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eVoting remoto parlamentare, dopo il covid non può essere tabù: ecco come fare

L’attività parlamentare a distanza richiede un ripensamento e una re-ingegnerizzazione dei procedimenti. Ma lo scollamento tra localizzazione fisica e “presenza” va superato per consentire alle Camere di svolgere le proprie funzioni anche in emergenza. Gli aspetti normativi e amministrativi della questione

Pubblicato il 06 Ago 2020

Giuseppe Ferretti

Direttore Tecnico Sistemi Informativi, Consiglio regionale della Campania - Componente del Tavolo tecnico per Dematerializzazione e Digitalizzazione, Conferenza dei Parlamenti regionali

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Nessuna pubblica amministrazione aveva previsto soluzioni alla grave pandemia nella propria Agenda Digitale, né le aveva immaginate nel proprio Statuto. Dopo aver analizzato in che modo i vari Parlamenti (Europa, Italia, Regioni) hanno affrontato “praticamente” le problematiche tecniche per il voto in emergenza, esaminiamone ora sinteticamente gli aspetti normativi e amministrativi. Spesso in ritardo rispetto alle tecnologie già globalizzate, essi potrebbero rimettersi al passo, grazie ad uno “scatto” di orgoglio civico dei legislatori sulla strada della Semplificazione.

Il paradosso di “Achille e la Tartaruga”

Circa 2500 anni fa il filosofo Zenone di Elea (l’antica Velia, oggi Ascea in Campania, nel nord della Magna Grecia) propose il paradosso di “Achille e la Tartaruga” per supportare il suo maestro Parmenide (sostenitore della illusorietà del Moto), riferendosi alla impossibilità di dimostrare che il veloce Achille potesse raggiungere la lenta Tartaruga. La teoria resistette fino al XIX secolo, quando il matematico tedesco Gauss ne provò l’infondatezza, studiando le serie geometriche “convergenti”. Oggi, invertendo il paradosso, la lenta e corazzata Tartaruga (la Burocrazia, troppo spesso “difensiva”) avrebbe la possibilità di raggiungere e addirittura superare il veloce e agile Achille (la Tecnologia), purché i legislatori in primis abbiano il coraggio di investire per ridurre il digital divide nella PA e di semplificare, nel rispetto degli Statuti, a partire da casa propria (i Parlamenti).

Televoto, voto elettorale ed e-voting remoto “di tipo parlamentare”

Il televoto è un voto volontario, espresso da remoto digitando, sul terminale personale del votante (fisso/mobile), un codice abbinato ad un candidato, inviando poi tale codice ad un numero telefonico (fisso/mobile). I costi di connettività sono in genere a carico del votante.

È sincrono (si vota durante un breve intervallo temporale, nel corso della trasmissione), palese, ma non è certa l’identità del votante (al più esistono sistemi per limitare il numero di preferenze inviate da una singola utenza, scongiurando l’invio massivo di voti dai call center, pur se restano dubbi sulla trasparenza nel conteggio automatizzato dei risultati).

Il voto elettorale in Italia è un “dovere civico” (Cost., Art. 48) ma è un classico esempio di Tartaruga, con tempi e costi non banali, poiché non si avvale di alcun supporto elettronico né digitale. È a scrutinio segreto e in presenza: l’elettore deve presentarsi di persona al seggio elettorale (non è ammesso il voto per delega), esibire la tessera elettorale e un documento di riconoscimento valido, esprimere il proprio voto in modo libero, segreto e anonimo su di una scheda elettorale cartacea, utilizzando un’apposita matita copiativa, all’interno di una cabina, pena l’annullamento del voto stesso.

L’e-voting di tipo parlamentare è il voto elettronico nelle Assemblee legislative, regolamentato a seconda dei diversi livelli di evoluzione tecnologica raggiunti.

Prima del Covid, l’e-voting era adoperato principalmente in “presenza”, in Aule attrezzate (di Assemblee e Commissioni) usando terminali “fissi” a circuito chiuso con server dedicati locali.

Ogni votante può usare 3 o 4 pulsanti (Si, No, Astenuto, Non-Voto), a volte anche un display touch-screen, per esprimere la propria scelta nelle diverse votazioni di tipo parlamentare (scrutinio palese semplice/per appello nominale, scrutinio segreto/nomine).

La sicurezza, la certificazione e la trasparenza di un sistema elettronico di voto parlamentare deve essere sempre garantita.

In questo settore industriale, seppur di nicchia, la ricerca è finalizzata a fornire soluzioni (hardware, software, firmware e servizi) aventi il minor impatto funzionale possibile, al fine di rendere le operazioni di voto più efficienti, sicure e veloci, ma soprattutto a valore legale, purché l’utilizzo sia formalmente regolamentato.

