(Dalle puntate precedenti) “Il dottor Mabiis è a Bequino… noi lo sappiamo…” “È lì da sempre… dal giorno in cui ha annullato tutte le memorie della galassia… col Grande Ictus Mnemonico…”
Trimmy correva ben tosato. Scompariva nel parco. Shaiira lancinante: “Inseguiamo il cane dentro il parco! Ci porterà dal dottor Annthok Mabiis! Sono sicura!”.
Trimmy afferrato dagli agenti. Trimmy si divincola. Trimmy un puledro. Il puledro raggiunge nella polvere la cresta della collina. Verso la città. “Ci porta alle sue memorie… alle memorie del dottor Annthok Mabiis… o forse il puledro è il dottor Mabiis…”
Il puledro turbinava. Lo circondano. Nella navata centrale. Il puledro batte gli zoccoli. Solleva la polvere. Esce sulla piazza. In mille farfalle bianche. Le memorie punteggiano il sagrato. Le memorie tremano. Volano via.
“Ma perché proprio noi due e non le altre? Guarda quante di noi sono su questo prato…”
Le contava. Le invidiava. Le sospettava. Le vezzeggiava. Le ammiccava. Le sferzava. Le affrontava.
“Magari per puro caso! Alza lo sguardo e ci nota prima delle altre… E siamo finite…”
Il dottor Mabiis aprì la finestra di scatto. Allungò la retìna e imprigionò le due farfalle.
(nel frattempo)
Il sagrato nel silenzio pietrale. Caldo di sole. Le farfalle a stormi. Imbiancavano facciate affacciate. Gli agenti della Memory Squad 11 precipitavano fuori dalla chiesa. “Il puledro ci è sfuggito!” lapalissava la comandate Akira Khaspros. “Un agente in ogni strada che parte da questa piazza!” tatticava. Pedali arrotati. Sellini arrancati. Manubri annoccati. Dipanati nelle strade schiacciate. Le farfalle danzano. Bianche. Nella luce bianca. Avviottolano. Di fuga ai lastricati. Avvetrano. Sulle finestre sporte. Le ali bianche. Bianche di sole. Le biciclette sbrucano nel nugolo di ali. Bianche.
L’agente Xina Shaiira, analista del terreno e dell’ambiente della squadra, inviottola la discesa. Lucida. Si precipizia. Gelato pavimentato. Cialda sbrocciolata. Muricciolo appolverato. Ombre persianate. Foglie svolazzate. Di farfalle svolazzanti. Shaiira le insegue. Le farfalle la precedono. Più veloci delle sue pedalate. Shaiira intuisce. Gareggia. Suppone. Afferra. Perde. Rinuncia. Riprende. Agguanta. Sfugge. “Le farfalle mi stanno guidando…” Shaiira sibila. Fende. Pende. Tende. Prende. Stende. Le dita. Le farfalle sibilano. Come pietruzze. Nel vento. Corre Shaiira. Nel pomeriggio. Affaticato. Stremato. Rimpicciolito. Esangue. Abbrunito.
Un prato concavo. Sulla cima un capannone. Intravisto. Possente. Nei vetri aperti entrano i gufi. Una fiumana si accalca all’ingresso vasto. Un cerchio di platea. Plenaria. Intorno al maestro. Illuminato dai lumi. Shaiira smonta. La bicicletta appoggiata. La bicicletta lasciata.
“Qui c’è una memoria attiva… la sento…” Shaiira occhieggia. Shaiira e il maestro. Simula. Voglia di capire. Di sentire. Di sapere. Di interloquire. Avanza verso il centro. Del cerchio. Al maestro.
“Per complimentarmi l’abbraccio… il solito vecchio trucco…” Shaiira sorride. “Mi basta sfiorare il collo del maestro e la sua la tempia sinistra… contemporaneamente… per assumere la memoria… la sua memoria nascosta…” Shaiira allarga le braccia. “Non deve accorgersene… altrimenti la trattiene… e allora, addio memoria…”
Shaiira si china con braccia affettuose. Le palme aperte. Verso il maestro.
Le dita sulla base del collo e sul volto.
La bambina annichilisce.
In un pianto disperato.
(54-continua)