Dopo essere rimasto oltre 20 mesi a Palazzo Chigi, l’atteso DPCM che si occuperà di fornire le regole guida del Fascicolo Sanitario Elettronico è diventato realtà giovedì 3 settembre, con la firma del regolamento del FSE da parte del Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. Si sblocca così uno dei due nodi del FSE. L’altro è legato allo stato di avanzamento del Fascicolo nelle singole regioni italiane.
Secondo la roadmap stabilita dall’Agenzia per l’Italia Digitale, lo scorso 30 giugno tutte le Regioni italiane avrebbero dovuto dotarsi del Fascicolo Sanitario Elettronico. La scadenza è però stata prorogata. Da un lato per i ritardi nei tempi di attuazione da parte della maggior parte delle Regioni, dall’altro – si diceva – per la mancanza del decreto attuativo del Fascicolo.
Tempi invece perfettamente rispettati, per la parte relativa ai propri adempimenti, dall’AgID, che ha provveduto a emanare le linee guida, con le specifiche tecniche per l’interoperabilità; ha approntato un portale dedicato e valutato e approvato i piani di progetto di tutte le Regioni. Ma il ritardo del DPCM ha contribuito a creare una situazione di incertezza: senza decreto infatti le Regioni non sapevano nel dettaglio quello che avrebbero dovuto fare. Un esempio lo fornisce Fiorenzo Corti, Responsabile comunicazione nazionale di Fimmgi: “Attualmente con i referti non vengono trasmesse le immagini; poi come dovremo comportarci? Se si dovranno inviare anche le immagini, nel caso ad esempio di una risonanza magnetica si tratterà di file molto pesanti e sarà necessaria la banda larga in tutte le strutture coinvolte. Ma al momento molte ne sono prive”.
Tornando al DPCM, dal Ministero della Salute ne ricostruiscono il percorso: “Il Ministero della salute, al fine di dare attuazione alle disposizioni contenute nel comma 7 dell’articolo 12 del decreto legge n. 179 del 2012, e successive modificazioni, ha predisposto lo schema di decreto del Presidente Consiglio dei Ministri che disciplina nel dettaglio il fascicolo sanitario elettronico (FSE). Lo schema di DPCM è stato trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai fini del prosieguo dell’iter di adozione del decreto. Su tale DPCM sono stati, inoltre, acquisiti il parere della Conferenza Stato-Regioni il 13 marzo 2014, del Garante Privacy il 22 maggio 2014 e del Consiglio di Stato il 4 dicembre 2014; quindi è stato trasmesso all’ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri ai fini dell’emanazione”. E come già ricordato, lo scorso 3 settembre è arrivata la firma del Ministro Lorenzin.
In ogni caso dal Ministero rigettano ogni possibile legame tra la proroga del termine del 30 giugno e la mancata emanazione del decreto nei tempi attesi: “L’iter di emanazione del succitato DPCM non appare influire sostanzialmente sul percorso di realizzazione del FSE che vede il coinvolgimento di tutte le Regioni del nostro Paese, nella consapevolezza che un pervasivo utilizzo di tale strumento può abilitare modelli assistenziali innovativi, incrementando sensibilmente il livello di appropriatezza delle risposte fornite ai bisogni di salute dei cittadini. Ad oggi, infatti, secondo quanto emerso dalla Ricerca 2015 dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano, la quasi totalità delle Regioni ha avviato le attività per la realizzazione del FSE e sta procedendo nella sua implementazione, anche attraverso la messa in atto di sperimentazioni sul proprio territorio”. Infine, il Ministero ammette che: “Allo stato attuale tuttavia le Regioni presentano un’elevata variabilità in termini di infrastrutture ICT, di architetture applicative, di modalità di informatizzazione del FSE, nonché dei documenti resi disponibili ai propri cittadini”. Ma la maggior parte delle situazioni di ritardo è effettivamente indipendete all’emanazione del DPCM.
