Il Servizio Sanitario Nazionale “costa” ad ogni cittadino italiano all’incirca 1.800 Euro. Sensibilmente meno di quanto costi a quasi tutti i nostri cugini dei principali paesi UE (3.000 euro in Germania, intorno ai 2.900 nel Regno Unito e in Francia, e così via) ma nonostante ciò si continua a pensare alla Sanità ogni qual volta si decide di tagliare la spesa pubblica.
L’ultimo taglio risale al mese scorso: 2,6 miliardi di Euro, più della metà dei quali posti a carico dei fornitori di beni e servizi con particolare riferimento (845 milioni in tutto) al mercato dei dispositivi medici.
In un contesto nel quale ai fornitori del SSN sono già stati chiesti sacrifici non banali in tutte le varie e più o meno fortunate operazioni di spending review. Soprattutto se si tiene conto del fatto che a quegli stessi fornitori, poi, le fatture vengono pagate con ritardi che raggiungono in qualche caso gli 800 giorni.
Un problema senza soluzione, quindi?
Forse no. Se si considera, ad esempio, il costo della cosiddetta “medicina difensiva”. Medici costretti cioè a “difendersi” da sempre più possibili e incombenti azioni legali molto spesso poste in essere da vere e proprie “fabbriche del contenzioso per malasanità” le quali si danno da fare per portare a casa risarcimenti a più non posso alimentando ricavi milionari.
Uno “scherzo” che costa complessivamente non meno di 10 miliardi di Euro ogni anno secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori sanitari, ma che secondo altre fonti (a partire dalle associazioni dei medici) raggiungono addirittura i 20 miliardi di Euro.
Il tema è serissimo: curare un essere umano non è come riparare un pistone dell’auto e l’errore è sempre possibile. Giustissimo quindi che i medici e le organizzazioni sanitarie si mettano al riparo coprendosi con polizze assicurative e preparandosi a far fronte ai loro inevitabili errori. Ma da qui a trasformare la sanità in un meraviglioso bengodi del contenzioso esasperato e del pagamento di parcelle in percentuale rispetto ai risarcimenti conseguiti ce ne passa.
E’ del tutto evidente che questo business si alimenta fondamentalmente di due elementi: il primo (inamovibile) è l’oggettiva difficoltà di ricondurre ciascun caso clinico a una sequenza di “passi” come se fosse il protocollo di manutenzione di un aeroplano; il secondo (decisamente più aggredibile) è rappresentato da un sistema complessivo molto poco digitalizzato e quindi decisamente carente di informazioni utilizzabili in tempo reale.
Col risultato che le assicurazioni sono costrette a rivedere al rialzo i premi a copertura del rischio clinico, innescando così un circolo vizioso fatto di costi che si impennano.
I medici prescrivono forse qualche farmaco di troppo, molto spesso esagerano con esami di laboratorio e costose diagnostiche per immagini, ancora più spesso (4,6 miliardi l’anno, secondo la Commissione Parlamentare) con giornate di ricovero assolutamente inutili. E lo fanno per mettersi al riparo da quei professionisti del contenzioso che ormai tapezzano le città con manifesti dove si invitano i cittadini a fare causa al sistema sanitario con tanto di “mi paghi solo se la causa va a buon fine”.
Cosa succederebbe se un servizio sanitario completamente digitalizzato fosse in grado di eliminare alla radice il nutrimento dei fabbricanti di cause per malasanità?
Facciamo un esempio: io vado dal medico, e insisto perché mi prescriva una radiografia. Lui accede al mio fascicolo sanitario elettronico e vede che ne ho fatta una identica dieci giorni fa. E si rifiuta di prescrivermela, sapendo che il sistema informativo terrà traccia di questo evento.
Idem per ricoveri, analisi del sangue e prescrizioni farmacologiche.
Il sistema informativo sarà in grado di dimostrare che il medico ha seguito protocolli appropriati rispetto al caso in questione, e tutto questo non potrà non essere valutato dal magistrato giudicante.
Le stesse compagnie di assicurazione, in presenza di protocolli dettagliati (ce ne sono a bizzeffe in quasi ogni parte del pianeta) e di sistemi informativi dove i dati circolano sul serio e in tempo reale, potrebbero pensare di abbassare i premi da far pagare ai medici e agli ospedali.
Il fascicolo sanitario elettronico diventa una sorta di “scatola nera” che tiene traccia di ogni evento, ovviamente nel pieno rispetto della privacy. I dati vengono “tirati fuori” solo in caso di richiesta da parte dell’autorità giudiziaria.
Ma è chiaro che i “supermercati della causa per malasanità” sarebbero fortemente disincentivati, e il mercato si sgonfierebbe piuttosto velocemente.
Lo Stato e le Regioni, nell’ultimo documento sui tagli alla spesa sanitaria, hanno concordato di mettere a preventivo meno di 200 milioni di euro di risparmi conseguibili attraverso il monitoraggio dell’appropriatezza della cura. Meno del 2% del totale.
Ovviamente, si può e si deve fare molto di più.
E’ ragionevole pensare che si possano raggiungere obiettivi di contrasto all’inappropriatezza che consentano risparmi decisamente più consistenti: tra i 5 e i 7 miliardi, su 10 di spreco “dichiarato”.
Senza per questo minimamente influire sulla qualità della cura garantita ai cittadini. Anzi, il contrario: perché come qualsiasi persona ragionevole è in grado di capire, non è che prendendo più medicine del dovuto o facendosi le analisi del sangue due volte al mese si guarisca più in fretta e/o meglio.
Il ruolo che i vendor di tecnologie, di soluzioni applicative e – soprattutto – di “servizi chiavi in mano” possono giocare in questo scenario di contrasto agli eccessi della medicina difensiva sono del tutto evidenti: il problema è quasi esclusivamente generato da gap qualitativi e temporali di circolazione di informazione, quindi la soluzione non può che essere fornita dal mondo dell’Information Technology.
Gli investimenti necessari sono significativi, ma siccome la posta in gioco – espressa in termini di risparmi conseguibili – è molto ricca, possiamo immaginare vendor disponibili a scommettere sul SSN con operazioni di project financing e/o contratti remunerati in funzione dei risparmi conseguiti.
Si tratta di una partita che non può che essere giocata da vendor seri, affidabili, robusti anche sotto il profilo della capacità economico-finanziaria.
Astenersi perditempo, amanti del dumping e difensori di orticelli conquistati in passato.
Un ruolo determinante lo potranno/dovranno giocare vendor capaci di “importare dall’estero” esperienze analoghe già affrontate e risolte. Ma anche grandi organizzazioni italiane capaci di rimettersi in gioco prendendo atto che i tempi sono cambiati: come ha detto anche il Ministro Lorenzin in una sua recentissima intervista a “Panorama”, “il mangime è finito”.