Sviluppo e disuguaglianze

Anziani e poveri esclusi dal digitale, il dramma ignorato dal Governo

Il 10% delle famiglie italiane non ha accesso ad Internet, il 30% si collega solo via smartphone: i dati dell’ultimo rapporto Auditel-Censis fotografano il digital divide nel nostro Paese. Gli effetti su anziani e studenti, il legame con il PNRR, la proposta di Euroconsumers

Pubblicato il 13 Dic 2021

Federico Cavallo

Local Manager Public Affairs & Media Relations, Altroconsumo

Marco Pierani

Direttore Public Affairs & Media Relations - Euroconsumers

digital divide

Per capire le dimensioni del digital divide italiano, immaginiamo di essere in un condominio di cinque piani, dove vivono dieci famiglie. Una di loro è ancora del tutto disconnessa: in una società che migra sempre più attività e opportunità online, è come se avesse porta e finestre completamente chiuse. Tra le famiglie vicine, altre tre possono invece contare solo sulla linea mobile.

Quindi, due piani della palazzina sono del tutto o in parte limitati nella loro capacità sia di raggiungere che di essere raggiunti dalla realtà esterna. I loro abitanti risultano, perciò, decisamente meno in grado di affrontare le nuove modalità di studio, lavoro, relazioni che la pandemia ha imposto e il “new normal”, con ogni probabilità, confermerà.

QUI L’EVENTO FREE MODEM ALLIANCE SUI TEMI DEL DIGITAL DIVIDE E DELLA CONCORRENZA

I numeri del digital divide

Si tratta di 9 milioni di famiglie tra le condizioni di totale esclusione o non piena partecipazione digitale, quasi il 40% del totale.

Cos’è il digital divide, nuova discriminazione sociale (e culturale)

Infatti, secondo l’ultimo rapporto Auditel-Censis, circa 14 milioni di utenti o non accedono alla rete o lo fanno in maniera discontinua e con una connessione di bassa qualità. Solo il 59,4% dispone di una connessione sia domestica, sia mobile: oltre 14 milioni di famiglie, cresciute del 6,2% dal 2019 ad oggi. Il problema è che 2,3 milioni di famiglie italiane non sono connesse a Internet in nessun modo, il 10% circa del totale; mentre un altro 30%, cioè 7,2 milioni di famiglie, si collegano solo via smartphone. In tempi di pandemia, di restrizioni e blocchi, non avere a disposizione le tecnologie giuste o non essere nelle condizioni di usarle significa rimanere ai margini. Stando ai dati: 8,4 milioni di famiglie, il 35,1% del totale, non ha a casa né un pc, né un tablet (73% delle famiglie di livello socioeconomico più basso).

Fin qui, abbiamo scalato la piramide dell’evoluzione tecnologica con lo sguardo fisso verso l’alto, verso un “vertice” sempre più avanzato, entusiastico ed entusiasmante. La pandemia ci ha fatto e ci fa necessariamente rivolgere lo sguardo anche verso le “fondamenta” di questa costruzione, prendendo maggiore coscienza della reale estensione sui cui poggiano. Nessuna costruzione solida, stabile e duratura può sopportare, nel lungo periodo, un eccessivo squilibrio tra base e altezza. Oggi abbiamo sempre più la prova che le promesse di sviluppo umano e sociale aperte dalle nuove tecnologie non potranno considerarsi davvero mantenute – né realizzarsi pienamente – se non sapranno promuovere una crescita realmente ampia e partecipata.

Gli effetti del divario digitale su anziani e studenti

Se ci si focalizza sulle famiglie di soli anziani, ovvero di quelle composte da persone di 65 anni e più, ben il 67,4% di loro non sa usare Internet (Istat 2020). Qui il tema diventa ancor più delicato sia dal punto di vista delle soluzioni che su quello delle immediate conseguenze, in particolar modo sul piano sociale. Pensiamo infatti alle difficoltà, particolarmente espresse dalla fascia anziana della popolazione, nel far fronte alla progressiva e fortemente auspicata (anche da noi) digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.