Le uniche due realtà pronte alla data del 30 giugno erano l’Emilia-Romagna con il progetto “SOLE” e il Trentino con “TreC”, che offrono ai pazienti un portale in grado di rispondere a tutti i bisogni legati alla sfera della salute e dell’assistenza socio-sanitaria. Si trovano in stato avanzato la Toscana e la Lombardia, ma con alcune lacune: “La Lombardia è quasi pronta – sottolinea Fiorenzo Corti –, ma ad esempio sulla ricetta dematerializzata è decisamente indietro, il suo utilizzo si aggira attorno al 13% contro il 50% di altre realtà”. Percentuale che sale al 90% in Trentino: “A prescindere dall’adozione o meno del Fascicolo Sanitario Elettronico, i cittadini ormai sono abituati ad andare in farmacia senza ricetta cartacea”, sottolinea Leonardo Sartori, Direttore Servizi Sistemi Informativi presso APSS Trento.
Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Puglia e Sardegna hanno attivato almeno alcuni componenti del Fascicolo o ne hanno delegato le funzioni alle Asl; mentre le restanti Regioni, decreto a parte, non avrebbero potuto in ogni caso rispettare la scadenza del 30 giugno.
Le criticità del FSE
Alcune delle principali criticità del Fascicolo Sanitario Elettronico, riguardano i medici di famiglia, che come sottolinea Fiorenzo Corti del Fimmgi, non sono stati direttamente coinvolti nell’attività di comunicazione e informazione sul FSE: “Il Servizio Sanitario Nazionale ha deciso di informare direttamente i cittadini, anche se si è creato un sistema integrato di comunicazione che coinvolge ospedali e medici di famiglia, non c’è niente di istituzionalizzato”.
Un primo aspetto riguarda l’integrazione dei formati: “In Lombardia ad esempio, quando un medico accede alla rete e scarica un referto o degli esami di laboratorio di un paziente ottiene un file in formato Pdf, che deve ricopiare nella scheda sanitaria, senza poter nemmeno fare copia e incolla – spiega Fiorenzo Corti –. Questo genera un sovraccarico di lavoro e un’inutile perdita di tempo”. La soluzione esiste: in Emilia-Romagna, Veneto o nella Provincia autonoma di Trento quando il medico scarica il referto, questo viene automaticamente caricato nella scheda sanitaria. Anche, e soprattutto con l’immissione automatica dei dati nella cartella clinica, si pongono alcuni problemi di responsabilità civile e penale per il medico. “Chiediamo che l’immissione dei dati avvenga in presenza del paziente, in modo che il medico possa eseguire la diagnosi con i tempi dovuti – spiega ancora Corti –. Se ricevo un’ottantina di mail alla mattina e i dati entrano direttamente in cartella, non ho il tempo di analizzarli tutti e rischio ritardi nella diagnosi, mentre il sistema registra l’avvenuto ricevimento delle informazioni. In questo caso potrei incorrere in un reato, per aver omesso o ritardato una diagnosi. Il FSE prevede inoltre che il paziente venga informato quando il medico scarica il referto, ma la cosa non ci piace molto, sarebbe meglio se i dati venissero scaricati alla presenza del paziente”.
Altro punto complesso riguarda la Patience Summary (di cui si parla all’Art. 3 del regolamento), una sorta di riassunto delle caratteristiche e dei problemi clinici dei pazienti, che non è ancora stata contrattualizzata: “manca nel contratto di lavoro di medicina generale e non rientra tra le attività dei medici di base – sottolinea Corti –. Sarà necessario negoziare questa attività e stabilire la divisione dei compiti tra ospedali e medici di medicina generale”.
Col DCPM sono state superate alcune incertezze relative all’uso dei dati inseriti nel FSE: il Capo II regola i “Trattamenti per finalità di cura” del paziente; il Capo III i “Trattamenti per finalità di ricerca”, e infine il Capo IV i “Trattamenti per finalità di governo”, ossia le finalità di programmazione sanitaria, di verifica della qualità delle cure e di valutazione dell’assistenza sanitaria. Ora bisognerà che le Regioni rendano operativo l’accesso alle informazioni nelle tre diverse tipologie di trattamento.
