Potrebbe concretizzarsi a breve una soluzione al dilemma su come conciliare i meccanismi di prova essenziali per le criptovalute e un’economia green. La soluzione potrebbe arrivare dai semiconduttori, anche detti chip.
Si aprono nuovi scenari, ma servono anche molti cambiamenti, in primis relativamente alla normativa europea in materia di proprietà industriale e di proprietà intellettuale del software.
Dall’insostenibilità ambientale dei bitcoin, le opportunità dei chip
Partiamo da un dato ben noto: l’insostenibilità ambientale dei bitcoin. Molti professionisti (miners) dotati degli hardware necessari per cifrare e convalidare le transazioni con la Proof of Work sono stabiliti in Cina, dove l’energia elettrica viene ancora prodotta con il carbone, e danneggiano il clima. Esistono criptovalute come Chia, Sia, Filecoin il cui meccanismo di validazione si basa su un gran numero di hard disc vuoti, e sul proof of space. Tuttavia, alcuni obiettano che saremmo di fronte al classico cane che si morde la coda: gli hard disc si guastano più velocemente e più spesso, e questo si traduce in montagne di rifiuti elettronici.
Se il bitcoin ride, l’ambiente piange? Le soluzioni per una blockchain “verde”
Secondo il New York Times, l’amministratore delegato di Synopsis (fornitore dei software usati per progettare i chip) ha recentemente organizzato un meeting online per i suoi clienti, e si è trovato di fronte a un’adesione altissima. C’erano cloud provider, aziende di elettronica di consumo, appaltatori della difesa, fornitori di componenti per auto, agenzie governative degli USA, Università, e – appunto – miners professionisti di bitcoin. Tutti volevano sapere da lui la stessa cosa: come produrre i chip più rapidamente.
I chip sono percepiti come un’opportunità su molti fronti, compresa la sostenibilità ambientale. La presenza di miners professionisti al raduno di Synopsis testimonia un’aspettativa verso le opportunità di risparmio energetico che deriverebbero dall’uso di hardware in miniatura. Dopo un decennio di start-up e scale up del software, arriva il momento delle start-up e scale up di quegli hardware in miniatura che sono i chip? Naturalmente, questo dipenderà dalla fiducia e dalle scelte di investimento dei venture capitalists.
La tutela dei brevetti
Vediamo ora la tutela delle invenzioni connesse ai chip. All’art. 87 del nostro codice della proprietà industriale, il chip o semiconduttore è definito come “ogni prodotto finito o intermedio: a) consistente in un insieme di materiali che comprende uno strato di materiale semiconduttore; b) che contiene uno o più strati composti di materiale conduttore, isolante o semiconduttore, disposti secondo uno schema tridimensionale prestabilito; c) destinato a svolgere, esclusivamente o insieme ad altre funzioni, una funzione elettronica”.
Sul sito dell’Ufficio Marchi e Brevetti, Nicola Marzulli e Angela Zambetti spiegano bene che la serie di disegni correlati, fissati o codificati che rappresentano lo schema tridimensionale degli strati di cui si compone un prodotto a semiconduttori è definita come “topografia” di un prodotto a semiconduttori. Ciascuna immagine riproduce in tutto o in parte una superficie del chip in un qualunque stadio della sua fabbricazione. Ai sensi dell’art. 90 del codice della proprietà industriale, le topografie non comuni o familiari nell’ambito dell’industria dei prodotti a semiconduttori, sono protette dalla facoltà di riproduzione totale o parziale e di sfruttamento commerciale da parte del suo titolare.
In Italia, chi mette a punto nuovi chip può tutelare la propria invenzione chiedendone il brevetto, cosa fattibile presentando domanda correlata dai disegni topografici presso la Camera di Commercio. La tutela prevista per le topografie dei prodotti a semiconduttori non riguarda però i concetti, processi, sistemi, tecniche o informazioni codificate, incorporati nelle topografie stesse, né il software presente nei chip.
Da un lato, il riconoscimento della tutela brevettuale presenta dei vantaggi per chi – siano esse startup, scale up o industrie affermate – investe nella produzione di chip. Infatti, il brevetto:
- autorizza il suo titolare all’utilizzo esclusivo dell’invenzione;
- offre al titolare una leva competitiva;
- scoraggia qualsiasi uso non autorizzato dell’invenzione da parte di terzi (perché in un eventuale contenzioso chi ha il brevetto parte da una posizione di vantaggio);
- può essere “messo a reddito” mediante la concessione di licenze d’uso.
