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Ecco il “patto” del Governo per la Sanità digitale, vantaggi e problemi

Dopo 27 mesi di rielaborazione del testo e di confronto Stato-Regioni, arriva finalmente in porto il Patto di Sanità Digitale. Ecco le principali connotazioni del Patto e una possibile roadmap per l’implementazione a livello territoriale di quello che è destinato a diventare il principale driver per lo sviluppo e la diffusione dell’e-health

Pubblicato il 05 Lug 2016

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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E Patto fu.

Dopo 27 mesi di rielaborazioni del testo e di confronto con le Regioni e Province Autonome, è stato approvato il Patto di Sanità Digitale in Conferenza Stato-Regioni.

Una gran bella notizia, dopo che si erano perse le tracce di quello che era e rimane destinato ad essere il driver principale per una completa e razionale digitalizzazione dell’intera filiera sanitaria italiana (non solo SSN, si badi bene).

Rispetto al testo originale del documento programmatico di Patto (la versione presentata due anni fa a Digital Venice dal Ministro Lorenzin in un incontro con le aziende ICT organizzato da Netics e Confindustria Digitale), ci troviamo di fronte a una versione complessivamente migliorata e maggiormente dettagliata.
In questo caso, quindi, il tempo ha lavorato al meglio regalandoci un Patto meno “general-generico” e più orientato all’execution.
Anche se qualche riferimento più di vision (“quali obiettivi ci diamo in termini di miglioramento delle performances della sanità italiana”, “come ci immaginiamo la sanità del futuro”) non avrebbe sfigurato all’interno di un documento di rilevanza strategica.
Ma tutto questo lo leggeremo sicuramente nel “Master Plan 2016-2018”, piano strategico di sanità digitale previsto dal Patto come documento fondativo.

Altra differenza significativa fra la versione originale e quella attuale: il Patto avrà una governance interamente pubblica.
Sparisce la pariteticità pubblico-privato che era alla base della proposta originale di Patto lanciata al Ministro Lorenzin nell’aprile 2014 durante gli Stati Generali della Salute.
E qui forse siamo di fronte a un problema.
Oppure a un’opportunità,
se il Ministero Salute ci dirà di aver fatto questa scelta immaginando un confronto paritetico continuativo dove il Patto rappresenta il mondo della domanda e la rappresentanza associativa dei fornitori rappresentano il mondo dell’offerta, e domanda e offerta “si parlano” con l’obiettivo di disegnare ed attuare percorsi vincenti di partenariato.

Last but not least, le risorse.
Il documento programmatico precisa che non ci si aspettano ulteriori investimenti a livello statale.
In attesa di capire quanto saranno in grado di mettere in campo le Regioni e le Province Autonome, anche qui siamo di fronte a un problema.
Perchè comunque la si voglia guardare, una radicale e razionale iniziativa di digitalizzazione della sanità italiana comporta un investimento non inferiore ai 4,5 miliardi per un triennio. E, nel frattempo, la spesa corrente per manutenere e gestire l’esistente continuerà a rappresentare una spesa annuale intorno agli 0,8 miliardi di euro.
Ipotizzare che il 100% dell’investimento possa essere coperto dalla componente privata in una logica di “full project financing” è del tutto irragionevole: i privati hanno tutto l’interesse e tutta la volontà di cofinanziare l’innovazione tecnologica e di processo della sanità italiana. Cofinanziare, appunto.
Al 50, magari al 60%.
Ma denari pubblici servono. Altrimenti, è tutta propaganda.
Il tema vero, così come era stato affrontato nella primissima versione del Patto, è un altro: occorre “liberare la strada”, agendo su norme e linee guida in modo da rendere possibile l’adozione di strumenti di financing innovativi. A partire dai social bond, e con particolare riferimento ai “Cost Saving Bond”.
Perchè una cosa ormai è certa: la digitalizzazione (se ben progettata ed attuata) genera razionalizzazione e risparmi gestionali.
E in moltissimi casi, come dimostra una ormai ampia letteratura internazionale, l’investimento rientra in tempi rapidissimi, rendendo ancora più attrattivi – agli occhi dei finanziatori – strumenti quali i Cost Saving Bond.

Ma veniamo al Patto vero e proprio.
In estrema sintesi, siamo di fronte a una molto ben fatta operazione di promozione del riuso a partire da un set iniziale di sperimentazioni in ambiti prioritari di intervento che saranno definiti dalla “cabina di regia”. Cabina che si configura come una “versione estesa” della cabina NSIS.
Gli obiettivi di sintesi partono dalla sperimentazione di soluzioni finalizzate a un rafforzamento del sistema a saldo zero (razionalizzazione e cost saving) alla promozione del riuso dei concept migliori in termini di generazione di efficienza/efficacia.
Il tutto in un contesto di continua misurazione dei risultati conseguiti, espressi in termini di miglioramento complessivo delle performances nell’erogazione delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie, e di successiva incentivazione del “riuso” fra Regioni.

Perlomeno in questo documento programmatico (ma sicuramente se ne parlerà successivamente a livello di Master Plan) non si fa menzione della valenza del Patto in termini di occasioni di crescita per il sistema dell’offerta e di sviluppo di un ecosistema industriale del biotech e dell’e-health.
In una situazione dove ci si concentra sull’obiettivo di dare vita a un modello di partenariato all’altezza degli altri grandi Paesi OCSE dove la sanità digitale è da tempo diventata uno dei principali terreni di gioco sui quali si giocano in contemporanea le partite del recupero di sostenibilità dei sistemi sanitari nazonali e dello sviluppo del business “infobiotech”.
E dove la chiave del successo risiede in larga misura nella capacità di uscire dal recinto autoreferenziale dell’informatica e degli informatici, coinvolgendo per davvero tutti gli operatori sanitari a vario titolo afferenti al SSN.

Se il modello di governance identificato da Stato e Regioni non prevede la presenza del sistema dell’offerta (attraverso le diverse associazioni di categoria), non significa che il Patto non debba necessariamente passare attraverso un confronto continuativo, assolutamente trasparente e rigorosamente precompetitivo, con produttori e vendor di tecnologie, soluzioni e servizi a valore aggiunto.
E da questo punto di vista ci si aspetta che le principali associazioni (Assinform, Anie, Assobiomedica, Assobiotec, ma anche Farmindustria e Federfarma) si rendano disponibili a collaborare con le istituzioni alimentando di proposizioni la “wish list” delle priorità di investimento espresse dal sistema della domanda e dalle istituzioni legate nel Patto.
Così come ci si aspetta un riscontro positivo degli operatori potenzialmente interessati allo sviluppo del mercato dei prodotti finanziari necessari ad alimentare le emissioni di Saving Cost Bond e/o a supportare le operazioni di project financing od altri modelli di “value based procurement”.

Perchè il segreto è tutto qui: operazioni come il Patto di Sanità Digitale non devono rappresentare altro se non degli ottimi esempi di costruzione di ecosistemi finalizzati a supportare l’innovazione e la razionalizzazione.
Modelli win-win, dove “cliente” e “fornitore” non sono mondi contrapposti ma partner in viaggio sulla stessa barca. Dove se si vince si vince tutti.
E dove non ci si può permettere di perdere, per sottovalutazione e/o per improvvisazione.

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