In questa sede, non intendiamo prendere posizioni di approvazione o meno dell’operato del legislatore, ci basta sottolineare che, nella nostra opinione, c’è comunque un’idea di fondo da parte di quest’ultimo che può essere implementata solo avendo dei processi dei ruoli e delle responsabilità ben definite in un ente.
Ancora di più, non intendiamo scendere nel merito dell’incisività di questa tipologia di trasparenza descritta dal legislatore nella lotta alla corruzione; ma possiamo dire, concretamente, che il lavoro dei dipendenti di un ente è tutt’altro che semplice nella molteplicità degli adempimenti introdotti aggiungendo che anche la scelta di un buon sistema automatizzato di pubblicazione degli atti e dei dati che si integri con uno di protocollo e gestione documentale risulta ardua considerando, che, selezionare un sistema o un altro, implica l’avere idee ben chiare sui requisiti da porre (e da riportare in un capitolato di gara).
Senz’altro, dal punto di vista del cittadino la ricerca dei dati e dei documenti è sicuramente agevolata dalla conoscenza della struttura e dell’ordine dei dati che troverà sul sito, ciò, in quanto, ad egli è data facoltà di ricorrere verso l’amministrazione in particolare per la pubblicazione dei dati stessi (e non solo ricordando ancora il nuovo concetto di accesso civico).
Scopo del presente articolo è proprio vedere le implicazioni dal punto di vista operativo della nuova strutturazione dei dati. E’ sovente, infatti, che negli enti ci si ponga domande del tipo: dove pubblicare un certo atto o taluni dati della PA, se pubblicare o meno degli allegati ecc., le implicazioni rispetto alla privacy della pubblicazione di talune informazioni.
Bisogna purtroppo segnalare che, spesso, negli atti della pubblica amministrazione si vedono frasi del tipo “si dispone la pubblicazione nella sezione amministrazione trasparente” dando quasi per scontato che chi eseguirà la disposizione sappia già cosa pubblicare, dove, quali dati oscurare e per quali dati riportare l’atto nella propria interezza o solo delle tabelle riassuntive.
Bene, cominciamo a chiederci quale è il servizio che si intende fornire alla collettività. Evidentemente un cittadino ha necessità di sapere informazioni del tipo: come vengono spesi i soldi pubblici, dati sui concorsi e sulle modalità di valutazione, curriculum dei politici e dei dipendenti apicali, dati sui contratti già solo per fare dei primi esempi.
E’ importante che questi atti o in generale dati siano integri, aggiornati, completi, semplici da consultare, comprensibili, conformi ai documenti originali in possesso dell’amministrazione, e sia ben chiara la loro provenienza e riutilizzabilità (senza quest’ultima potremmo trovarci tutte le mail dei dipendenti della PA spammate di pubblicità e i telefoni tempestati di chiamate di operatori di call center).
Ebbene già intuitivamente siamo riusciti a definire il requisito di qualità dei dati che il d.lgs. 33/2013 identifica all’articolo 6:
Art. 6 Qualità delle informazioni
1. Le pubbliche amministrazioni garantiscono la qualità delle informazioni riportate nei siti istituzionali nel rispetto degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge, assicurandone l’integrità, il costante aggiornamento, la completezza, la tempestività, la semplicità di consultazione, la comprensibilità, l’omogeneità, la facile accessibilità, nonché’ la conformità ai documenti originali in possesso dell’amministrazione, l’indicazione della loro provenienza e la riutilizzabilità secondo quanto previsto dall’articolo 7.
2. L’esigenza di assicurare adeguata qualità delle informazioni diffuse non può, in ogni caso, costituire motivo per l’omessa o ritardata pubblicazione dei dati, delle informazioni e dei documenti.
Nella sostanza la qualità dei dati è una precondizione essenziale e non si può prescindere da essa nemmeno nei casi in cui, nel novellato decreto, si può limitarsi a pubblicare semplicemente il link alla base dei dati contenente le informazioni di interesse (art. 9-bis). Se è vero, infatti, che l’art. 9-bis permette di sostituire la pubblicazione dei dati con il link alla base di dati, evidentemente per evitare inutili duplicazioni situazione sconsigliata come più volte sottolineato dal Garante per la Privacy, è, allo stesso tempo, importante sottolineare che i dati devono essere pubblicati dalla base dati di cui si riporta il link con gli stessi requisiti di qualità dell’articolo 6 prima richiamato. Riportiamo, per semplicità di lettura, il testo dell’articolo 9-bis:
Art. 9-bis Pubblicazione delle banche dati)
1. Le pubbliche amministrazioni titolari delle banche dati di cui all’Allegato B pubblicano i dati, contenuti nelle medesime banche dati, corrispondenti agli obblighi di pubblicazione di cui al presente decreto, indicati nel medesimo, con i requisiti di cui all’articolo 6, ove compatibili con le modalità di raccolta ed elaborazione dei dati.
