Quello ultimato ad agosto è il terzo decreto di un governo italiano in meno di un anno a occuparsi di Sanità sottolineando la centralità del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE). Prima del Decreto “Fare” di Letta abbiamo avuto il Decreto “Crescita 2.0” di Passera e, prima ancora, il Decreto Balduzzi. Tutti i provvedimenti hanno ribadito la centralità del FSE in ogni percorso che ambisca a sfruttare le tecnologie digitali per ridurre gli sprechi e aumentare la qualità del nostro sistema sanitario. Da una prospettiva orientata alla “Razionalizzazione dell’attività assistenziale e sanitaria” (Balduzzi) si è passati alla necessità di “Sfruttare le leve in grado di combinare razionalizzazione e sviluppo” (Passera), fino ad arrivare all’urgenza del “Fare” il prima possibile (Letta) – fissando scadenze e budget di spesa. Bene. Sono passi nella direzione giusta: una rivoluzione digitale della nostra Sanità più volte annunciata ma mai concretizzata pienamente. Tuttavia ci sono una serie di nodi da sciogliere.
Il Governo Letta chiede a Regioni e Province Autonome di presentare un piano di realizzazione del FSE entro la fine di quest’anno e, per la sua realizzazione, mette sul piatto 10 milioni di euro per il 2014 e 5 milioni a partire dal 2015. Abbiamo meno di sei mesi di tempo per trovare questi soldi e capire come usarli al meglio. Come al solito a questo punto le cose si fanno un po’ complicate. La copertura finanziaria è da chiedere al Ministero dell’Economia su proposta dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Il primo ha parecchie grane da gestire – IMU e bilanciamento dei conti dello stato su tutti. La seconda stenta a far “decollare” un’operatività che possa essere definita tale.
Le risorse economiche sono tuttavia il minore dei problemi. Anche con riferimento a uno solo dei venti sistemi sanitari regionali Italiani, le differenze tra aziende ospedaliere in termini di impiego delle tecnologie digitali sono così marcate che si rischia di sprecare una buona occasione per produrre piani molto belli sulla carta ma inefficaci nella pratica. Per evitare di cadere in questo errore è opportuno mettere il più possibile a fattor comune le buone pratiche e favorire investimenti complementari al FSE – investimenti che consentano di liberare risorse per sostenere uno sviluppo digitale omogeneo della nostra Sanità. Forse un minimo di contestualizzazione e qualche numero aiutano a capirsi meglio. Lasciatemi fare il professore per poche righe.
Un FSE è nient’altro che una soluzione digitale che raccoglie in un unico spazio virtuale e consente di gestire in modo integrato tutti i dati relativi ai pazienti, originati dai diversi titolari del trattamento operanti in uno stesso ambito territoriale. La maggioranza di questi dati è generata dalle strutture sanitarie. Se, come succede in gran parte d’Italia, tali strutture si trovassero sprovviste di Cartelle Cliniche Elettroniche (CCE) mature e interoperabili tra loro, un FSE non potrebbe accedere alla gran parte dei dati che lo renderebbero efficace nel razionalizzare gli sprechi e nel migliorare i percorsi di cura. Sarebbe come investire nella costruzione di un sistema ferroviario per mettere in comunicazione due città senza merce da scambiarsi.
Ad eccezione di Lombardia ed Emilia Romagna – tutte le regioni italiane hanno ancora molto da fare in termini di FSE. Tuttavia poco sarà fattibile se – come evidenziato dagli ultimi dati degli Osservatori del Politecnico – solo il 6% delle cartelle cliniche italiane risulta essere completamente dematerializzato. Bisogna fare i conti con la realtà. Gran parte dei dati sui pazienti sono sepolti nei processi delle strutture sanitarie e inaccessibili a qualunque altro attore che non li abbia generati. È questo il contesto in cui – in meno di sei mesi – si chiede a Regioni e Province Autonome di stendere dei piani di sviluppo di un FSE regionale. Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi fissati dal Governo servono vere e proprie roadmap di sviluppo digitale, che tengano conto dell’attuale livello di digitalizzazione dei vari attori – soprattutto delle strutture sanitarie – e che portino avanti sviluppi omogenei a livello sistemico e aziendale. Tali roadmap devono consentire a regioni e strutture sanitarie di pianificare dei percorsi di progressiva digitalizzazione dei servizi di cura e assistenza che siano coerenti tra di loro, che sfruttino tutte le sinergie presenti tra di essi e adottino un orientamento di lungo periodo.
L’alternativa è continuare ad avere un insieme di sistemi sanitari che non avanza di un centimetro nella sua digitalizzazione.