il rapporto

Open data in Italia, si può fare di più: i risultati del maturity report 2024



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L’Italia dimostra una forte capacità di gestione dei dati aperti, eccellendo particolarmente nella dimensione Policy. Tuttavia, ci sono aree di miglioramento, come il portale nazionale, per allinearsi ai progressi europei complessivi

Pubblicato il 2 gen 2025

Vincenzo Patruno

Data Manager e Open Data Expert – Istat



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L’Open Data Maturity Report 2024 è uno studio annuale condotto nell’ambito dell’iniziativa data.europa.eu, coordinata dalla Commissione Europea.

L’obiettivo di questo studio è quello di misurare lo sviluppo dell’ecosistema Open Data nei paesi europei attraverso quattro dimensioni fondamentali: Policy, Portal, Impact e Quality in modo da valutare il livello di maturità dei dati aperti, vedere come si posizionano i singoli Paesi su queste dimensioni e individuare, condividere e promuovere le migliori pratiche adottate a livello comunitario.

Un decennio di open data in Europa

L’edizione del 2024 è la decima pubblicazione consecutiva di questo studio e ha coinvolto non solo i 27 Paesi Membri dell’UE ma anche i Paesi EFTA (Islanda, Norvegia e Svizzera) e 4 Paesi candidati all’adesione, cioè Bosnia-Herzegovina, Albania, Serbia e Ucraina. (Si, anche l’Ucraina!). Dal punto di vista dell’approccio metodologico, va detto che i dati necessari allo studio sono stati raccolti presso gli enti o le agenzie responsabili per le politiche Open Data dei singoli Paesi, e questo attraverso la somministrazione di un questionario di auto-valutazione.

I risultati del report: progresso e regressione

Ma vediamo i principali risultati a livello europeo. Nel 2024, il livello medio complessivo di maturità dei dati aperti ha raggiunto il 79.7%, con un miglioramento di 1 punto percentuale rispetto al 2023​. I Paesi con il punteggio più alto includono la Francia (99.6%), la Polonia (97.6%) e Ucraina (97.1%), mentre la media di tutti i Paesi si è mantenuta stabile all’83%​. Tuttavia, non tutti hanno mostrato progressi: 18 hanno registrato miglioramenti, 1 è rimasto stabile e 15 hanno subito un calo, principalmente a causa dell’introduzione di nuove metriche più stringenti​ di quelle adottate in precedenza.

Analisi delle dimensioni: policy, portal, quality e impact

Ricordiamo che nella dimensione Policy si vanno ad esaminare le politiche e le strategie sui dati aperti in vigore nei paesi partecipanti, i modelli di governance nazionale per la gestione dei dati aperti nonchè le misure applicate per implementare politiche e strategie. La dimensione Portal analizza invece la funzionalità dei portali nazionali sui dati aperti, il grado in cui vengono esaminati i bisogni e i comportamenti degli utenti per migliorare il portale, la disponibilità di dati aperti nelle varie arie tematiche e l’approccio adottato per garantire la sostenibilità del portale. Nella dimensione Quality si vanno a valutare invece le misure adottate per garantire la raccolta sistematica dei metadati, il monitoraggio della qualità dei metadati (tra cui la conformità allo standard di metadati DCAT-AP,) nonché la qualità del deployment dei dati pubblicati sul portale nazionale. Infine la dimesione Impact analizza la volontà e la capacità dei Paesi di misurare sia il riutilizzo dei dati aperti sia l’impatto creato attraverso tale riutilizzo.

Ma andando ai risultati del report, le dimensioni complessivamente più mature risultano essere Policy (91%) e Portal (82%), mentre la Quality (79%) rimane l’area un po’ più critica. La dimensione Impact (80%) è quella che ha registrato il progresso più significativo, evidenziando un impegno crescente da parte dei singoli Paesi nel provare a monitorare l’effettivo riutilizzo dei dati.

