Sanità

Ecco il digitale che i medici vogliono e il mercato non offre

Un sondaggio dell’Osservatorio Netics su un panel di circa 500 fra medici e infermieri rivela la distonia fra domanda e offerta nell’IT per la Sanità. I medici hanno bisogno di software e servizi per curare meglio, l’offerta è invece “burocratica”

Pubblicato il 20 Feb 2017

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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L’accresciuta quantità e qualità del dibattito intorno ai temi cardine della sanità digitale contribuisce ad innescare quel doveroso confronto fra filiera tecnologica dell’innovazione in sanità (i vendor e i buyer di informatica) e il variegato e complesso mondo delle professioni sanitarie, a partire da medici e infermieri che rappresentano il 90% circa degli utenti dei sistemi informativi sanitari.
Più ci si confronta, più emerge un vero e proprio “spread digitale” rappresentato dalla domanda latente (quasi sempre ancora inespressa) di innovazione che esprime bisogni piuttosto distonici rispetto all’offerta.

Pare quasi di assistere a una commedia dell’incomunicabilità: medici e infermieri che chiedono strumenti di reale supporto all’esercizio quotidiano della professione al posto degli attuali software concepiti per la stragrande maggioranza dei casi per adempiere ad obblighi burocratico-amministrativi e a scopo difensivo (documentazione “a futura memoria”, da utilizzare in caso di malaugurato contenzioso).

Lo stesso fascicolo sanitario elettronico, perlomeno per quanto riguarda la prima generazione attualmente utilizzata in non più di 6-7 Regioni italiane, fatica ad andare oltre all’essere un enorme contenitore di files PDF che a tutto possono servire tranne che al lavoro quotidiano del personale sanitario alle prese con decisioni diagnostiche, terapeutiche ed assistenziali da assumere con una certa velocità ma anche con una robusta solidità di evidenze scientifiche retrostanti.

Le cose non cambiano poi molto a livello ospedaliero: la cartella clinica è – in fin dei conti – un documento a uso assicurativo-legale; i software applicativi per il Pronto Soccorso fanno ben poco per aiutare il personale addetto al triage e finiscono per essere dei gestori testi finalizzati a scrivere verbali anch’essi “a futura memoria”. Ancora più evidenti sono le distonie fra domanda e offerta per quanto riguarda l’information technology in sala operatoria: l’offerta propone soluzioni per il booking di sala (calendario occupazione sale) e per la gestione testi del diario operatorio.
E così via, passando dal CUP ai vari software di refertazione.

L’offerta, va detto chiaramente, fa il suo mestiere: vende quello che le viene richiesto.
E qui si parte col primo grande problema: i buyer. Chi compra IT per la Sanità oggi (quasi sempre il CIO, che nella stragrande maggioranza dei casi è un “capo dei sistemi informativi”) forse parla poco coi medici, convinto com’è di avere tutta la domanda sotto controllo.
Col risultato che la stragrande maggioranza dei medici e degli infermieri (l’Osservatorio Netics ne ha consultati più di 500 nel corso di una Web Survey effettuata nell’estate 2016) ritiene “del tutto inutile per scopi clinici” (21% dei casi) o “poco utile per scopi clinici” (36% dei casi) il software applicativo utilizzato.
Molti medici intervistati ritengono che il CIO della loro organizzazione (ASL o azienda ospedaliera) “faccia da filtro” nei rapporti col sistema dell’offerta, rendendo non facile – per usare un eufemismo – un confronto diretto fra utenti e produttori/distributori di soluzioni applicative.
In parallelo, il personale di vendita dei produttori/distributori limita al minimo indispensabile di contattare direttamente gli utenti finali nel timore di “fare uno sgarbo” ai CIO.

Il bello (si fa per dire) è che sono proprio i medici a poter influenzare in misura determinante la direzione strategica rispetto ad eventuali incrementi dei budget da destinare all’innovazione. Col risultato che i budget rimangono al palo, e il mercato fatica a crescere pur in presenza di una domanda potenziale significativa, stimata dall’Osservatorio Netics in non meno di 200 milioni l’anno (esclusi i servizi di telemedicina) che potrebbero andare ad aggiungersi ai 650 milioni annui circa spesi a livello di ASL e Aziende Ospedaliere pubbliche.

200 milioni, dunque: ma per farci cosa?
Ed è qui che viene fuori il secondo grande problema, lo “spread digitale” fra domanda e offerta.

Medici e infermieri (ma anche tecnici di laboratorio e di radiologia, farmacisti ospedalieri, eccetera) hanno bisogno di strumenti e soluzioni di supporto decisionale nei processi diagnostici, terapeutici e assistenziali.
Hanno bisogno, soprattutto laddove la famosa “integrazione ospedale/territorio” è partita davvero, di piattaforme di collaborazione (“Clinical Collaboration Platforms”, ossia l’evoluzione del “Clinical Portal”) e di comunicazione (Unified Communication Solutions & Services).
Hanno bisogno di condividere dati clinici anche uscendo dal perimetro aziendale (medici di medicina generale, centri di diagnostica e cliniche convenzionate, consulenti esterni per second opinion di casi particolarmente complessi, ecc.), potendolo fare in tutta sicurezza e nel rispetto delle norme in materia di tutela della riservatezza dei dati sensibili, ma anche con una certa velocità e semplicità di utilizzo.

Le piattaforme di Clinical Collaboration rappresentano una quota significativa (intorno al 15%) della spesa annuale in software applicativo in ospedali e organizzazioni sanitarie nei Paesi leader nella digitalizzazione in Sanità. Qui in Italia, con le dovute ma pochissime eccezioni, questo segmento di prodotti/soluzioni è praticamente inesistente.
Idem per le piattaforme di Unified Communication & Collaboration più o meno verticalizzate sui bisogni specifici in ambito sanitario: praticamente assenti, anche se si avvertono i primi forti segnali di interesse da parte della domanda anche a fronte dell’acquistabilità attraverso convenzione Consip.
L’offerta “italiana” dovrebbe adeguarsi con una certa rapidità, se non vuole vedersi sopraffare da vendor multinazionali portatori di soluzioni consolidate e abbondantemente referenziate. Oppure, più pragmaticamente, dovrebbe fare alleanze coi grandi produttori di questa tipologia di piattaforme, per evitare di reinventare l’acqua calda.

È molto difficile fare previsioni sul “quando” succederà: ma che succeda una vera e propria rivoluzione all’interno dei sistemi informativi sanitari è assolutamente certo. E lo dimostrano anche le recenti operazioni di merge & acquisition che hanno caratterizzato il 2016 e che probabilmente continueranno ancora nel 2017. Il gioco si fa duro, e anche grosso: difficile pensare che possano sopravvivere player di dimensioni medio-piccole, se non nelle nicchie ad elevata specializzazione.
Ben venga la concorrenza internazionale, soprattutto se servirà ad aumentare la qualità dell’offerta domestica e un mercato che torni – finalmente – a crescere.

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