Mai come in questi giorni si è dedicata tanta attenzione al tema dell’ammodernamento della Pubblica Amministrazione attraverso la digitalizzazione dei suoi servizi: chi lo sostiene per la necessità di ridurre la spesa pubblica, chi per aumentare la qualità dei servizi offerti al sistema dell’utenza (cittadini e imprese).
In verità il tema dell’eGovernment è entrato nell’agenda del Paese da più di dodici anni; sono anche stati investiti molti soldi: oltre 700 milioni di euro facendo riferimento solo ai programmi varati dai Governi che si sono succeduti dal 2003 in avanti. In verità i risultati ottenuti sul piano dell’utilizzo sono ancora modesti: secondo l’Eurostat, nel 2011 solo il 22% dei cittadini italiani ha utilizzato servizi di eGovernment; in questo l’Italia, si collocherebbe al penultimo posto in Europa.
Quali le ragioni di questa distonia tra attenzione e investimenti e livelli di utilizzo dei servizi di eGovernment? I più sostengono che si tratta di un tema di digital divide – ovvero della grave carenza, in molte aree del Paese, di infrastrutture di telecomunicazione a banda larga -; altri giustificano la situazione attuale puntando il dito anche su fattori di carattere culturale: della serie, le Pubbliche Amministrazioni italiane presentano livelli di digitalizzazione inadeguati.
C’è del vero in entrambe le posizioni. Osservo tuttavia che anche nei casi in cui è possibile effettuare la transazione online (penso al pagamento di una multa, di tributi specifici a livello locale, ottenere un certificato, ecc.), cittadini e imprese hanno reagito con timidezza rispetto all’offerta su Internet; questo non vuol dire, ad esempio, che non hanno corrisposto i pagamenti quanto piuttosto che si sono rivolti ad altri canali: gli uffici della PA o sportelli fisici di altri soggetti in cui è possibile gestire la transazione.
Come spiegare questo atteggiamento? Molto semplice: cittadini e imprese preferiscono ricorrere ai loro “punti di contatto” abituali: una recente ricerca condotta nell’ambito dell’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano ha, ad esempio, evidenziato, con riferimento al pagamento dei tributi, che gli utenti sono maggiormente propensi a ricorrere agli uffici postali (50,2%) e le Banche (47,1%) nel caso ne fosse data la possibilità; seguono poi gli Uffici della PA (45,8%) e gli esercizi pubblici autorizzati (35,1%) come tabaccherie e farmacie. Molto interessante è osservare che il canale Web – rappresentato da siti di Enti pubblici, di altri soggetti che offrono servizi per la PA (Poste, Lottomatica, ACI, ecc.) e home banking -, viene scelto “solo” dal 21% degli utenti, anche se una parte di cittadini sarebbe disposta a effettuare pagamenti verso la PA anche attraverso i Social Network (11,5%) e i siti di eCommerce (6,5%), percepiti come un’opportunità aggiuntiva. In tutto questo, le banche (compreso l’home banking) e le tabaccherie sono associate alla praticità e alla comodità, mentre gli uffici della PA sono scelti, tanto per i pagamenti quanto per i certificati, per il supporto informativo e la garanzia di buon esito, cui si aggiunge, per i siti internet gestiti dalla PA, la possibilità di archiviazione razionale.
Questo vuol dire che non c’è futuro in Italia per l’eGovernment? Tutt’altro! Occorre però concepire un’offerta multicanale; in questa prospettiva, l’incremento del livello di servizio e i risparmi auspicati da più parti sono obiettivi certamente raggiungibili, ma solo se il sistema della Pubblica Amministrazione italiana progetterà i servizi tenendo conto delle esigenze dell’utenza: in questo caso, degli approdi privilegiati dall’utenza con riferimento ai differenti servizi. E, questi, almeno a oggi, non coincidono sempre con il sito web dell’ente chiamato in causa.
In sintesi, è quanto mai importante, che si affermi nella PA una visione user-centric: oserei direi di marketing. Il che vuol dire che è fondamentale rendere disponibile i servizi nei cosiddetti poli caldi dell’interazione – ovvero dove cittadini e imprese lo trovano comodo – e, in secondo luogo, orientare la progettazione digitale secondo criteri di semplicità; altrimenti il nuovo, in sé e in quanto tale, non rappresenta un’attrattiva sufficiente a giustificare cambiamenti nelle abitudini, spesso molto radicate, di interazione con il sistema della PA.
Mi si permetta insomma di chiudere questa mia breve riflessione con una provocazione: se oggi la maggior parte degli utenti si dichiara propenso a utilizzare i servizi online erogati dalla Pubblica Amministrazione al pari di quanto lo sarebbe se questi fossero resi disponibili via Facebook, è sensato continuare a investire solamente per portare l’interazione sui siti Web della PA? Queste ultime non hanno, infatti, bisogno di incrementare la loro audience quanto di risparmiare e offrire un servizio.