In Italia, il processo di digitalizzazione della PA si è finora contraddistinto per la sostanziale e cronica distanza esistente tra proclami e risultati concreti, manifestazioni di interesse e attuazione di progettualità efficaci. Il risultato è quello di una digitalizzazione narrata ed evocata continuamente ma mai concretamente realizzata, spesso lontana dalle esigenze dei cittadini e delle imprese, quando non addirittura ostile.
Digitalizzazione PA, la mancanza di visione politica
Alla base di questa situazione vi è certamente la complessiva mancanza di una visione politica chiara e lungimirante per lo sviluppo del digitale che, ancora oggi, viene considerato come un asset marginale e di supporto rispetto ad altri domini. Manca infatti ancora in Italia la consapevolezza piena dell’importanza del digitale quale asset strategico trasversale per la di crescita sociale ed economica.
Un’idea più moderna di digitalizzazione
La nuova governance del Paese dovrà quindi confrontarsi rapidamente con un’idea più moderna di digitalizzazione, peraltro già acquisita in altri territori, attraverso la quale reinterpretare il cambiamento auspicato soprattutto della PA in continuità con il lavoro svolto ma certamente con maggiore decisione e coraggio, centralizzando decisioni strategiche e valorizzando le enormi competenze e capacità che localmente si sono costituite.
Interventi contraddittori e disomogeneità
L’incapacità infatti di porre il digitale al centro delle politiche nazionali, come strumento trasversale per la crescita dei diversi domini applicativi (eGovernment, sanità, scuola, giustizia, turismo, ecc.) è resa evidente dalla disomogeneità con la quale i diversi livelli della PA sono stati costretti finora ad agire, frammentando le azioni messe in campo in una molteplicità di interventi non sempre coerenti e spesso tra loro contraddittori.
Una nuova politica condivisa
Per poter affrontare questa situazione è indispensabile definire una nuova politica condivisa che sia in grado di superare i principali fattori che ancora oggi concorrono a limitare, se non a fermare, la spinta all’innovazione che pure è presente dentro e fuori la PA ma che si ha difficoltà a mettere a valore.
I tre fattori che frenano l’innovazione: mancanza di un piano organico
Un primo importante fattore è legato alla difficoltà politica e manageriale che è emersa ai vari livelli della PA (centrale, regionale, locale) di condividere un piano organico e strutturale di digitalizzazione. Questa criticità è stata peraltro amplificata dalla molteplicità delle fonti di finanziamento alle quali le PA sono state costrette a fare riferimento, anche considerando differenti modalità, tempistiche e vincoli di erogazione dei fondi. Tutto ciò ha reso complicato laddove non impossibile lo sviluppo di azioni di sistema aventi la dimensione necessaria per realizzare il cambiamento auspicato. Quasi sempre infatti, le progettualità messe in campo, pur condivisibili, non hanno avuto l’impatto desiderato essendo nella maggior parte dei casi state sviluppate solo a livello sperimentale o di “best practice”.
Carenza di competenze digitali
Un secondo aspetto è legato allo sviluppo di competenze digitali. Pur senza voler citare gli indicatori europei sempre più severi nella valutazione del nostro Paese, è oramai evidente che in Italia è assolutamente necessario una profonda e rapida azione per sostenere la crescita diffusa delle competenze digitali. In particolare, questo è indispensabile per i dipendenti della PA che, avendo piena padronanza del dominio digitale per quanto riguarda le attività di loro specifica competenza, potranno agire come facilitatori del cambiamento anche per tutti coloro che a loro fanno riferimento in modo diretto o indiretto. Nondimeno è proprio attraverso azioni di “capacity building” nelle PA che si renderà possibile avere quel supporto dall’interno delle PA necessario a riprogettare procedure e servizi in maniera più semplice, efficace ed efficiente. È appena necessario infatti sottolineare che la trasformazione digitale non potrà avere effetti significativi se non affiancata da un processo radicale di trasformazione organizzativa e delle procedure della PA, anche considerando l’adozione delle tecnologie più innovative per le quali è spesso richiesta un rapido avanzamento della normativa e dei regolamenti interni.
In questo ambito, sebbene sempre più numerose siano le iniziative anche molto innovative ed interessanti avviate a livello locale dalla pubbliche amministrazioni e da alcuni enti, è emblematico dover osservare la sostanziale mancanza di un piano organico di “capacity building” a sostegno alle competenze digitali per la PA prima e per la popolazione tutta poi che preveda, partendo da un assessment complessivo e approfondito, la definizione di finalità specifiche e azioni adeguate, coinvolgendo partner idonei e stanziando le necessarie risorse finanziarie.
Mancanza di collaborazione pubblico-privato
Infine, un terzo importante aspetto è legato alla necessità di favorire attraverso la definizione di politiche adeguate la collaborazione sempre più stretta tra pubblico e privato. Lo sviluppo tecnologico espone infatti a rischio di rapida obsolescenza le tecnologie e le competenze ed è quindi sempre più necessario che la PA risulti quanto più possibile in piena simbiosi ai grandi players ICT e non soggetta ad essi, come è spesso accaduto in molti casi nel recente passato. Questo renderebbe la PA non mera utilizzatrice di tecnologie e sistemi ma anche partecipe ai processi di analisi e disegno delle soluzioni. Per fare questo è necessario favorire lo scambio continuo di tecnologie e competenze, in maniera organica e strutturata tra il mondo della PA e quello delle imprese ICT, attraverso forme semplici e flessibili di partnership che abbiano la finalità di migliorare i servizi offerti al cittadino, riconoscendogli finalmente la sua piena centralità nel processo di trasformazione digitale del Paese.