Stiamo ancora scontando il fatto che il Freedom of Information Act (FOIA) quando è arrivato in Italia ha rappresentato una novità assoluta. Per la normativa italiana ma anche per la mentalità della nostra PA.
Questo si evince dal report “FOIA4journalists”, secondo cui, pur parlando di “bicchiere mezzo pieno” nell’analisi dei dati monitorati “a fronte dello sforzo e della buona volontà della macchina pubblica di aprirsi al cittadino”, la trasparenza viene descritta come “un’etichetta vuota”, vista come “una serie di procedimenti e di oneri burocratici a carico della Pubblica Amministrazione” che la considera ancora “un adempimento, anche piuttosto noioso, e non come un valore o un diritto”, in un contesto di “indifferenza generale” che finisce con il “declassare” il diritto di accesso alle informazioni pubbliche a “a mero procedimento amministrativo”.
Cosa dice il report FOIA4journalists
Ricordiamo che il Foia è in Italia dal D.lgs. 97/2016, che ha modificato il cosiddetto “decreto trasparenza” (D.lgs. 33/2013), introducendo, in aggiunta all’accesso civico semplice di cui all’art. 5 D.lgs. 33/2013 e all’accesso procedimentale di cui agli artt. 22 e ss. legge 241/1990, l’accesso civico generalizzato per consentire a chiunque di conoscere tutti i dati e i documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni, anche che non siano oggetto di pubblicazione obbligatoria.
Senza obbligo di motivazione e senza dimostrare uno specifico interesse, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nella prospettiva di promuovere condizioni effettive di trasparenza del processo decisionale delle istituzioni, stimolando la partecipazione di cittadini e organizzazioni, secondo le modalità di esercizio implementate dal Ministro per la pubblica amministrazione con la Circolare n. 2 del 2017 e la Circolare n. 1 del 2019.
Sottolineando la notevole rilevanza di tale diritto come strumento fondamentale per controllare l’operato delle amministrazioni, il report segnala, come criticità, la mancanza di un corretto bilanciamento tra la protezione dei dati personali e la tutela dell’interesse pubblico, evidenziando come, nella prassi, la PA che riceve istanze FOIA tenda, “spesso per ingenuità”, a inoltrarle ai controinteressati “senza ripulirle preventivamente dei dati personali del richiedente”, con il conseguente rischio di ripercussioni negative sull’attività di inchiesta realizzata dal giornalista/attivista, la cui conoscenza dell’identità espone l’istante a possibili minacce per il lavoro investigativo svolto tale da comprometterne la prosecuzione.
Inoltre, il report individua nel ritardo digitale degli enti pubblici una delle principali cause del problematico dialogo con i cittadini, specie durante il periodo di lockdown, in cui la mancanza di efficaci strumenti comunicativi da “remoto” ha provocato una contrazione delle condizioni di trasparenza del settore pubblico a causa di maggiori difficoltà nell’accesso alle informazioni pubbliche durante la gestione dell’emergenza Covid-19, anche in considerazione del fatto che “il decreto cosiddetto Cura Italia ha sospeso – tranne che per questioni indifferibili e urgenti – alcuni procedimenti amministrativi, fra i quali per l’appunto l’accesso alle informazioni”, con conseguente vulnus alla tutela degli utenti. In tal senso, “per tutta la durata della sospensione del FOIA, iniziata alla fine di febbraio, prorogata il 15 aprile e terminata il 15 maggio […] le Pubbliche Amministrazioni non hanno garantito strategie di compensazione, lasciando di fatto cittadini e appartenenti al mondo dell’informazione privi di un diritto fondamentale”.
Soprattutto nel settore della sanità, il Report evidenzia rilevanti criticità aggravate da uno “scarso dialogo con le Regioni, alle quali sono state rivolte numerose istanze per fornire il rilascio dei dati dettagliati e disaggregati sui tamponi effettuati, senza mai ricevere alcuna risposta o una diversa soluzione alternativa alla sospensione del FOIA, funzionale ad ottenere la disponibilità “dei dati sanitari richiesti in nome della trasparenza e di una corretta informazione nei confronti di una cittadinanza legittimamente impaurita”.