Questo significa che:
1. Una pubblica amministrazione che detiene una banca dati che sia soggetta a pubblicazione o solo da parte sua o come destinazione di un link della sezione “Amministrazione Trasparente” di un’altra pubblica amministrazione ha il dovere di pubblicare questi dati nel rispetto dei requisiti di qualità dell’articolo 6 tranne il caso in cui dimostri che le modalità di raccolta ed elaborazione dei dati non permettano una loro rappresentazione aderente a tali requisiti (ed in tal caso ci sentiremmo tanto di raccomandare alla pubblica amministrazione che intende pubblicare il solo link di cercare di pubblicare i dati per intero con un buon livello di qualità, a discapito si di una duplicazione di informazioni, ma guadagnandoci in termini di trasparenza.
2. Una pubblica amministrazione non può comunque trovare scuse sulla non buona qualità dei dati di cui dispone per evitarne la pubblicazione (art. 6 comma 2 prima richiamato).
Stiamo ripetutamente usando il termine “qualità” per i dati eppure sarebbe di considerevole importanza capire come è possibile misurare la qualità dei dati stessi, cioè possono esistere dei dati qualitativamente buoni ed altri meno buoni in accordo alla definizione di qualità data proprio dall’articolo 6.
Il legislatore non si pronuncia su questo, almeno per ciò che riguarda la trasparenza… sembra alla fin fine che la qualità sia un valore binario: o c’è o non c’è, ma nella realtà le cose vanno molto diversamente. Facciamo un piccolo esempio: è evidente che i requisiti di semplicità, di consultazione, di comprensibilità, ed omogeneità facciano pensare direttamente a dati in formato aperto. Precisiamo fin da subito che con i termini “dato aperto” e “dato in formato aperto” si intendono due concetti differenti: ed un dato aperto è accessibile anche in formato aperto. La figura successiva presa dall’articolo 68 del Codice dell’Amministrazione Digitale ci da l’idea:
Per il nostro concetto di qualità dei dati e della sua misurabilità soffermiamoci al requisito dell’apertura dei dati. Aperto significa quindi disponibile, accessibile anche attraverso procedure informatizzati e rappresentati allorché sono “esposti” ai potenziali utenti in formato aperto.
Un dato è tanto più aperto quanto è più facilmente non solo comprensibile ad un umano, ma elaborabile da una macchina. E’ chiaro che le due cose, elaborabilità e umana comprensibilità non sono sempre direttamente proporzionali: una fattura elettronica, ad esempio, in formato xml è sicuramente altamente elaborabile da parte di una macchina, ma poco amichevole per un utente umano. Dov’è allora il raggiro? In realtà non c’è contraddizione in quanto l’elaborabilità da parte di una macchina permette facilmente di convertire, ad opera della macchina stessa, i dati in un formato molto comprensibile all’utente, dal quale egli potrà trovare informazioni di sintesi.
Si pensi, ad esempio, al caso dei dati sui contratti pubblici inviati all’ANAC e da questa pubblicati sui quali sarebbe molto semplice con una app o con un classico Excel trovare informazioni di sintesi sull’attività delle pubbliche amministrazione per poter, magari, comprendere quali spendano di più in determinati settori merceologici, informazione che se ben gestita può essere oro per molte aziende.
Nel caso dei dati aperti un’autorevole misura della qualità dei dati è data dalla scala di Tim Barners Lee che riportiamo di seguito
Senza entrare molto nei dettagli della figura (esulando poi un po’ troppo dal nostro scopo) possiamo dire che essa conferma in una scala a 5 livelli di valori che ci sono vari livelli di apertura dei dati. Questo è il motivo per cui una scansione di un file in pdf è un dato aperto, ma “meno aperto” di un documento di testo in pdf in quanto le elaborazioni fattibili su quest’ultimo possono essere molto più articolate. Come ultima cosa sui dati aperti precisiamo fin da subito che, nel contesto dell’amministrazione trasparente, è quanto mai opportuno, come richiamato dal Garante della Privacy nelle proprie linee guida del 2014 sulla Privacy e trasparenza on line della P.a., introdurre sulla pagina di amministrazione trasparente un avviso secondo il quale i dati personali pubblicati sono riutilizzabili solo alle condizioni previste dalla normativa vigente sul riuso dei dati pubblici (direttiva comunitaria 2003/98/CE e d. lgs. 36/2006 di recepimento della stessa), in termini compatibili con gli scopi per i quali sono stati raccolti e registrati, e nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali.
Ciò, proprio per prevenire fin da subito qualunque abuso dei dati pubblicati….eh sì ce ne sono anche di sensibili, come vedremo negli articoli successivi.
Siamo quindi giunti “all’ingresso” della nostra sezione web dove facciamo la precisazione appena descritta sul riuso. Nei prossimi articoli vedremo in un linguaggio altrettanto semplice:
1. cosa si pubblica
2. come si pubblica
3. cos’è cambiato dopo il d.lgs. 97/2016
4. il processo di pubblicazione dei dati e la suddivisione delle responsabilità
Se l’articolo ti è piaciuto saremo lieti di averti come lettore per i successivi.