Le evoluzioni del Fascicolo sanitario elettronico (vedi articolo) lo rendono candidato ideale per una sua estensione, portando così al massimo il suo ruolo di traino dell’Agenda digitale italiana. Ossia passare dal Fascicolo sanitario elettronico al Fascicolo digitale del cittadino.
Come primo punto si pone da subito il tema di un’estensione del progetto Fascicolo ai dati e alle informazioni socio-sanitarie (l’assistito può essere anziano e malato, ma anche, ad esempio, solo, a basso reddito, con una rete di rapporti sociali limitati, ecc.; e queste informazioni non sono memo importante di quelle sanitarie).
I servizi del Fascicolo del cittadino
Al di là di questo aspetto, altri servizi possono al più presto entrare nel ‘Fascicolo del Cittadino’ (non, quindi, solo Sanitario): servizi scolastici, ambientali, culturali, fiscali, previdenziali, giudiziari, ecc..
Il concetto è semplice: non è il cittadino che va a cercare le informazioni che lo riguardano, ma è il pubblico che le manda a lui in forma non generica e generale, ma personalizzata. Dal registro elettronico scolastico del figlio ai rapporti con l’azienda che eroga gas, acqua, ecc.; ai servizi della biblioteca di quartiere. E poi, nessuno di noi rinuncerebbe a conoscere in tempo reale la propria situazione previdenziale e quella fiscale o giudiziaria, senza dover fare complesse ricerche su questo e quel portale dello stato e dell’ente interessato (ammesso che il servizio sia on line!).
Il Fascicolo del Cittadino non è un progetto sconosciuto all’Agenda Digitale e diversi grandi Comuni ci stanno lavorando.
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I vantaggi di un fascicolo unico
Ma perché allora doppiare i Fascicoli in modo settoriale e territoriale? Facciamone uno unico, almeno a livello regionale, con un concorso congiunto delle Regioni (oggi dotate di una buona rete di società ICT in House, quelle del circuito AssinterItalia), dei Comuni, delle Città Metropolitane e dello Stato Centrale, sotto la regia AgID.
Non ci sarebbero dubbi sul fatto che il FdC (Fascicolo del Cittadino, tout court) diventerebbe l’elemento non solo trainante, ma esplosivo dell’Agenda Digitale Italiana, portando una straordinaria ventata di dematerializzazione nella PA.
Le conseguenze positive per l’economia pubblica e le aziende del marcato ICT sono evidenti: si spingerebbe l’investimento digitale ben oltre i 5 miliardi finora stimati.
La scelta però è culturale, prima che tecnologica e politica. Significa invertire i tradizionali termini del problema: mettere in secondo piano la decennale discussione sui data center – se devono essere uno o trini in ogni regione – sulla connettività (lasciando il tutto veramente al mercato e al cloud) e fare una scelta di respiro culturale europeo: quella dell’investimento culturale e tecnologico sulle reti Citizen Centered, incentrate sull’utente finale, il cittadino.
Per convincersene, basti ripensare a quello che è accaduto negli ultimi vent’anni nel mercato consumer del mobile, che ha trainato tutto il resto (connettività, rinnovamento tecnologico dell’hardware consumer e business, produzione di App, ecc.) a una velocità impressionante.
La dematerializzazione della sanità e della PA dovrebbe per questo – nei piani pluriennali pubblici che si stanno elaborando, anche con impegno – definire le architetture tecno-culturali di un servizio pubblico al cittadino ad Alta Comunicazione. Lasciando di conseguenza alle imprese e alle comunità locali il compito di fornire le mille soluzioni più idonee e funzionali alle esigenze del cittadino. Diversamente rischiamo che accada il contrario e che lo Stato e le Regioni finiscano per produrre qualche App in un quadro strategico tracciato da altri, da qualche grande provider di Internet.