Con la Circolare n. 2/2017, redatta dal Dipartimento della Funzione Pubblica, in sinergia con l’ANAC, e firmata il 6 giugno scorso dalla Ministra Marianna Madia s’introduce per la prima volta nel FOIA il dialogo collaborativo tra PA e cittadino.
Un dialogo, ad oggi, pressoché inesistente nelle Linee Guida ANAC (LG) del 28 dicembre 2016 le quali, almeno in prima applicazione, sembrano aver fornito alle Amministrazioni, nei primi mesi di sperimentazione, dei presupposti per negare l’accesso aldilà delle stesse condizioni stabilite dal D.lgs. 33/2013 (così come novellato dal Dl.gs 97/2016) che, invece, giustificano il diniego solo in presenza delle eccezioni previste a tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevante. Limiti che le stesse linee guida avevano interpretato in modo più restrittivo lasciando ai funzionari pubblici la discrezionalità di decidere in base ad una tecnica valutativa di bilanciamento che è descritta senza alcuna precisazione operativa di comportamento (anche perché priva di riferimento a casi reali pratici).
Quindi una richiesta meramente esplorativa o generica perché priva dell’esatta specifica di elementi quali descrizione, fonte, autore (e destinatario se trattasi di documento), natura e periodo temporale di riferimento poteva (può in realtà fino a quando non cambieranno le LG) giustificare, già in sede di prima istanza, il diniego. Come se il richiedente fosse obbligato a conoscere preventivamente le informazioni oggetto della propria richiesta venendo, cosi, meno già all’origine il soddisfacimento di tale diritto. È per questo stesso motivo che durante la consultazione del testo preliminare del FOIA i rappresentanti della società civile erano riusciti a far cancellare l’obbligo da parte dei cittadini (e non) di identificare ‘chiaramente‘ i dati l’oggetto della istanza (tale rimozione è sottolineata dalla stessa Circolare).
Con la Circolare si fa un passo indietro: la richiesta da parte delle PA di elementi specifici al cittadino diviene una facoltà o meglio un’opportunità per l’istante che “potrebbe essere aiutato ad individuare l’ufficio competente, i principali settori o gli ambiti di competenza e le sue articolazioni”, attraverso la loro consultazione nella “modulistica o nella pagina web dedicata all’accesso generalizzato”.
Se con le LG le PA avevano la possibilità di negare, da subito, l’accesso in tali circostanze, oggi il testo recentemente approvato prevede che questo non può accadere “perché la conoscibilità del dato o documento potrebbe arrecare un generico danno all’amministrazione o alla professionalità delle persone coinvolte; oppure per generiche ragioni di confidenzialità delle informazioni; o ancora per ragioni di opportunità, derivanti dalla (insussistente) opportunità o necessità di consultare gli organi di indirizzo politico”. Di fronte ad una “richiesta formulata in termini talmente vaghi da non consentire di identificare l’oggetto della pretesa conoscitiva o volta ad accertare il possesso di taluni dati o documenti da parte dell’amministrazione” la PA “dovrebbe, invece, assistere il richiedente al fine di giungere ad un’adeguata definizione dell’oggetto dell’istanza”.
Pertanto “l’amministrazione dovrebbe ritenere inammissibile una richiesta formulata in termini generici o meramente esplorativi soltanto quando abbia invitato (per iscritto) il richiedente a ridefinire l’oggetto dell’istanza o a indicare gli elementi sufficienti per consentire l’identificazione dei dati o documenti di suo interesse, e il richiedente non abbia fornito i chiarimenti richiesti. Quindi “soltanto qualora il richiedente non intenda riformulare la richiesta entro i predetti limiti, il diniego potrebbe considerarsi fondato, ma nella motivazione del diniego l’amministrazione non dovrebbe limitarsi ad asserire genericamente la manifesta irragionevolezza della richiesta, bensì fornire una adeguata prova, in relazione agli elementi sopra richiamati, circa la manifesta irragionevolezza dell’onere che una accurata trattazione dell’istanza comporterebbe”.
Se nelle LG non si sostanziava, in modo soddisfacente, in cosa consistesse la manifesta irragionevolezza di un’istanza nel riferirsi ad “oggettive condizioni suscettibili di pregiudicare in modo serio ed immediato il buon funzionamento dell’amministrazione” ora con la Circolare si inizia a chiarire che la ragionevolezza della richiesta va valutata tenendo conto di una serie di elementi, quali la quantità dei dati e documenti richiesti, l’eventuale attività di elaborazione necessaria a rendere quei dati e documenti disponibili, il numero di ore di lavoro necessarie per rispondere all’istanza, l’impatto cumulativo che ne scaturirebbe dall’esame di più istanze, entro un periodo di tempo limitato, che verrebbero proposte dallo stesso soggetto (o una pluralità di soggetti riconducibili a un medesimo ente).