Europarlamento: Regolamento e Decisioni valide per politici di 27 nazioni

Dal 1979 l’EP viene eletto direttamente ogni 5 anni a suffragio universale e, post Brexit, conta 705 membri di 27 nazioni, con 24 lingue ufficiali: è il secondo parlamento più grande al mondo, dopo l’India (790).

La proclamazione ufficiale della pandemia da parte dell’OMS, lo scorso 11 marzo 2020 ha dato l’avvio, globalmente, a una serie di azioni limitative della libertà di circolazione delle persone (inclusi ovviamente europarlamentari e personale di staff), normate però diversamente dalle Autorità sanitarie nazionali dei vari Stati membri, a seconda del livello di gravità dell’emergenza (zone rosse”, quarantena, stop aeroporti e mezzi di trasporto, chiusura frontiere, no assembramento in luoghi chiusi).

Il rischio di bloccare le funzioni istituzionali dell’EP, come legislatore e come autorità di bilancio sovranazionale, proprio nel momento culmine delle decisioni più critiche (in tema di sanità, circolazione di persone e merci, economia e sostegno alle popolazioni colpite), è stato scongiurato prendendo una decisione coraggiosa, con il consenso di tutti i Gruppi politici: le attività dell’EP sarebbero proseguite online, mediante soluzioni anche provvisorie di videoconferenza e voto a distanza, sia per l’Assemblea plenaria (trasferita da Strasburgo a Bruxelles) che per le Commissioni, fino al 31 luglio 2020 (salvo proroghe).

Sul piano giuridico, i riferimenti che hanno reso possibile tale modalità sono:

  • Atto Elettorale del 1976: Art. 6 “I membri del Parlamento europeo votano individualmente e personalmente. Non possono essere vincolati da istruzioni né ricevere mandato imperativo”.
  • Regolamento del Parlamento Europeo: Art. 22, c.2 “Il Presidente… mette le questioni ai voti e proclama i risultati delle votazioni…”; Art. 25, c.4 “L’Ufficio di Presidenza disciplina le questioni relative allo svolgimento delle sedute”; Art. 186 “Il diritto di voto è personale e i deputati esprimono il loro voto individualmente e personalmente”; Art. 192, c.1 “Le modalità tecniche di utilizzazione del sistema elettronico sono disciplinate da istruzioni dell’Ufficio di presidenza “.

Inoltre, la Decisione sul voto elettronico adottata dall’UdP il 20 marzo 2020, ha modificato parzialmente la analoga Decisione del 3 maggio 2004 (nella quale si autorizzava il voto elettronico solo “in presenza” in Aula), in quanto ha conferito al Presidente la facoltà, se la situazione della salute pubblica lo richiede, di decidere l’utilizzo del sistema alternativo di voto elettronico (e quindi il voto a distanza e non in presenza), per una durata temporale limitata, pubblicando sul sito web dell’EP le relative decisioni almeno 24 ore prima dell’apertura della votazione interessata.

Sulla scorta di tali riferimenti giuridici, l’EP ha quindi consentito le sedute plenarie in videoconferenza e ha fatto ricorso ad un sistema temporaneo (anche se piuttosto “vintage”) di voto a distanza per appello nominale (“roll call vote”) tranne che per le nomine (“appointments”): gli europarlamentari, provvisoriamente, votano via mail, inviando, dalla propria casella email istituzionale ad una specifica casella email centralizzata (plenaryvote@europarl.europe.eu), le scansioni delle schede elettorali cartacee, da essi stampate, votate e firmate a mano.

Consapevole delle notevoli criticità di tale sistema provvisorio, l’EP ha incaricato il proprio fornitore tecnologico (un’azienda italiana!) di allestire per il futuro un sistema più robusto e affidabile. Si sta lavorando alla modifica delle interfacce del software di voto esistente, per permettere di farlo utilizzare da remoto, tramite VPN, dai singoli europarlamentari, ciascuno dalla propria casa o ufficio.

Più in generale, per consentire alla Tartaruga di raggiungere Achille, a metà maggio 2020 l’EP ha esposto la propria posizione su un ambizioso piano di ripresa dal Coronavirus, per rilanciare l’economia dell’UE: i membri dell’EP chiedono che cittadini, ambiente (Green Deal) e agenda digitale europea siano al centro del prossimo bilancio a lungo termine (2021-2027), nella strategia di ripresa economica e del piano sanitario europeo, con un pacchetto globale di investimenti pubblici e privati per 2.000 miliardi di euro.

Il voto da remoto nei Consigli regionali

Confrontando Statuti e Regolamenti delle Assemblee legislative di Regioni e Province autonome, pubblicati sul website della Conferenza dei Parlamenti regionali, si evince che giuridicamente sussistono le condizioni per consentire l’e-voting remoto in emergenza.