Dall’altro, però, la scelta legislativa di concentrare sui disegni di progettazione le rivendicazioni necessarie per ottenere il brevetto (quindi, l’oggetto di tutela del brevetto stesso) appare un po’ lontano dagli scenari di evoluzione tecnologica e produttiva descritti. Forse, si potrebbe porre maggiore enfasi sul processo di fabbricazione o sul prodotto in sé, rispetto alle topografie. Inoltre, appare sempre più problematica la separazione di regimi di tutela destinata dall’ordinamento europeo ad hardware e software: tutela brevettuale per i primi, tutela prevista dal diritto d’autore per i secondi. Nella misura in cui il chip è un hardware in miniatura funzionante grazie a un software dedicato, scorporare la tutela delle due componenti in due binari separati complica le cose sia alle imprese, sia a chi deve assisterle legalmente.
Guardando al futuro dall’angolo visuale dei chip e della miniaturizzazione degli hardware, anche una risistemazione organica della normativa europea in materia di proprietà industriale e di proprietà intellettuale del software potrebbe giocare un ruolo importante.
Chip e competitività, come si muove l’Europa
Come sempre, ci conviene guardare cosa succede nell’Unione Europea del Recovery Fund. Il 7 dicembre 2020, Italia, Germania, Francia, Grecia, Belgio, Estonia, Spagna, Croazia, Olanda, Malta, Portogallo, Slovenia, Finlandia e Romania – dopo avere dichiarato che i chip sono le pietre miliari dell’innovazione e sono centrali per la competitività industriale in un mondo digitale – hanno sottoscritto ufficialmente l’impegno a destinare fino a 145 miliardi di euro alla progettazione e produzione europea di chip. Uno degli obiettivi di questo investimento pubblico è ottenere un miglioramento significativo delle prestazioni energetiche.
Come riportato da Federico Fubini sul Corriere della Sera del 5 maggio 2021, nel Piano di ripresa e resilienza messo a punto dal Governo italiano (PNRR) si parla di 750 milioni di euro di contributi a sostegno di progetti industriali ad alto contenuto tecnologico, tra i quali la produzione di semiconduttori. Naturalmente, sarà aperto un bando di gara europeo, ma secondo Fubini “le caratteristiche dei semiconduttori richiesti fanno sì che si profili già un chiaro favorito, del resto già presente a Catania: l’italo-francese St Microelectronics […], già leader mondiale in alcuni chip per beni di consumo come gli smartphone o le auto”.
In realtà, quei 750 milioni di euro sono indicati nel PNRR a titolo esemplificativo e non esaustivo. L’obiettivo – dice il Governo – è di raddoppiare la produzione in Europa di semiconduttori avanzati e dieci volte più efficienti dal punto di vista energetico. Insomma, in futuro potrebbe esserci spazio per altri progetti. Naturalmente, un rafforzamento della produzione europea dei chip da sola non basta.
Occorre che i chip siano adattabili alle varie esigenze (nel nostro caso, quella di validare transazioni su blockchain), che siano competitivi, e che il loro utilizzo venga premiato a livello mondiale, in modo da disincentivare il ricorso – per il Proof of Work della blockchain e di Bitcoin – a risorse computazionali energivore. Se si tracciasse la fonte del Bitcoin (cioè il tipo di energia usata dai miners) aziende come Tesla potrebbero rivedere la loro posizione sul pagamento in Bitcoin, e l’intero sistema potrebbe premiare in vari modi il Bitcoin verde.
Un futuro fotonico
Sul piano prettamente tecnologico, un’ipotesi avanzata da ricercatori della Columbia University e della Università di Paris-Saclay che si erano occupati dell’argomento è il ricorso a chip fotonici, in grado di elaborare calcoli computazionali con un’efficienza molto maggiore rispetto ai tradizionali chip di silicio. Sicuramente, questa prospettiva ha rimandi nelle politiche europee, se è vero che nella strategia digitale della Commissione UE si afferma che la fotonica è stata riconosciuta come una delle tecnologie abilitanti chiave europee (KET) del XXI secolo. Ed esiste una piattaforma tecnologica europea (Photonics21) che rappresenta la comunità fotonica dell’industria e delle organizzazioni di ricerca. Insieme alla Commissione Europea, i membri di Photonics21 sviluppano e implementano una strategia fotonica comune in Horizon2020, in un partenariato pubblico-privato, per stimolare la crescita e l’occupazione in Europa.