Nel Regno Unito sono state adottate al riguardo delle contromisure come far pagare il lavoro svolto dai propri civil servant dopo una soglia prestabilita, negli USA si paga tutto (è prevista persino una tariffa oraria a seconda del livello del dipendente) anche se l’esito delle ricerche non ha fornito risultati. Ma se, in Italia, invece, vige il principio Open Data by default (art 52 del CAD), secondo il quale tutto quello che viene pubblicato da una Pubblica Amministrazione, senza l’espressa adozione di una licenza, s’intende rilasciato come dati di tipo aperto, e quindi, ai sensi all’articolo 68, comma 3 del CAD, è accessibile, riutilizzabile gratuitamente tramite l’uso automatico da parte di programmi per elaboratori, quale lavoro di ricerca, individuazione, estrazione, disponibilità e pubblicazione dovrebbero mai effettuare i funzionari pubblici?
Un intero capitolo della Circolare è dedicato al dialogo con i richiedenti basato sull’esigenza di “soddisfare l’interesse conoscitivo su cui si fondano le istanze di accesso” e “le finalità di partecipazione e accountability proprie del c.d. modello FOIA”. “Un obbligo di erogare un servizio conoscitivo”, quello posto a carico delle PA dal nuovo D.lgs. 33/2013, che consiste nel “condividere con la collettività il proprio patrimonio di informazioni”. Per il raggiungimento di questo obiettivo vengono, per la prima volta, suggerite, nel dettaglio, alcune modalità di comportamento: sia subito dopo la presentazione dell’istanza che entro il termine di conclusione del procedimento con tutta una serie di accorgimenti per le PA che possano guidare correttamente il richiedente ad esercitare, nel modo migliore possibile, il proprio diritto conoscitivo.
Ma il dialogo cooperativo si sostanzia non soltanto nell’assistenza che la PA deve dimostrare ai richiedenti ma prima ancora che gli stessi presentino la loro istanza con le informazioni generali di ausilio che gli stessi dovrebbero trovare nella pagina sull’“Accesso generalizzato” della sezione “Amministrazione trasparente” (con link nella home page) in merito ai seguenti elementi:
- procedura da seguire per presentare una domanda di accesso generalizzato,
- rimedi disponibili,
- nome e i contatti dell’ufficio che si occupa di ricevere le domande di accesso,
- indirizzo di posta elettronica dedicato alla presentazione delle domande (n. 2 poi vedremo il perché),
- due moduli standard utilizzabili, rispettivamente, per proporre una domanda di accesso generalizzato e una domanda di riesame
Importantissimo è il chiarimento fornito: ciascuna PA può regolamentare solo esclusivamente i profili procedurali e organizzativi di carattere interno ma per quanto attiene quelli di rilevanza esterna che incidono sull’estensione del diritto, come appunto la disciplina dei limiti o delle eccezioni al principio dell’accessibilità, gli stessi devono ritenersi coperti dalla riserva di legge assoluta, pertanto, le Amministrazioni non possono individuare con regolamento le categorie di atti sottratti all’accesso generalizzato (diversamente da quanto previsto dall’art. 24, c. 6, l. n. 241/1990 come invece fu indicato nella versione preliminare delle LG).
Poiché le amministrazioni possono fondare i dinieghi esclusivamente sulle base dei limiti posti dall’art. 5-bis (la compressione del diritto di accesso generalizzato è possibile soltanto quando ciò sia “necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi espressamente individuati dallo stesso articolo, ai commi da 1 a 3” tanto da” ritenere illegittimi i dinieghi fondati su motivi diversi da quelli riconducibili ai limiti indicati”) ne deriva che le stesse PA non possono precisare la portata delle eccezioni legislativamente previste, né tantomeno aggiungerne altre, mediante atti giuridicamente vincolanti, ad esempio di natura regolamentare
Con la Circolare viene ribadito il diritto di conoscenza come diritto fondamentale e rafforzato il carattere democratico dell’ordinamento attraverso il controllo diffuso sull’azione amministrativa esercitabile proprio tramite l’accesso generalizzato.
