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Fake news, se la scuola rinuncia a insegnarci il pensiero critico

Tutti sono d’accordo sul fatto che occorra lavorare sul pensiero critico per avere una cittadinanza che “sappia pensare” prima di sapere “cosa pensare”, ma nessuno affronta la questione con la dovuta serietà, perché altrimenti la Scuola sarebbe al centro di una grande rivoluzione, che però non mi sembra in vista

Pubblicato il 08 Giu 2020

Gianna Angelini

Direttrice scientifica di AANT

digital digitale

L’unico modo per difendersi dalle potenziali negatività che alcune derive di internet stanno palesando e sfruttare al meglio i vantaggi del vivere nel nostro secolo è quello di formare una cittadinanza critica e consapevole. Un sentire comune che è importante non perdere di vista soprattutto in questo periodo di frenetica corsa all’equipaggiamento tecnologico.

Formare una cittadinanza critica e consapevole vuol dire lavorare sul pensiero critico per avere una cittadinanza che “sappia pensare” prima di sapere “cosa pensare”. Un punto che mette d’accordo tutti, ma che nessuno prende con la necessaria serietà, a mio avviso. Perché altrimenti di questi tempi la Scuola sarebbe al centro di una grande rivoluzione relativa alla sua pianificazione didattica. Ma non mi sembra in vista.

A scuola di pensiero critico

Qualche mese fa, durante una delle mie lezioni di “Teoria della Percezione” in Accademia,  quando ancora potevamo fare lezione in presenza, ho dovuto constatare con amarezza che tutti in classe ignoravano l’esistenza di Marcel Proust, eppure avrebbero potuto declamare con estrema sicurezza le vicende esistenziali di Daenerys Targaryen, una delle protagoniste della saga fantasy “Cronache del ghiaccio e del fuoco” di George R. R. Martin, famosa per la sua interpretazione televisiva.

All’interno della stessa lezione, ho chiesto più volte agli stessi studenti, dall’interesse vivo e la partecipazione vivace, di provare a motivare e argomentare le risposte che stavano offrendo alle mie domande, oltre a rispondere semplicemente di getto. Ma questo li ha mandati quasi tutti in crisi. Ebbene, se sicuramente mi rattrista constatare che alcune delle figure che hanno avuto un ruolo determinante nel plasmare l’immaginario letterario contemporaneo non facciano parte del bagaglio culturale delle nuove generazioni, non considero questo il più grande dei problemi. Si può, infatti, facilmente rimediare, magari – perché no? – affidando ad un regista apprezzato dai più, la costruzione di una bella serie sulla Parigi di fine ‘800 e inizio ‘900.

Il fatto, invece, di non essere in grado di argomentare le proprie posizioni, è un discorso ben diverso. Non mi rattrista semplicemente, direi, invece, che mi preoccupa seriamente. Perché è lì che si annida il cuore del fallimento del nostro sistema educativo attuale ed è lì che si annidano tutti gli ostacoli alla formazione di una cittadinanza critica e consapevole.

Facciamo un po’ di chiarezza. Michael Scriven & Richard Paul, esperti di Critical Thinking, definiscono in questo modo il pensiero critico: “Il pensiero critico è il processo intellettualmente disciplinato di concettualizzare, applicare, analizzare, sintetizzare e/o valutare attivamente e abilmente le informazioni raccolte da, o generate da, osservazione, esperienza, riflessione, ragionamento o comunicazione, come guida alla credenza e all’azione. Nella sua forma esemplare, si basa su valori intellettuali universali che trascendono le divisioni disciplinari: chiarezza, accuratezza, precisione, coerenza, pertinenza, evidenza solida, buone ragioni, profondità, ampiezza ed equità”.

La questione non è, quindi, inferenziale o semplicemente di ragionamento. Il nodo cruciale è di saper affrontare un problema, prima ancora di sapere come risolverlo. Il World Economic Forum già nel 2015, nel report “New Vision for Education. Unlocking the Potential of Technology” indicava in 16 le “skills” necessarie del ventunesimo secolo. Tra queste, il Pensiero critico/Problem solving, inteso come “abilità di identificare e ponderare situazioni, idee e informazioni per formulare risposte e soluzioni” ha indubbiamente un posto di primo piano.

