La pandemia ci ha trovati fondamentalmente impreparati su tanti aspetti. Si è resa necessaria una brusca accelerazione della transizione al digitale, sia per le realtà produttive che per la pubblica amministrazione. Indietro non si torna, ma una cosa la sappiamo: il treno del next generation EU non possiamo perderlo.
PA e cittadinanza digitale, la svolta (con il PNRR) è davvero possibile
Se sul piano delle imprese la transizione al digitale oggi è diventata imprescindibile per la sopravvivenza, per il settore pubblico la spinta “naturale” non è la stessa.
La pubblica amministrazione (PA) dimostra di essere quella che più lentamente si sta adattando a necessità in rapida evoluzione. Il problema non risiede nelle norme o nei piani, come ampiamente dimostrato dall’ultima commissione di inchiesta sulla digitalizzazione della PA della scorsa legislatura. Le leggi nazionali oggi sono all’avanguardia a livello europeo, quello che manca è la loro attuazione. Alla vigilia del next generation UE, è importante il rispetto della strategia nazionale sul digitale, in tutte le forme in cui essa viene declinata, e il controllo su cantieri e progetti, che il digitale è in grado di fornire.
Il primo punto su cui lavorare è dunque quello delle competenze – che devono essere multidisciplinari, tecnologiche, di informatica giuridica e manageriali – e deve riguardare il personale dirigenziale e non della PA; forti investimenti in formazione che puntino ad avere, a regime, piani di formazione costanti e commisurati alle specifiche necessità dei vari settori.
Il ruolo chiave del responsabile della transizione al digitale
Per la digitalizzazione della PA riveste un ruolo chiave il responsabile della transizione al digitale (RTD), figura dirigenziale che ha il compito di garantire operativamente la trasformazione digitale dell’amministrazione, coordinandola nello sviluppo dei servizi pubblici digitali e nell’adozione di nuovi modelli di relazione trasparenti e aperti con i cittadini. Sulla nomina di questa importante figura registriamo un vero e proprio fallimento.
Responsabile per la Transizione Digitale: la guida definitiva
Nella maggioranza dei casi, avendo istituito il ruolo “a costo zero” (la figura è in realtà prevista per legge in forma analoga sin dal 1993), il soggetto individuato non possiede le competenze adeguate definite dall’art. 17 del codice dell’amministrazione digitale, d.lgs. 82/2005 (in seguito CAD). Le scarse competenze interne degli uffici dirigenziali e tecnici, come appunto quello a cui è affidata la transizione al digitale, impattano anche sulla capacità che ha l’amministrazione di relazionarsi con i fornitori, progettare correttamente le soluzioni di sistemi informativi o scrivere bandi di gara che selezionino la fornitura più adeguata tutelando l’amministrazione da progettazioni errate o disservizi. Nel tempo abbiamo visto il diffondersi di progetti terminati con ritardi eccessivi, che hanno apportato scarsi miglioramenti sostanziali, poco usabili e con frequenti disservizi: si tratta di uno spreco di risorse della collettività che si evita solo con le giuste competenze all’interno dell’amministrazione pubblica.
Urgente è anche il rafforzamento dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), attraverso l’aumento della dotazione organica e della capacità economica, affinché svolga tutte le funzioni che il CAD le assegna, in particolare quelle di vigilanza e controllo sul rispetto e sull’attuazione delle norme da parte degli enti.
L’insostenibile lentezza delle PA locali
Se il processo di trasformazione digitale nelle PA centrali inizia a dare risultati, più lento risulta l’adeguamento a livello locale, per la natura stessa degli enti.
La mancanza di un adeguato supporto e di una mancata pianificazione nella trasformazione dei processi in chiave digitale, porta al fallimento del rispetto dei diritti digitali di cittadini e imprese, col crollo negli indici internazionali che misurano il nostro Paese dal punto di vista di digitalizzazione dell’economia e della società.
Il recente decreto semplificazioni (art. 24 del DL. 76/2020) ha indicato il 28 febbraio 2021 come giorno limite entro il quale doveva essere garantito al cittadino l’accesso ai servizi pubblici in rete attraverso l’uso di SPID o CIE, e doveva essere inibito il rilascio di credenziali di identificazione differenti da esse. Ad oggi mancano all’appello parecchie PA e la legge non prevede sanzioni particolari per l’inadempienza (al netto di quelle legate alla riduzione non inferiore al 30 per cento della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti). Non sono stati individuati nemmeno obiettivi minimi riguardanti i servizi online che le amministrazioni devono fornire. Paradossalmente un cittadino potrebbe avere le credenziali SPID per accedere ai servizi delle PA, in assenza di servizi (pensiamo ad esempio alla scarsità di servizi online forniti dagli enti locali).
PA digitale, mission impossible al 28 febbraio 2021: luci e ombre del decreto
Potenziare il ruolo del responsabile della transizione digitale e del difensore civico
Per incrementare il rispetto della normativa in ambito digitale della PA serve potenziare la figura del responsabile della transizione digitale e il ruolo del difensore civico (figura al quale il cittadino si rivolge se i suoi diritti non vengono rispettati).
Deve essere emanato al più presto un bando per l’assunzione di almeno 100 unità che andranno a ricoprire il ruolo di RTD, che faranno almeno 6 mesi di affiancamento in AgID. Le amministrazioni di maggiori dimensioni, le aggregazioni di comuni o città metropolitane potranno attingere da queste figure già formate, che non dovranno, comunque, gravare sui rispettivi bilanci perché saranno stanziate annualmente apposite risorse finanziarie.
Il difensore civico, oggi presso AgID, va portato a 12 unità, e deve avere il mandato di intimare alle Amministrazioni termini perentori, verificare gli adempimenti e segnalare alla Corte dei conti se l’amministrazione non agisce nel rispetto della normativa e dei diritti del cittadino. Per premiare le amministrazioni virtuose serve pubblicare un indice legato alla digitalizzazione degli enti, così che possano essere comparati e valutati in modo oggettivo per i servizi che forniscono.
Conclusioni
Al fine di avere un quadro più chiaro sull’uso dei servizi online, serve la periodica pubblicazione di statistiche di uso dei servizi: ovvero quanto costano annualmente e quanto vengono usati, sia quelli offerti dalle amministrazioni locali, sia quelli offerti dalle amministrazioni centrali). Visto che è difficile agire lato misurazione delle performance, per la diffusa resistenza nel farsi valutare da parte del personale, mettere in competizione le amministrazioni, e quindi accrescere la responsabilità del vertice politico, potrebbe essere un buon modo per sbloccare una situazione ormai conclamata.
Se un politico può scegliere se fare una rotonda in più o dotare il proprio ente di un servizio digitale online aggiuntivo, la scelta oggi ricade sulla prima, perché il digitale non è percepito come una urgenza per la cittadinanza, ma solo un effetto collaterale. Questa visione di “breve termine” è la prima cosa da combattere con armi sottili come la concorrenza e la reputazione.
In parallelo serve lavorare sulle competenze digitali della cittadinanza e sulla consapevolezza che la stessa ha dei propri diritti; ciò potrebbe costituire un naturale acceleratore di quella transizione digitale, che senza volontà politica e sensibilità diffusa non si raggiunge con le sole norme.