Importantissimo è stato sancire anche il principio della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che le PA dovrebbero (devono) applicare in caso di dubbio: ossia quando le PA vengono chiamate a decidere se negare o meno l’accesso, se far prevalere la disclosure generalizzata alla conoscenza o, invece, la tutela di altri interessi altrettanto rilevanti nell’ordinamento. Un principio che in realtà era stato già affermato dalla regola generale del FOIA secondo il quale la conoscibilità generalizzata degli atti diviene la regola generale mentre la riservatezza e il segreto sono eccezioni e declinato nelle LG ANAC quando le stesse dichiarano che il legislatore italiano “ha posto la trasparenza e l’accessibilità come la regola rispetto alla quale i limiti e le esclusioni previste dall’art.5 bis del d.lgs. 33/2013 rappresentano eccezioni, e come tali sono da interpretarsi restrittivamente”.
Altrettanto valido il criterio introdotto del minor aggravio possibile nell’esercizio della pretesa conoscitiva in base al quale “in assenza di una espressa previsione legislativa che le autorizzi, le amministrazioni non possono esigere dal richiedente l’adempimento di formalità o oneri procedurali, ponendoli come condizioni di ammissibilità dell’istanza di accesso”.
Disposizioni (per quanto possa valere) che richiamano all’ordine tutte quelle PA che nel 73% dei casi, come hanno dimostrato gli esiti rilevati dal 1° monitoraggio di Diritto di Sapere e dallo stesso Dipartimento della Funzione Pubblica, sono rimaste in silenzio nonostante vi fosse l’obbligo di fornire comunque un riscontro a conclusione della istruttoria con un provvedimento espresso e motivato.
Ottima la volontà di fornire degli indirizzi tecnico pratici operativi con l’indicazione dei dati che devono contenere apposite modulistiche che dovrebbero essere presenti in un’ apposita pagina web con tutte le informazioni di supporto necessarie per consentire al cittadino (e non) di formulare correttamente la propria istanza, così come il modulo per la richiesta di riesame (anche se si tratta di dati che dovendo essere resi disponibili dal richiedente eccedono, secondo il principio della proporzionalità, il fine che si è proposto la normativa, così come non è chiaro cosa s’intende per residenza, se sia solo quella anagrafica o il domicilio, ecc), il contenuto che deve caratterizzare il provvedimento di conclusione e tutto ciò (dati rilevanti in riferimento a date, oggetto e motivazione per Istanza di accesso, di riesame e ricorso al giudice amministrativo) che devono prevedere i Registri.
Registri di cui si è data la massima rilevanza evidenziando il perseguimento di una pluralità di scopi: semplificare la gestione del diritto generalizzato, favorire l’armonizzazione delle decisioni, agevolare i cittadini nella consultazione, monitorare l’andamento delle richieste di accesso e la trattazione delle stesse. Per consentire tutto ciò in modalità automatizzata occorrono dei sistemi di gestione del protocollo informatico e dei flussi documentali che la Circolare, in modo timido, chiede alle PA usando sempre il condizionale o auspicandone fortemente l’utilizzo quando, in realtà, le Amministrazioni (come rilevato dalla stessa) ne dovrebbero essere “dotate da tempo ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, del d.lgs. n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale) e delle relative regole tecniche (D.P.C.M. 3 dicembre 2013)”. A tale riguardo si ipotizzano tre possibili scenari, partendo da quella più completa: I) gestione di fascicoli procedimentali con un profilo di metadati, II) almeno la definizione di un profilo di metadati, III) la sola funzionalità minima di registrazione di protocollo.
Importante il dettaglio operativo circa i tempi da rispettare per fornire il riscontro anche con la spiegazione accurata sul comportamento da adottare con i controinteressati circa la loro individuazione, le comunicazioni da effettuare e l’accoglimento dell’istanza di accesso in caso di opposizione. A tal riguardo si chiarisce che il termine decorre non dalla data di acquisizione al protocollo, ma dalla data di presentazione dell’istanza. Ma questo equivale ad ammettere (come poi conferma nel seguito) che le PA non siano ancora dotate di sistemi informatici che consentano la protocollazione automatica, eppure dal 1 gennaio 2017 (ai sensi dell’art 18 bis della L. 241/90 così come introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera a) del D.lgs. 30 giugno 2016, n. 126) tutte le amministrazioni sono obbligate a rilasciare immediatamente al richiedente, anche in via telematica, una ricevuta che attesta l’avvenuta presentazione dell’istanza (la quale deve corrispondere alla data di protocollazione), della segnalazione e della comunicazione, indicante i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere.
