L’astensionismo record delle ultime elezioni regionali (il 37,2% di affluenza nel Lazio e il 41,6% di affluenza in Lombardia rappresentano il dato più basso di partecipazione al voto degli ultimi 53 anni) non stupisce affatto se inquadrato nel trend complessivo di abbassamento della partecipazione che ha contraddistinto le elezioni italiane negli ultimi anni. Basti pensare alle elezioni politiche dello scorso settembre, dove la partecipazione al voto si è fermata al 64%, quasi 10 punti in meno rispetto al 2018, segnando l’affluenza più bassa nella storia repubblicana.
Firma digitale per i referendum, l’Italia nega un diritto: il Governo deve intervenire
Nuove modalità e strumenti per rilanciare la partecipazione civica
Diventa allora fondamentale ricordarsi che la politica non si esaurisce nella dimensione elettorale, e che se i cittadini sono sempre meno interessati dalle elezioni, la partecipazione civica va rilanciata attraverso nuove modalità e strumenti.
Se in Italia suona ancora stravagante guardare a nuove forme di democrazia come le assemblee di cittadini estratti a sorte che invece prendono piede in tutto il mondo per rispondere ai problemi che le assemblee elette non affrontano, basterebbe restare sugli istituti di democrazia diretta previsti dalla nostra costituzione, come il referendum abrogativo. Quale strumento migliore per rilanciare la partecipazione, se non quello che i padri costituenti avevano pensato per affidare ai cittadini la facoltà di abrogare le leggi del Parlamento, così da controllare e contenere il potere dei rappresentanti eletti? Peccato però che il referendum in Italia sia uno strumento monco.
Lo dicono ormai anche le Nazioni Unite che con la storica decisione Staderini-De Lucia vs Italia nel 2020 hanno accertato che vi sono irragionevoli ostacoli all’attivazione di questo istituto: dalla presenza di autenticatori quasi sempre disponibili solo per i partiti che possono contare su schiere di eletti nei consigli comunali e regionali, fino alle onerose procedure burocratiche come l’occupazione di suolo pubblico e la vidima dei moduli. Per arginare questi ostacoli e attenersi agli obblighi internazionali che chiedono di rivedere la legge sui referendum risalente al lontano 1970, il Parlamento italiano ha approvato quasi tre anni fa una legge per la creazione di una piattaforma pubblica che permetta di firmare digitalmente i referendum, una modalità che supera tutti gli oneri ancora presenti per le firme da raccogliere su carta.
Un diritto ancora negato
Il governo era tenuto a far entrare in funzione a gennaio 2022 questa piattaforma per la raccolta di firme digitali su referendum e iniziative popolari, eppure ad oggi non ha ancora attuato quanto prescritto dalla legge di bilancio del 2020. La realizzazione della piattaforma rappresenterebbe il completamento di quanto conquistato nell’estate 2021 quando, grazie ai ricorsi all’ONU di Mario Staderini, alla pressione pubblica dell’Associazione Luca Coscioni e all’emendamento presentato in Parlamento da Riccardo Magi, si è ottenuta la possibilità di firmare con SPID referendum e iniziative popolari: una conquista che ha permesso di raggiungere il quorum di firme sui due referendum di iniziativa popolare eutanasia e cannabis, un fatto che non accadeva da 10 anni (a ben guardare, gli ultimi referendum che si sono tenuti dopo il 2011 sono stati di iniziativa governativa o regionale, mai popolare).
Peccato però che ad oggi, in assenza di una piattaforma pubblica e gratuita, il costo di ogni firma (circa 1 euro l’una) ricade sui comitati promotori: un enorme ostacolo economico all’attivazione della democrazia, se si pensa che in caso di bocciatura dei referendum non è previsto rimborso (citofonare ai comitati eutanasia e cannabis per credere). La violazione di legge ancora in corso riguarda dunque sia il governo in carica che quello che lo ha preceduto. Il Governo Draghi ha impiegato più di un anno e mezzo per licenziare il decreto di entrata in funzione della piattaforma, che ha visto la luce soltanto ad ottobre 2022. Quantomeno però l’allora Ministro competente per la transizione digitale, Vittorio Colao, aveva in più occasioni manifestato pubblicamente il proprio impegno a portare a termine il progetto. Oggi il Governo Meloni ha trasferito la competenza sulla realizzazione della piattaforma al Dipartimento per la Trasformazione Digitale, sotto la guida del Sottosegretario Alessio Butti. Per mesi la piattaforma è stata in fase di test, e oggi il sito non risulta neppure raggiungibile, senza che siano mai stati presi impegni pubblici sulla sua entrata in funzione.
L’Associazione Luca Coscioni e Eumans, alcuni tra i soggetti che hanno più a cuore il tema della democrazia partecipativa e che hanno seguito da vicino gli sviluppi legati alla piattaforma, hanno chiesto due incontri al Sottosegretario, senza mai ricevere risposta. Da parte di chi, come il Governo Meloni, ribadisce a più riprese la necessità di avvicinare le istituzioni alla cittadinanza, ci si aspetterebbe un’attenzione diversa, e non l’inazione di questi mesi.
L’appello dell’Associazione Luca Coscioni e Eumans
Ecco perché le due organizzazioni hanno deciso di lanciare un appello pubblico, a firma di Marco Gentili, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, affetto da SLA, impegnato da anni per l’abbattimento degli ostacoli per il pieno godimento dei diritti civili e politici grazie al digitale. L’appello, che ha raccolto oltre 46.000 firme, chiede al governo di rispettare l’obbligo di legge e rilasciare la piattaforma senza ulteriori ritardi. Forti di questo sostegno Eumans e l’Associazione saranno in piazza Santi Apostoli a Roma il 7 marzo alle 16: 00.
Una manifestazione che vede già l’adesione di Volt, Riprendiamoci il comune, Servizio Pubblico, Movimenta, Io Cambio, e che sta aggregando ancora altre reti con obiettivi e visioni del Paese diverse tra loro, ma accomunate dalla volontà di attivare iniziative popolari e democrazia dal basso.
Se si considera davvero una priorità quella di rivitalizzare la partecipazione, da qualche parte bisognerà cominciare, e basterebbe farlo da un passo concreto: restituire il referendum in mano ai cittadini, per permettergli di intervenire nella vita politica. Sarebbe un segnale di serietà nella presa in carico del problema democrazia, che per il momento tarda ad arrivare.