Inoltre bisognerà attivare la possibilità di compilazione del FSE da parte dei pazienti, elemento essenziale per acquisire le informazioni relative e visite effettuate privatamente, al di fuori del Sistema Sanitario Nazionale (prevista all’Art. 4 – Taccuino personale dell’assistito). Senza dimenticare la partita della sicurezza per l’accesso e della privacy. Su quest’ultimo punto, nello specifico, risalta il diritto all’oscuramento (Art. 8), che permette ai pazienti di non inserire nel FSE alcuni dati, relativi ad esami specifici o a patologie che non si vogliono condividere. La normativa prevede inoltre il diritto all’oscuramento dell’oscuramento, per non far sapere che si è deciso di oscurare alcuni dati. Questi elementi di segretezza, nella diagnosi di alcune malattie potrebbero creare non pochi problemi ai medici curanti.
Buone pratiche
Un esempio virtuoso è quello offerto dalla Provincia Autonoma di Trento, realtà particolarmente avanzata sui servizi digitali. “Le ricette dematerializzate sono ormai all’ordine del giorno, i referti sono quasi interamente consultati online, soprattutto per quanto riguarda quelli cosiddetti ritardati, come le radiografie o le risonanze: ad oggi siamo a oltre 200 mila referti, per un totale di 31 mila persone che li usano – snocciola i dati Leonardo Sartori –. E il Fascicolo Sanitario Elettronico è stato attivato dal 10% degli assistiti, circa 52 mila, su una popolazione di 530 mila persone”.
La piattaforma adottata si chiama TreC – Cartella Clinica del Cittadino, ma come sottolinea Sartori, ci sono altre tre “C” altrettanto fondamentali, che hanno permesso alla Provincia Autonoma di Trento di arrivare preparata alla data del 30 giugno: “Condivisione tra tutti gli attori e i professionisti interessati dal Fse, medici, farmacisti e informatici; comunicazione con i cittadini per tenerli informati e aggiornati e coraggio di cambiare, anche senza aspettare le normative. Per incentivare l’uso delle soluzioni digitali in ambito sanitario due elementi si sono rilevati fondamentali: abbiamo sostituito il lettore della Carta Sanitaria Elettronica, che ne rappresentava un ostacolo all’impiego, con una matrice in cui immettere i numeri del codice; inoltre abbiamo consentito l’accesso in mobilità attraverso un’app con lo SPID – Sistema Pubblico per la gestione dell’Identità Digitale”.
Così come avviene in Emilia-Romagna, anche nella Provincia Autonoma di Trento la comunicazione dei referti avviene in formato Pdf e contemporaneamente i dati vengono inseriti in automatico nelle cartelle digitali dei medici, per accelerare i procedimenti. “Inoltre, abbiamo investito molto per quanto riguarda la tutela della privacy – aggiunge Sartori –. Il cittadino accedendo al FSE deve fornire il proprio consenso ad ogni singola operazione che apre, in modo da garantire il diritto all’oscuramento”.
Il modello TreC è stato concesso in riuso dalla Provincia Autonoma di Trento alla Valle d’Aosta e alla Provincia Autonoma di Bolzano ed è inserito nel Catalogo nazionale dei programmi riusabili. “Rappresentiamo una realtà particolare, per le dimensioni ridotte del nostro territorio, e forse il nostro modello può non essere perfetto per territori più complessi, come la Lombardia o il Lazio – spiega Sartori –, ma può rappresentare un punto di partenza, anche se il meccanismo del riuso non è così scontato. Comunque ci mettiamo a disposizione”.
Emanato il regolamento, slittata la scadenza del 30 giugno – ritardo considerato da Sartori “fisiologico, soprattutto per le regioni più grandi, considerati i tempi stretti” –, adesso ce n’è un’altra alle porte, quella del 31 dicembre quando dovrà essere attivata l’interoperabilità tra Regione e Regione, con un sistema unificato su tutto il territorio nazionale. Il 6 maggio l’AgID ha pubblicato le Specifiche tecniche di interoperabilità. A questo punto la palla passa alle Regioni.