In merito all’integrazione tra trasparenza reattiva e proattiva, si raccomanda alle amministrazioni di “pubblicare informazioni anche diverse da quelle oggetto di pubblicazione obbligatoria” quando si tratti di informazioni di interesse generale o che siano oggetto di istanze ricorrenti come nel caso di “dati o documenti richiesti, nell’arco di un anno, più di tre volte da soggetti diversi.” Forse lo stesso consiglio (non è un obbligo) potrebbe essere valido per far entrare dalla finestra tutti quei rilevanti adempimenti informativi obbligatori che proprio con il FOIA sono usciti dalla porta in quanto letteralmente cancellati dal testo previgente.
Rispetto alla mancanza obbligatoria di unico help desk telematico suggerito dalle LG, e per il quale la norma ha invece previsto 3 alternative, la Circolare raccordandosi con quest’ultime stabilisce che ove i 3 diversi uffici riceventi l’istanza non fossero coincidenti con quello competente a decidere sulla medesima gli stessi devono trasmetterla tempestivamente a quest’ultimo. Devono invece indicare l’ufficio competente “ove sia palese che l’istanza è stata erroneamente indirizzata a un’amministrazione diversa da quella che detiene i dati o documenti richiesti”. Quindi ancora non si esclude un diniego per dati non detenuti dalla PA adita, eppure anche in virtù della decertificazione (almeno per quanto riguarda atti o certificati relativi a stati, qualità personali e fatti se ovviamente ostensibili) un’amministrazione singola dovrebbe essere parte integrante di un sistema più globale di tante altre, ossia di tutte le altre amministrazioni, o meglio dell’unico sistema PA. Eppure non vi possono essere più scuse dato che le tecnologie dell’informazione e comunicazione oggi consentono di fatto l’interoperabilità dei dati tra amministrazione diverse.
Si stabilisce finalmente che l’ufficio competente a rispondere di regola, (e anche in caso di dubbio) è quello che detiene i dati oltre alla necessità di individuare un “centro di competenza” di supporto giuridico (c.d. help desk accennati prima) presso il quale dovranno essere individuate “risorse professionali adeguate che si specializzano nel tempo” e “che, ai fini istruttori, dialoghino con gli uffici che detengono i dati richiesti” e li “assistano nella trattazione delle singole istanze”.
Differentemente da quanto previsto originariamente dalla versione precedente del decreto trasparenza la presentazione telematica dell’istanza può avvenire tramite semplice email o un form online (il Comune di Venezia fu uno dei primi a istituzionalizzare un sistema del genere) solo con la sottoscrizione da parte del richiedente o comunque allegando la carta d’identità. Infatti, spiega la circolare, “l’identificazione del richiedente può ritenersi indispensabile ai fini di una corretta gestione delle istanze”: “ad esempio, ai fini della trasmissione dei dati e documenti richiesti o della trattazione di una pluralità di istanze identiche (seriali) o onerose (vessatorie) da parte di uno stesso soggetto. Pertanto, essa va “intesa come condizione di procedibilità della richiesta”.
Eppure nel Regno Unito, tramite specifici indicatori per riconoscere le istanze ripetute o vessatorie e l’uso corretto dei Registri (obbligatori anche in Italia) si accettano richieste formulate via facebook o twitter, e almeno per quanto riguarda quelle di natura ambientale, sono ritenuti ugualmente validi persino messaggi in segreteria telefonica. (anche in Italia è valida una richiesta effettuata a voce ma siamo ancora lontano anni luce da farlo operativamente).
Strana l’indicazione che pone l’utilizzo dalle PA in ricezione anche di una casella email quando, come suggerito da chi ha partecipato alla consultazione pubblica della Circolare dal 11 al 19 maggio, è possibile configurare la PEC per ricevere anche le richieste in posta ordinaria. Allo stesso modo non sono state ascoltate le ottime proposte di incentivare l’uso di moduli PDF compilabili, interattivi (accessibili secondo legge 4/2004) o di utilizzare un form web in grado di rilasciare copia/ricevuta della richiesta inviata.
Tutto questo è stato discusso in occasione del seminario tecnico operativo della Unitelma Sapienza dal titolo “la partecipazione al procedimento amministrativo nella società dell’informazione” nel quale si sono incontrati riflessioni di studenti e professori. Sono già disponibili le slide mentre a giorni sarà possibile fruire della registrazione video.
Una Circolare, la 2/2017, che sebbene non abbia valore cogente ispirerà sicuramente il comportamento delle PA di buona volontà (per le altre, purtroppo la maggioranza, non è dato saperlo) e influenzerà, comunque, l’aggiornamento delle “prime” linee guida ANAC (Delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016) la cui rielaborazione è fissata dalle stesse per dicembre 2017.
Francesco Addante
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