Per Italia digitale è quasi tutto pronto: Agenda Digitale, Piano triennale, Accordo Stato Regioni, definizione di strutture e funzioni. Non resta che partire. Ma come? Non resta che stabilire chi sarà effettivamente alla guida. Cosa si aspetta allora a decollare? Si aspetta e si aspetterà ancora, temo. Perché nessuno ha avuto la forza di affrontare il problema fondamentale, quello della cultura, che si articola in due questioni.
Diffondere la cultura digitale in tutta la popolazione
La prima consiste nell’effettuare un salto qualitativo e quantitativo nella cultura digitale della popolazione tutta, non per motivi di prestigio nel recuperare posizioni nelle graduatorie internazionali (vedi il DESI- Digital Economy and Society Index 2018), ma per una ragione di fondo. Il nostro modo di lavorare, di vivere nelle città e di consumare saranno profondamente cambiati dalla digitalizzazione dei processi e dei prodotti.
Ciò significa che vivremo e lavoreremo simultaneamente in due mondi: quello fisico e quello digitale, che si influenzeranno reciprocamente, producendo così effetti positivi e negativi da governare. Qualche esempio per chiarire: le città saranno reti di flussi reali di oggetti e persone, rappresentati in forma digitale. Nei sistemi urbani (micro o macro che siano) mondo astratto (informativo) e mondo reale interagiranno senza sosta, indipendentemente dalla nostra consapevolezza immediata. Il loro governo richiederà nuove culture tecnico-manageriali e modelli di comportamento differenti da quelli finora prevalenti. La dinamica tecno-economica coinvolgerà prima o poi tutti ed è destinata ad accelerare i processi economici e sociali, oltre che quelli tecnico-scientifici. Non esistono scorciatoie per misurarsi con essi, né ci si può distrarre con false questioni alternative. Occorre agire spediti per creare un Paese consapevole delle sfide che si profilano e fornirgli gli strumenti adeguati. Cosa si dovrebbe allora fare? Come agire?
Come agire per diffondere la cultura digitale
Da quanto appena affermato si desume che un mutamento episodico di questo o quell’aspetto è insensato, perché è necessario adottare una visione sistemica, quindi creare una base solida per l’evoluzione del sistema Paese e dei suoi sotto-sistemi. Questo significa definire con precisione alcuni elementi fondanti e assegnare ad essi priorità strategica. In sintesi, sono necessari visione strategica, fattori propulsivi, priorità ben definite. La concretizzazione di tali ingredienti dipende poi dalla capacità di tradurli in un numero non illimitato di progetti esemplari, ai quali va attribuita una gerarchia d’importanza sul piano logico ed operativo.
Un esempio per chiarire. La diffusione di cultura digitale (priorità strategica) deve essere tradotta in interventi di profondo cambiamento del sistema formativo a vari livelli (progettazione gerarchica) secondo linee generali e articolazioni specifiche. Un cardine della digitalizzazione dei processi formativi non è l’introduzione dei registri elettronici nelle scuole, né l’uso di tablet per presentazioni in powerpoint, ma deve consistere nella moltiplicazione di iniziative, mirate ad esempio sulla tipologia degli Istituti formativi e sulla differenziazione territoriale, ma che siano incentrate sulla promozione e il sostegno alla diffusione del pensiero computazionale. Non si tratta di insegnare la programmazione, che comunque non nuoce alle menti, bensì di sviluppare forme di concettualizzazione dirette a cercare problemi, cercando la loro soluzione mediante la modellazione formale. Un consiglio per il lettore: cerchi di parlare con qualche giovane in formazione presso l’Associazione francese Le Compagnons du Devoir: anni di formazione lavoro-scuola (non scuola-lavoro), nel corso dei quali applicazioni pratiche e formazione teorica interagiscono nel “produrre” tecnici nelle più svariate attività: dal falegname al carpentiere, al muratore, al tecnico elettronico, e così via.
