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Ferrante: “Una proposta di Governo aperto anche per proteggere i whisteblowers”

Pubblicato il 11 Lug 2016

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Whisteblowing: parola ad oggi intraducibile, ma istituto certamente utile per prevenire e contrastare corruzione e fenomeni illegali. S’intende il lavoratore del pubblico o del privato che segnala (tramite canali ad hoc interni ed esterni) un pericolo, un episodio opaco o una cattiva gestione amministrativa a cui assiste.

All’assenza del termine corrisponde un vuoto che è sia culturale che normativo. Se è difficile diffondere in Italia una cultura della “non cooperazione” alla corruzione, è anche vero che esiste un’insufficienza normativa: non può bastare un unico insufficiente articolo della Legge anticorruzione 190/12, il quale non garantisce le adeguate tutele ai segnalanti.

In questo quadro d’incertezza e confusione (tra denuncia e segnalazione, tra anonimato e riservatezza, tra i diversi destinatari di segnalazione), a cui si aggiunge una riforma ferma da tempo al Senato, provano a diffondersi alcune prassi di enti pubblici e privati che non riescono a superare la dimensione dell’esperimento pilota, così come sono ancora residuali quelle tecnologie messe a disposizione per la gestione le segnalazioni che arrivano via telematica. Anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), che ricopre il ruolo di Authority per il whistleblowing, fatica a proporre linee guida coerenti per tutti gli enti.

Ciò che è certo è che va garantita una riflessione sistemica al fine di porre al centro dell’attenzione il segnalante di corruzione, più che ogni prassi o strumento digitale.

Se si parte dall’idea che il potenziale whistleblower vive il “dilemma etico” di chi ha assistito a qualcosa di illegale, o che già sperimenta gli effetti nefasti di un non volersi adeguare a prassi di malaffare diffuse sul suo luogo di lavoro (pressioni, mobbying, demansionamenti), è evidente come occorra garantire da un lato un accompagnamento e orientamento della persona che può venire solamente dalla società civile, dall’altro le migliori tutele grado di non esporlo a rischi.

È dunque prioriraria una cooperazione tra soggetti civici (che indirizzano i potenziali whistleblower ai canali di segnalazione) e enti pubblici e privati (che si dotano delle migliori policy e tecnologie) finalizzata a garantire l’emersione di prassi di malaffare tramite quest’istituto. Tale sfida è quella che le associazioni aderenti all’Open Government Partnership hanno messo sul tavolo delle proposte.

Non basta: accanto a ciò, per fare un ulteriore scatto in avanti nella cultura dell’integrità, occorre estendere i servizi di segnalazione (pur pensati per i lavoratori) all’intera società civile, al fine di garantire l’emersione di segnali di allarme dall’esterno e non solo dall’interno, diffondendo la pratica dell’ “agente civico”, ossia del cittadino segnalante. Esistono in Italia associazioni che svolgono il ruolo di “watchdog civici” che volentieri si premurerebbero di raccogliere e utilizzare segnalazioni, ma vanno immaginate prassi formali e percorsi di incoraggiamento non solo civico per rendere reale tale pratica anche in Italia.

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