene generalmente riqualificata dall’autorità di controllo del mercato come attività riservata. In tal senso potrebbe essere utile che Consob escluda alcune tipologie di cripto-attività dal regime MiFID II, assoggettandole per contro ad un regime nazionale improntato al principio di proporzionalità, così da consentire agli operatori in cripto-attività ed ai prestatori di servizi di esercitare la loro attività in modo ordinato e, contemporaneamente, di evitare che detti operatori decidano di spostare il loro centro d’affari verso Paesi caratterizzati da una regolamentazione meno stringente.