I dati monitorati
Nel merito dei dati monitorati risulta che nel 2019 le istanze inviate sono state 64, di cui 37 nell’ambito del progetto FOIA4journalists (58%) e 27 nell’ambito del progetto ALAC – Allerta Anticorruzione (42%), di cui 5 istanze inoltrate ai Comuni (8%), 1 ad Aziende Sanitarie (2%), 3 ad Agenzie nazionali (5%), 12 ad Agenzie regionali (19%), 14 ad Autorità Portuali (22%), 4 a Fondi interprofessionali (6%), 10 a Ministeri (16%), 1 a Province (2%), 4 a Regioni (6%), 10 a Società pubbliche (16%).
L’oggetto delle istanze riguardava bandi di concorso (5 richieste pari all’8%), conflitti di interesse (1 richiesta pari al 2%), gare d’appalto (7 richieste pari all’11%), specifici atti amministrativi (51 richiesti pari al 79%).
Nella stragrande maggioranza dei casi, le Pubbliche Amministrazioni dimostrano di rispettare le tempistiche richieste dalla legge che fissa il termine di 30 giorni. In particolare, 23 istanze di accesso hanno ricevuto risposta entro 15 giorni dall’invio (36%), 25 istanze tra 15 e 30 giorni (39%), mentre a 7 istanze è stata data risposta oltre i 30 giorni (11%) e a 9 richieste non è pervenuta nessuna risposta (14%).
A fronte delle richieste FOIA pervenute, nel 65,6% dei casi l’istanza è stata accolta (42), solo 5 richieste sono state parzialmente accolte (7,8%), 1 sola istanza è stata inoltrata ad altra amministrazione (1,6%) mentre 4 richieste sono state negate (6,2%).
Nel rilascio dei documenti oggetto di ostensione, tenuto conto del loro contenuto, del loro formato e delle condizioni di interoperabilità, nel 59% dei casi la risposta della PA è stata ritenuta soddisfacente (38 istanze), mentre nel restante 22% dei casi insoddisfacente (14 istanze), con un residuo 19% di risposte non definibili (12 istanze).
In conclusione
Nonostante l’esistenza di una disciplina innovativa che consenta di promuovere maggiori condizioni di trasparenza dell’azione amministrativa, alla luce dei risultati monitorati, emergono nella prassi difficoltà operative che incidono sul corretto esercizio del diritto di accesso alle informazioni pubbliche.
E questo soprattutto a causa di procedure burocratiche talvolta lente o troppo macchinose, ulteriormente aggravate da un approccio culturale ancora troppo legato alla tradizionale concezione autoritativa e verticistica della PA, con il risultato di vanificare la spinta “rivoluzionaria” realizzata dal legislatore verso un nuovo modello di rapporto tra cittadini e poteri pubblici, basato sul dialogo orizzontale nell’ambito di dinamiche paritarie e interattive in grado di realizzare una vera e propria “casa di vetro”.
Ossia una dimensione nella quale anche la società civile sia in grado di partecipare attivamente al processo decisionale delle istituzioni, sia ex ante in funzione propositiva (mediante la presentazione di idee, suggerimenti e proposte), sia ex post in funzione di controllo (mediante lo svolgimento di attività di monitoraggio civico sul corretto utilizzo di risorse pubbliche e sull’efficiente esercizio delle funzioni amministrative), in linea con i principi di buon andamento e di imparzialità di cui all’art. 97 Cost.
Senza un generale cambio di paradigma funzionale a rigenerare gli assetti organizzativi, culturali e operativi del settore pubblico, qualsivoglia intervento legislativo, per quanto utile e auspicabile sul piano normativo, si traduce in una mera regolamentazione “astratta” priva di effetti applicativi concreti, senza generare l’implementazione di concrete azioni di semplificazione amministrativa e di trasformazione digitale, oggi più che mai indispensabili da realizzare come priorità di intervento dell’agenda politica.