Il pensiero critico nell’era delle fake news

In questo senso, il pensiero critico è il pensiero meditato, razionale, lento, riflessivo, contro il pensiero ingenuo, intuitivo, immediato, irrazionale, emotivo, passivo. Affinché si sviluppi, è necessario il più possibile informarsi per raccogliere prove, evidenze, ragioni pro e contro diverse linee di azione. Perché solo così, si ha il potere di esprimere un’opinione, dare un giudizio o prendere una decisione non ingenua, intuitiva ed irrazionale. Per fare questo, oltre alle informazioni sui contenuti di cui tratta, il pensatore critico deve anche aver bene in mente come funziona il nostro ragionamento, quali sono i suoi limiti naturali e le trappole che esso ci tende (egocentrismo, sociocentrismo, Bias).

Tale impegno è indispensabile per sperare di avere una cittadinanza libera e democratica in generale, ma naturalmente diventa cruciale nell’epoca della proliferazione delle informazioni on line e delle fake news, o, in un’altra parola, della avanzata dell’infodemia.

Dalle prove Invalsi 2019, risulta che, in terza media, circa un terzo degli studenti non è in grado di analizzare un testo in italiano. Dove per “analizzare” si intende: “individuare singole informazioni date esplicitamente in parti circoscritte di un testo, mettere in relazione informazioni facilmente rintracciabili nel testo e, utilizzando anche conoscenze personali, ricavare semplici informazioni non date esplicitamente”. Come possiamo sperare che uno studente di 14 anni che non è in grado di discernere da un testo gli elementi chiave mettendoli in relazioni con il proprio pensiero, possa affrontare la complessità dei contenuti che si moltiplicano in rete?

Se appare ovvio che il pensiero che induce al ragionamento rappresenti uno dei fattori distintivi dell’uomo, tuttavia il suo esercizio corretto non è affatto spontaneo e naturale. Le ricerche neuroscientifiche ci hanno ampiamente dimostrato che si tratti di un’arte che si apprende e che, in quanto tale, richiede una didattica adeguata. La Scuola non ha ancora capito che il pensiero critico non è sotteso all’insegnamento delle singole discipline, non è cioè un riverbero di un metodo di insegnamento specifico per materia, ma necessita un esercizio dedicato. Un esercizio che ovviamente è trasversale a tutte le discipline, ma che merita un’attenzione a parte.

Viviamo all’interno di un sistema educativo che privilegia la ricerca delle risposte (talvolta anche di fronte a quesiti improbabili) alla stimolazione delle domande. E questo non aiuta l’allievo ad abituarsi ad un metodo di approccio alla conoscenza strutturato. Perché questo è possibile solo all’interno di un sistema educativo che privilegiata, al contrario, la stimolazione delle domande alla ricerca delle risposte. Per favorire il confronto, e quindi il dialogo costruttivo e la convivenza nel rispetto dell’altro.

Il “pensiero critico” non si insegna facendo lezioni di psicologia cognitiva o di logica matematica, ma costringendo gli studenti a mettersi di fronte ai propri limiti cognitivi, lasciando che commettano degli errori necessari.

In una società responsabile, questi sarebbero i temi al centro del dibattito della riforma scolastica che mette la digital transformation al proprio servizio. Ma, ce la faremo?

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F. Eustacchi-M. Migliori (a cura di), Per la rinascita di un pensiero critico contemporaneo. Il contributo degli antichi, Mimesis, Milano 2017

Facione P. Milbrae CA: California Academic Press; 1998. Critical Thinking:What it is and why it counts.

JE McPeck, Critical thinking and education, Routledge Library Edition, 2016

Scriven M, Paul R. (n.d.). Defining critical thinking. Retrieved February 23 2013, from //www.critical-thinking.org/University/univclass/Defining.Html

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