Per ciascuna Assemblea, la decisione di utilizzare o meno sistemi remoti per la discussione e per il voto dipende da fattori oggettivi e da considerazioni politiche.

Tra i primi, rilevano: numerosità di Consiglieri regionali e capienza fisica delle rispettive Aule o locali alternativi, disponibilità di tecnologie fisse o mobili, accessibilità e usabilità di strumenti e interfacce per la partecipazione da remoto, qualità dei dispositivi e potenza della connettività domestica, skill tecnici dei partecipanti.

Tra le seconde: livello di collaborazione o conflittualità tra maggioranza e opposizione, equilibri tra attività in Aula e nelle Commissioni, urgenza delle questioni all’ordine del giorno, voto “ponderato” in presenza dei soli capigruppo, etc.

Nello sforzo di trasformarsi in Achille, l’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale della Campania ha approvato, fin dal 02 aprile 2020, una Delibera (la n.223) avente ad oggetto “Disposizioni in ordine allo svolgimento delle sedute del Consiglio regionale, delle Commissioni consiliari e degli Organi interni all’Assemblea legislativa, in caso di comprovata situazione di gravità e di emergenza nazionale” la quale, nel pieno rispetto del Regolamento interno, disciplina lo svolgimento e la validità legale delle sedute telematiche del Consiglio e delle Commissioni, le modalità di discussione in videoconferenza e di votazione da remoto, la rilevazione delle presenze, la pubblicità delle sedute e dei relativi resoconti.

A livello tecnico, per la trasparenza e comunicazione del voto sono disponibili: console del Presidente, sistema multimediale integrato con videoconference, sale stampa polifunzionali, sale regia full digital, diretta streaming web, sottotitolazione in diretta, trasmissioni LIS (Lingua Italiana dei Segni), canali social istituzionali, website per la pubblicazione dei resoconti digitali e relativi Open Data in formato europeo, motori di ricerca semantica negli archivi multimediali, etc.

Per l’identificazione certa del votante, sono utilizzate sia tecnologie on premise (terminali di voto multimediali, smart card, sensori biometrici predisposti per finger print) che da remoto (webcam ad alta definizione, protocolli sicuri, VPN-Virtual Private Network, soluzioni in cloud, App open source abbinate ad algoritmi di crittografia, credenziali di dominio, autenticazione multifactor, firma digitale remota, OTP- One Time Password, etc.).

La Costituzione italiana (art. 64) impedisce il voto a distanza di deputati e senatori?

Tra marzo e aprile 2020, in pieno lockdown, si sono svolti, in diretta web (su una delle piattaforme commerciali più note) incontri in videoconferenza sul tema “Parlamento aperto: a distanza o in presenza?”. Organizzate dal Presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, le discussioni hanno visto la partecipazione del Presidente dell’EP, del Presidente Emerito della Camera, di politici, di illustri docenti universitari e membri dell’AIC (Associazione Italiana Costituzionalisti).

Il dibattito si è acceso, tra favorevoli e contrari alla “remotizzazione” delle attività parlamentari e del voto, fornendo spunti per i lavori della Giunta per il Regolamento.

Pomo della discordia è l’art. 64, comma 3 della Costituzione italiana (“Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento in seduta comune non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti…”), che, secondo i contrari, impedirebbe la possibilità di votare da remoto perché intenderebbe la presenza “fisica” un requisito essenziale ed indispensabile nell’esercizio della rappresentanza politica.

Ecco le principali motivazioni dei contrari (Tartaruga):

