La proposta

Fascicolo Digitale del Cittadino: sì, no, forse

Le Regioni lanciano la proposta di Fascicolo Digitale del Cittadino come evoluzione del Fascicolo Sanitario Elettronico: un’ottima idea, a patto di fare (una volta tanto) le cose per bene

Pubblicato il 19 Mar 2015

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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Arriva dal CISIS, nell’ambito delle proposte avanzate dalle Regioni per accelerare la strategia governativa di Crescita Digitale, l’idea del Fascicolo Digitale del Cittadino (FDC).
Roberto Moriondo, rappresentante delle Regioni in seno al comitato di indirizzo dell’AgID, ce lo ha anticipato nei giorni scorsi: si può partire dal Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) e implementare un Fascicolo capace di “mettere insieme” una pletora di “fascicoli settoriali”.
Un’ottima idea, non c’è che dire. Lodevole e interessante, soprattutto sotto il profilo della potenziale semplificazione per il cittadino. Ma anche un’idea “terribilmente sexy” in quanto questo Fascicolo potrebbe diventare uno dei primi “grandi clienti” di SPID e dell’ANPR (anagrafe nazionale della popolazione residente).

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Parafrasando il Dottor Frankestin, verrebbe da esclamare: “si può fare!”
Ed è sicuramente così: si può fare.

A patto di.

Far derivare il FDC dal FSE è un’ottima idea, anche se leggermente viziata da un eccessivo ottimismo.
Come ben sappiamo tutti, il FSE è qualcosa di ancora molto lontano dalla realtà quotidiana: esiste in tre Regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Toscana) e in una Provincia Autonoma (Trento), e non si può certo affermare che sia utilizzato da milioni di cittadini. Nella migliore delle ipotesi, secondo le dichiarazioni delle Regioni interessate, stiamo parlando di piattaforme utilizzate da meno di un milione di utenti.

Stiamo parlando anche di piattaforme che – ad oggi, e al netto da buone intenzioni e progetti in corso – non sono assolutamente interoperabili fra loro: un lombardo non è in grado di far leggere il suo FSE a un medico toscano, e viceversa.
Stiamo parlando, inoltre, di piattaforme “datate” (Lombardia ed Emilia-Romagna sono partite più di dieci anni fa), progettate intorno all’accoppiata “PC – smart card” e ad una user experience “d’antan”.
Nella migliore delle ipotesi, si può affermare che il FDC potrebbe nascere facendo tesoro di un’esperienza progettuale significativa e dell’analisi degli errori (non pochi) commessi in oltre un decennio di FSE.

A partire dalla “madre di tutti gli errori”: considerare il FSE (e il FDC) come “un repository” significa perpetuare l’equivoco che ha ad esempio fatto fallire il primo progetto britannico di fascicolo.
E chi quotidianamente lavora all’interoperabilità dei FSE regionali italiani sa benissimo che il problema vero non è “far parlare repository diversi” (questo è facilissimo), quanto piuttosto “chiamare le cose allo stesso modo” e “organizzare i processi di erogazione dei servizi il più uniformemente possibile”.
Si parte dai processi e dalla semantica, quindi.
Se ci pensiamo bene, è proprio qui che le decine di grandi progetti di e-government hanno fallito: concentrandosi sugli aspetti meramente tecnologici facendo finta che “n” amministrazioni (con “n” piccolo a piacere) gestissero i processi in modo uniforme e con un “vocabolario” condiviso.
L’alternativa è quella di creare un FDC che in realtà diventa una sorta di “cassettone” all’interno del quale si immagazinano informazioni pluriscopo e multifonte. Alternativa che – si badi bene – può funzionare ottimamente, a patto di non concederle “virtù aggiuntive” ad esempio in termini di capacità di analisi  e di “predizione di bisogni”.

Dobbiamo quindi decidere: un FDC “contenitore” o un FDC “piattaforma”?
E ancora: un FDC davvero multiscopo (cittadino, studente, imprenditore, turista, utente dei servizi sociali, automobilista, ecc.) quante probabilità ha di vedere la luce in tempi rapidi?
Qualcuno se le ricorda, le riunioni convocate dall’allora Ministro Nicolais quando si parlava di unificare carta di identità, tessera sanitaria e patente?
Due mesi solo per mettere d’accordo le agende dei partecipanti. E poi, un delirio di paletti e distinguo. Non se ne fece nulla, ovviamente.

E infine: quanti FDC vogliamo realizzare? Uno per ciascuna Regione, come rischiamo di fare col FSE?

Ecco che il tema diventa il solito: la regia, le risorse, il trust fra le diverse amministrazioni.
Con un addendum: la focalizzazione verso quel povero Cristo di cittadino al quale vogliamo offrire uno strumento davvero utile.
Talmente utile – e qui parto con la provocazione – da poter persino pensare di chiedere al cittadino medesimo il pagamento di una fee (piccola a piacere) in cambio di un servizio concretamente percepibile in termini di valore.

In questo modo, il problema relativo alle risorse potrebbe diventare meno complesso, specialmente se le Regioni – una volta tanto – dessero vita ad un progetto unitario mettendo insieme fondi e competenze.

Ben venga il FDC, quindi. Sempre che non sia l’ennesimo “rilancio” a un tavolo da poker. Perchè intorno al tema della digitalizzazione della PA e della Sanità si è già creata sin troppa suspence.

Il momento in cui il cittadino (elettore, non dimenticatelo!) pronuncerà a voce alta il suo “Vedo!” si sta inesorabilmente avvicinando.
Non facciamo che poi avete in mano un tris di 7.

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