Nuove traiettorie tecnico-produttive
La seconda questione fondamentale che l’Italia deve affrontare concerne l’apparato produttivo. Uno dei problemi decisivi da porre al centro dell’attenzione è il seguente: a parte le imprese global player e i Centri di ricerca avanzati, è difficile ipotizzare che le sfide generate dalla portata dei cambiamenti da apportare a processi e prodotti, cioè ripensarli su nuove basi tecnico-scientifiche in uno scenario fisico-digitale, possano essere fronteggiate autonomamente dal consistente insieme di unità medio-piccole, prevalentemente basate su conoscenze accumulate localmente nell’arco di decenni.
E’ cambiata -e ancor più cambierà- la base tecnico-scientifica della cultura strategica ed operativa che pervade le sequenze economico-produttive. Bisogna pertanto pensare a nuove traiettorie tecnico-produttive, sulla base di Progetti-Paese, articolati per territori, in modo che tengano conto della varietà di risorse materiali e immateriali, che è una delle connotazioni del nostro Paese più ammirate a livello mondiale.
A questo fine non è salutare esaltarsi per un passato glorioso più o meno lontano: è necessario sviluppare conoscenze innovative e progettualità correlate ad un mondo fisico-digitale in evoluzione, tenendo presente che nell’era dell’incertezza e della complessità chi pensa di avere soluzioni già pronte, magari maldestramente imitando chi ha già avuto successo, porta al disastro.
Torniamo allora alla progettazione strategica e gerarchica, prima indicata. E’ chiaro che devono esserci strumenti di programmazione specificamente motivati con precise responsabilità e al tempo stesso verifiche puntuali dei risultati previsti e conseguiti.
Competenze adeguate cercasi
L’obiezione immediata che per fare tutto questo occorre tanto tempo risente del clima culturale italiano, da superare presto. Se questa per così dire “macchina intelligente” per un’Italia digitale fosse guidata da competenze adeguate, gli obiettivi strategici potrebbero non essere chimere e invece diventare esisti positivi nel breve periodo, anche se non è certamente un’impresa facile cambiare il mindset di un Paese. Non bisogna, però, essere troppo pessimisti: in Italia c’è una minoranza consistente di imprese, Istituzioni, Centri di ricerca e persone già in grado di misurarsi con le nuove sfide e di essere faro di orientamento per il resto, purché si attuino strategie congiunte pubblico-privato, di cui parleremo in un prossimo contributo.
I due pericoli da cui occorre guardarsi
Bisogna guardarsi da due pericoli.
Il primo è la presenza di persone per le quali vale un’affermazione famosa dello scrittore americano Upton Sinclair: “È difficile far capire qualcosa ad un uomo se il suo stipendio dipende proprio da questo suo non riuscire a capire”. Forme di resistenza umana di questa natura sono piuttosto frequenti e costituiscono un ostacolo non banale nei processi di trasformazione.
L’altro pericolo è quello di ripetere un famoso episodio della storia della nostra Penisola. Nell’interessante libro Storia del π greco (Pietro Greco, Carocci) si racconta del soldato romano che uccise Archimede, non avendolo riconosciuto, durante l’assedio di Siracusa. L’uccisione del più grande scienziato dell’antichità è emblematica del successivo dominio di Roma, al quale fu sempre estranea la matematica. Dovranno trascorrere più di un migliaio di anni perché la nostra penisola ridiventi centro propulsore della scienza e della tecnica. In definitiva, l’auspicio è che non si “uccida” la digitalizzazione, perché non se ne conosce adeguatamente la portata e al tempo stesso perché prevalgono altri interessi, quali il potere fine a se stesso.
La nostra convinzione è invece che seguendo lo schema proposto (visione sistemica, priorità strategiche, progettazione gerarchica, competenze appropriate) la favola del bruco che si trasforma in farfalla può essere una realtà in divenire valida anche per noi, il Paese degli ossimori, in cui occorre far presto, ma intanto si rallenta!