  • nel 1948 esistevano già telefono, telegramma, lettera, delega, tutti mezzi che avrebbero potuto consentire il voto a distanza, ma i padri costituenti volutamente esplicitarono, nell’art. 64, il requisito della presenza intesa come “fisica” nel momento culmine delle “deliberazioni”;
  • il voto in Aula non è fine a sé stesso, ma chiude un percorso; le attività parlamentari da remoto sarebbero deplorevoli per la spersonalizzazione delle tradizionali modalità di discussione verbale, durante il necessario confronto politico “de visu” che normalmente avviene prima di esprimere ogni singolo voto (su articoli ed emendamenti), a volte foriero di cambi di opinione decisivi;
  • con le Aule semivuote, verrebbe meno il ruolo della rappresentanza simbolica del parlamentare in tempi di Covid (non è etico che i parlamentari italiani siano fisicamente fuori dal loro “luogo di lavoro” mentre altre categorie di lavoratori – sanitari, forze dell’ordine, personale nei supermercati, etc.- rischiano la propria salute per garantire il soddisfacimento dei bisogni primari dei cittadini);
  • il voto remoto in Parlamento richiederebbe una modifica alla Costituzione, non si può liquidare con un Regolamento: nel rispetto della gerarchia normativa, un Regolamento non può modificare la Costituzione;
  • le Commissioni potrebbero utilizzare le regole già esistenti per riunirsi, in presenza, “in sede deliberante”, ad es. per la conversione di decreti-legge urgenti;
  • in Aula, un Gentlemen Agreement tra Gruppi politici consentirebbe la riduzione pro-quota del numero di parlamentari presenti, opportunamente distanziati, salvaguardando l’equilibrio nel voto; altrimenti, la lotta politica tra maggioranza e opposizione sposterebbe la contesa sulle modifiche al Regolamento, con tempi lunghissimi;
  • se le tecnologie rendessero interoperabili i rispettivi sistemi di voto, Montecitorio andrebbe in soccorso di Palazzo Madama e viceversa: i 315 Senatori potrebbero svolgere le loro attività in presenza nell’Aula di Montecitorio (630 posti), mentre i 630 Deputati potrebbero riunirsi fisicamente, in contemporanea, metà a Montecitorio e metà a Palazzo Madama (dove potrebbe presiedere uno dei Vicepresidenti della Camera);
  • non si possono scompaginare consuetudini sedimentate, servono approcci gradualistici (ad es. la Giunta per il Regolamento della Camera ha consentito soluzioni remote solo in sedi informali, dove non ci siano deliberazioni da votare.

Qui le argomentazioni salienti dei favorevoli (Achille):

  • la Costituzione del 1948 non poteva prevedere le soluzioni tecnologiche oggi disponibili, per cui diventa necessaria un’interpretazione evolutiva, non pietrificata, del dettato costituzionale;
  • non si possono affrontare le emergenze con le regole dei periodi ordinari: se non si potesse utilizzare il voto remoto, nel caso estremo che più del 50% di senatori e deputati fossero contagiati, quindi obbligati alla quarantena, le attività parlamentari si paralizzerebbero a tempo indeterminato;
  • vi è la assoluta necessità di far lavorare le Camere, con ogni mezzo, per controbilanciare il potere del governo;
  • non potendosi ricorrere al voto per delega, un gentleman agreement sull’autolimitazione della partecipazione fisica potrebbe ledere i diritti di rappresentanza delle minoranze, ma anche dei singoli parlamentari che siano in dissenso con il proprio Capogruppo;
  • la Scuola e la PA stanno funzionando in smart working, numerose istituzioni già stanno votando da remoto (Parlamento Europeo, Corte costituzionale, altri Parlamenti in Europa e in altri continenti, molti Consigli Regionali e Comunali, Autorità Antitrust, etc.): sarebbero tutti anticostituzionali, solo perché non si riuniscono in presenza?
  • in epoca digitale, con un click si spostano milioni di euro, si riposizionano satelliti, etc.: non è più un tabù affermare che anche nelle Norme bisogna riconsiderare i concetti di spazio e tempo, altrimenti si rischia la paralisi delle istituzioni;
  • vi è piena fiducia nelle soluzioni digitali (anche se temporanee, eccezionali e alternative), pur riconoscendone gli attuali limiti, superabili con opportuni accorgimenti e training: ad esempio utilizzare un’App sicura, con certezza dell’identità digitale del votante, separando la normale internet dal sistema di voto remoto perimetrato, e fornendo ai parlamentari assistenza e formazione sull’utilizzo delle interfacce.

Per ora, la Camera e il Senato hanno richiesto al fornitore (la stessa azienda italiana che segue il Parlamento Europeo e la Campania) un adattamento tecnologico affinché, distanziando i parlamentari in emiciclo e sulle tribune, la discussione e il voto si svolgano ancora in presenza, con una modalità ibrida di “voto su scranno” (sui terminali fissi esistenti) e “votazione fuori scranno” (su dispositivi mobili, comunque utilizzabili solo all’interno delle Aule).

Conclusioni

Nel terzo millennio l’attività parlamentare “a distanza” richiede un profondo ripensamento e una re-ingegnerizzazione e nuova regolamentazione dei procedimenti parlamentari. Non sia un tabù lo scollamento tra localizzazione fisica e “presenza”, tra dati della persona e la sua identità, cosa che già normalmente avviene in tanti settori (telemedicina, online banking, previdenza, assicurazioni, concorsi pubblici, etc.)

Nella auspicata trasformazione da Tartaruga ad Achille, si va ridefinendo il ruolo stesso del Parlamento italiano, affinché abbia il coraggio di diventare un moderno #smartparliament, contribuendo a riempire di significato la Dichiarazione di Tallinn 2017 sull’e-government, nonché l’incipit del Piano Nazionale Innovazione 2025: L’innovazione e la digitalizzazione devono far parte di una riforma strutturale dello Stato”.

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