Innovazioni positive e di assoluta importanza, come ad esempio il fascicolo sanitario digitale, rischiano paradossalmente di generare cortocircuiti ed effetti negativi in termini di esclusione e di farlo proprio delle fasce che più dovrebbero poter trarre beneficio da un sistema sempre più aperto e interoperante a supporto del benessere medico delle persone. Ciò in mancanza di un adeguata formazione e accompagnamento di questi soggetti, capace di comprendere e rispondere alle loro specifiche necessità.

Studenti di famiglie povere

Dall’altro lato della scala generazionale, anche la DAD, protagonista della vita degli studenti nell’ultimo anno e mezzo, ha sottolineato la persistenza di gravi disuguaglianze socio-economiche: il rapporto BES Istat 2021, ad esempio, ha ben evidenziato come l’8% degli alunni, perlopiù di famiglie svantaggaite, sia rimasto escluso dalle attività scolastiche nel corso della pandemia Covid-19; un dato che sale al 23% se si considerano gli studenti disabili. La ragione, nuovamente, è l’assenza di adeguate forme di connessione ad Internet da parte delle famiglie.

Oggi ancora troppe di loro non posseggono un computer o non possono permettersi più di un dispositivo: un problema rilevante nel momento in cui, tra le mura domestiche, si incrociano le esigenze didattiche e lavorative di figli e genitori, impegnati i primi nella didattica a distanza e i secondi nello smartworking.

Le risorse stanziate dal Ministero dall’inizio della pandemia per aiutare famiglie meno abbienti hanno sicuramente attutito parte di queste disuguaglianze, ma dobbiamo anche riconoscere che quanto fatto non è ancora sufficiente. Ecco perché per il futuro servirà mettere in campo strategie e risorse ancora più articolate, se vogliamo svuotare in maniera apprezzabile un bacino di esclusione digitale che ogni giorno si allarga e si riempie al passo dello sviluppo tecnologico.

Digital divide: per superarlo servono competenze e non solo infrastrutture

Il digital divide non innesca effetti lineari e progressivi, ma concentrici ed esponenziali. Quanto più si allarga il divario tra il centro e la periferia, tra i protagonisti e gli esclusi digitali, tanto più sarà difficile per questi ultimi recuperare terreno e mettersi al passo. Al contrario, l’esclusione rischia per loro di diventare una condizione cronica che si estende a tutti gli aspetti educativi, lavorativi e relazionali chiudendo intorno alla loro stessa esistenza una gabbia dalla quale è difficile uscire.

Il divide risulta infatti fortemente correlato sia al livello di istruzione che all’attività svolta dell’individuo: l’esclusione che genera finisce per compromettere man mano le stesse soluzioni. In un precedente studio, lo stesso Censis ha notato come lo sviluppo delle competenze digitali siano fortemente influenzate dal far parte o meno della popolazione attiva.

Tra gli occupati, la quota di chi è in difficoltà supera di poco il 5%, ma sale all’11,3% tra i disoccupati e arriva fino a quasi la metà degli inattivi (44,6%). Il basso tasso di attività delle donne in Italia (55,2% in totale, ma sotto il 40% in certune regioni del Sud), non favorisce infine la loro inclusione digitale. Tutto ciò va infine incrociato con l’ampia e sfuggente area dei NEET, soggetti non coinvolti in processi di formazione e/o ricerca attiva di occupazione.

Non c’è dubbio, perciò, che il divario digitale sia un tema complesso, in quanto generato dall’incrocio di più deficit: non è quindi solo un tema di infrastrutture, per quanto necessarie, né di soldi, pur necessari, ma di cultura e di competenze.

Sotto quest’ultimo profilo, anche il più recente aggiornamento dell’indice DESI ha confermato l’Italia ancora significativamente in ritardo rispetto ad altri paesi dell’UE in termini di capitale umano, registrando livelli di competenze digitali di base e avanzate molto bassi rispetto alla media. Il miglioramento della posizione nell’indice generale (dal 25° al 20° posto) seppur non trascurabile ed incoraggiante, appare una magra consolazione.