Le prestazioni dell’Italia: eccellenze e sfide

E andando a vedere come si colloca il nostro Paese nella graduatoria, scopriamo che nella dimensione Policy raggiunge il punteggio massimo (100%), incrementando di due punti lo score raggiunto lo scorso anno. L’Italia ha infatti adottato da tempo una strategia nazionale sui dati aperti, strategia che, tra le altre cose, include un preciso ed aggiornato “action plan” che possiamo ritrovare all’interno del piano triennale per l’informatica nella PA. Tra le altre cose, viene apprezzato il ruolo degli uffici RTD, i Responsabili per la Transizione digitale per il ruolo fondamentale che ricoprono nella trasformazione digitale delle singole pubbliche amministrazioni, nella attuazione delle agende digitali locali e delle politiche sui dati aperti. Va poi detto che c’è stato anche un lavoro importante sia da parte di AGID che da parte degli enti coinvolti per implementare il regolamento europeo sugli High Value Dataset, i dataset ad alto valore che ogni Paese si impegna a rilasciare secondo quanto specificato nel Regolamento di esecuzione UE 138/2023. Su questo specifico fronte, l’Italia raggiunge uno score dello 78.8%, un buon punteggio che vale la dodicesima posizione in questa specifica graduatoria.

Dimensione Portal

Nella dimensione Portal, l’Italia raggiunge un punteggio di 89.6%, in calo di 3.4 punti rispetto allo scorso anno. Va detto che la maggior parte dei Paesi ha riportato uno score che è in calo rispetto a quello dello scorso anno. Ad ogni modo è un dato che è in linea con quello relativo alla media europea. Mi sento di dire che sul portale nazionale dati.gov.it negli ultimi tempi è stato fatto comunque un buon lavoro, nonostante le risorse ridotte a disposizione che vengono dedicata a questa attività.

Dimensione Quality

Nella dimensione Quality vengono presi in considerazione le misure adottate dai gestori del portale per garantire la raccolta sistematica e tempestiva dei metadati e i meccanismi di monitoraggio per garantire la pubblicazione di metadati conformi allo standard di metadati DCAT-AP. L’Italia con uno score dell’85.7% è nella parte alta della classifica, in crescita rispetto allo scorso anno.

Dimensione Impact

L’Italia ha infine fatto passi avanti nella dimensione Impact, dove raggiunge il punteggio massimo, grazie ad un balzo del 5.8% rispetto allo scorso anno. Questa dimensione è stata introdotta già qualche anno fa per incoraggiare i Paesi a implementare meccanismi per monitorare il riutilizzo dei dati aperti e per comprendere e affrontare meglio le esigenze degli utenti e dei consumatori di dati. Nel calcolo di questo score viene valutata anche presenza di casi d’uso di riutilizzo dei dati aperti negli ambiti del governo, della società, dell’ambiente e dell’economia.

E nel monitoraggio del riutilizzo dei dati aperti non poteva mancare un’attenzione particolare ai casi di riutilizzo degli High Value Datasets. Viene infatti chiesto se il Paese dispone di processi per monitorare e misurare il livello di riutilizzo degli HVD e 19 Stati membri (70%) tra cui l’Italia hanno risposto affermativamente. E il monitoraggio del riutilizzo degli HVD sarà a mio avviso cruciale per il futuro delle politiche sugli Open Data a livello europeo. Ricordo che gli High-Value Datasets (HVDs) sono dataset che appartengono a sei categorie: geospaziali, ambientali, statistici, meteorologici, aziendali e mobilità e che si ritiene abbiano elevate potenzialià di riutilizzo.

Il ruolo cruciale degli high-value datasets

Gli HVDs sono stati infatti introdotti per andare a risolvere un problema e cioè quello della frammentazione e della mancanza di standardizzazione dei dati che venivano e vengono pubblicati generalmente come Open Data. Per ovviare a questo problema che oggettivamente costituisce un serio ostacolo al riutilizzo dei dati, la commissione Europea ha ritenuto di chiedere ai Paesi Membri di produrre un insieme di dataset predefiniti secondo certe specifiche e standard tecnici. Come è facilmente immaginabile, questo è costato tempo e denaro alle pubbliche amministrazioni di tutta Europa che hanno lavorato e che stanno lavorando per pubblicare i dati ad alto valore. L’idea è quella di dare la possibilità a chi riutilizza i dati di poter facilmente combinare dataset tra loro, in quanto prodotti già armonizzati e quindi facilmente integrabili.

Quello del riutilizzo degli HVDs diventa così un importante banco di prova. Ci si aspetta infatti che possano costituire un pezzo fondamentale del mercato europeo dei dati e che soprattutto possano generare quell’impatto sociale ed economico generato dagli Open Data che l’UE attende fiduciosa da tempo.

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