Digital divide: il legame tra competenze digitali e PNRR

Il dato DESI sulle competenze digitali ha tratti strutturali: già nel 2019, tra gli individui di 16-74 anni, soltanto il 22% dichiarava di avere competenze digitali elevate (contro il 31% della media europea) e risultava perciò poco in grado di svolgere attività nei quattro domini dell’informazione, della comunicazione, nel problem solving e nella creazione di contenuti.

Se l’Italia vuole cogliere l’opportunità di trasformazione economica e sociale rappresentata dal PNRR, deve come prima cosa far fronte a queste notevoli carenze nelle competenze digitali di base e avanzate, che rischiano di tradursi nell’esclusione digitale di una parte significativa della popolazione e di limitare la capacità di innovazione delle imprese. La Strategia Nazionale per le Competenze Digitali rappresenta un risultato importante e un’opportunità per colmare questo divario, ma va proseguita con decisione e accompagnata da iniziative in grado di coinvolgere le persone in un processo che sia realmente partecipato e, in definitiva, utile per loro.

A tal fine, è giusto e doveroso spronare i decisori pubblici affinché mettano in campo strategie e risorse inedite, sia come entità che come qualità. Ma di fronte alla magnitudo del fenomeno non si può pensare che questo sia di per sé sufficiente.

Digital divide: la proposta di Euroconsumers

Per affrontare il digital divide, un problema così radicato ed intrecciato con la struttura socio-economica del Paese, serve un’opera corale capace di integrare lo sforzo del Pubblico mobilitando le energie della società e chiedendo anche al mercato di fare la sua parte.

Come principale organizzazione di consumatori italiana, insieme alle altre organizzazioni sorelle di Euroconsumers, è per questo che da tempo lavoriamo in sinergia con attori globali per promuovere la comune assunzione di responsabilità e iniziative volte a supportare lo sviluppo delle competenze digitali, a partire da quelle di base, primo vero strumento di empowerment ed emancipazione per le persone a maggior rischio e fragilità (siano essere giovani o anziane).

Iniziative come “Spaceshelter”, il videogioco online sviluppato in collaborazione con Google, hanno come obiettivo proprio quello di mettere a disposizione degli utenti di tutte le età strumenti semplici, immediati e accessibili in una modalità accattivante, che possano contribuire almeno in parte allo sforzo comune che tutti dobbiamo fare per diffondere conoscenza e capacità indispensabili alla vita quotidiana online e allo sviluppo sicuro, partecipato e responsabile della società digitale.

Dopotutto, con una quota crescente di attività quotidiane che sempre più si svolgono e si svolgeranno online, la capacità di utilizzare le moderne tecnologie diventa sempre più importante per garantire che tutti possano partecipare alla società digitale. Specie di fronte alle nuove sfide che anche l’Eurostat, nel suo ultimo “Regional Yearbook 2021” traguarda per i prossimi anni, man mano che i servizi Internet 5G verranno gradualmente implementati.

Il digitale, in definitiva, può rappresentare l’opportunità storica che ci proponiamo a patto che non si traduca nell’evoluzione di pochi, ma soprattutto se saprà declinarsi nella capacità di un cambio tangibile nella vita di molti. È questa la condizione necessaria a stringere quel patto sociale indispensabile a disegnare lo sviluppo della nuova società digitale.

Parafrasando William Gibson, il “futuro” è da troppo tempo qui con noi per non pretendere che sia più equamente distribuito. E allora lo sforzo comune di istituzioni, autorità e attori del mercato, ivi incluse ovviamente le organizzazioni dei consumatori, va rivolto a far sì che un numero sempre più ampio di cittadini nei prossimi cinque anni possa realmente beneficiare della diffusione del digitale: questo non significa solo e semplicemente aiutare coloro che altrimenti rischierebbero di rimanere a margine di questo processo, ma al contrario investire per porre le condizioni necessarie affinché esso possa funzionare traghettandoci tutti verso una società migliore e un mercato più bilanciato e sostenibile.

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