freedom information act

FOIA, come sta andando: luci e ombre a un anno dall’avvio

La prova del Freedom of information act italiano, alla lente degli esperti. Cosa sta funzionano e cosa no. Quali enti rispondono e chi no. E il valore che è stato generato finora dalle istanze di accesso civico

Pubblicato il 02 Feb 2018

Federico Anghelé

Direttore The Good Lobby

Camilla Cupelli

Riparte il Futuro

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Ci vuole tempo, perseveranza e soprattutto tanta formazione prima che un diritto entri nelle corde di una comunità. Lo sapevamo (e un po’ lo temevamo) quando poco più di un anno fa il FOIA, Freedom of Information Act, diventava legge anche in Italia, dopo una campagna durata più di due anni condotta da oltre 30 organizzazioni della società civile unite nella rete FOIA4Italy.

Se la nuova normativa ha permesso all’Italia di scalare in un solo anno 43 posizioni nella classifica del Right to Information Rating, l’indice globale che valuta la legislazione dei singoli Paesi in materia di diritto di accesso alle informazioni, questo importante risultato nasconde ancora evidenti lacune.

Le lacune del Foia italiano

La prima riguarda i limiti della stessa legge, più volte evidenziati anche da Riparte il futuro: l’abbondanza di eccezioni (cioè di materie su cui non è possibile fare richiesta di accesso) e la presenza di una normativa ancora confusa e sovrabbondante, con tre tipi diversi di accesso, hanno frenato la portata “rivoluzionaria” del FOIA italiano.

La seconda attiene alla riluttanza con cui le pubbliche amministrazioni – spesso approfittando delle incongruenze della legge – applicano il nuovo diritto di accesso, negando informazioni rilevanti per la stessa vita democratica e civile del Paese.

La terza, e forse più significativa, riguarda l’utilizzo ancora limitato che cittadini e professionisti dell’informazione fanno del nuovo accesso generalizzato. Chiunque abbia dimestichezza con le istituzioni di Paesi che possono contare da tempo sul FOIA, sa che esistono addetti e uffici appositi che raccolgono e rispondono alle richieste di accesso: i cittadini sono molto più abituati a chieder conto alla pubblica amministrazione dei modi in cui impiegano le loro risorse o delle scelte che mettono in pratica, svolgendo quel ruolo da “cani da guardia” delle istituzioni che rappresenta un fondamentale requisito delle democrazie più mature. In Italia la società civile tarda ad assumersi questo ruolo di controllo, importantissimo nel prevenire corruzioni e ruberie. Come emerso dall’indagine che Riparte il futuro ha compiuto alla fine del 2017 per cercare di tracciare un primo, approssimato quadro dell’utilizzo del FOIA, le richieste di accesso da parte di cittadini e giornalisti sono ancora inferiori all’attesa, a riprova che c’è ancora molto da fare sul fronte della formazione: è necessario spiegare non solo l’impiego del nuovo diritto di accesso, ma ancor più le sue potenzialità, come peraltro dimostrato da alcune inchieste giornalistiche rese possibili grazie al Freedom of Information Act.

L’indagine che Riparte il futuro ha condotto tra ottobre e dicembre 2017 si è concentrata su 65 enti a cui è stato chiesto il numero di richieste di accesso civico ricevute, accolte, negate o differite. L’approfondimento riguarda le domande di accesso tra il primo gennaio 2017 e il momento della risposta (ottobre-novembre 2017).

Riparte il futuro ha inoltrato anche un’altra domanda specifica: quanti giornalisti hanno effettuato l’accesso? Le comunicazioni pervenute sono parziali: non sempre le amministrazioni hanno risposto, talvolta senza fornire alcuna spiegazione, rendendo così la comparazione dei dati più difficile. In alcuni casi hanno risposto solo al quesito sui giornalisti e non a quello sull’accesso civico generalizzato, o viceversa.

Tuttavia, i dati raccolti permettono ugualmente di tracciare un bilancio del primo anno di FOIA e della sua utilità, anche attraverso la rilevazione delle mancanze e delle difficoltà delle amministrazioni coinvolte. In un certo senso proprio grazie a queste.

Le risposte all’indagine di Riparte il futuro

La richiesta di conoscenza sugli accessi civici è stata rivolta, da Riparte il futuro, a 65 enti pubblici. La risposta, spesso parziale, è arrivata da 42. Tra i ministeri, a non rispondere sono stati quello del Lavoro, della Difesa, dell’Istruzione e dei Beni Culturali.
Tre le maglie nere per i consigli regionali: Sicilia, Piemonte e Puglia non hanno dato risposta (anche se Calabria e Lombardia hanno risposto solo parzialmente).
Stessa cosa per altre decine di realtà, tra le quali Banca d’Italia e Finmeccanica. In questi ultimi due casi non è arrivata la comunicazione del rifiuto all’accesso: la risposta è stata il silenzio. In altre risposte è stato specificato di controllare il registro delle richieste online, che a volte è incompleto (come nel caso del Comune di Milano), o non ancora pubblicato.

Come si sono comportati gli enti?

I consigli regionali di Marche e Liguria sono gli unici, in base alle risposte fornite a Riparte il futuro, ad aver accolto il 100% delle richieste di accesso civico: si tratta però di numeri molto bassi (rispettivamente due e sei richieste).
A non accogliere alcuna richiesta è stato invece il Comune di Palermo, con sette domande ricevute e sette rifiutate, anche se una di queste risulta ancora in lavorazione.
Chi ha respinto più richieste (28 rifiuti) è il ministero dell’Economia e delle Finanze, che però è anche tra le prime per numero assoluto di quelle accolte pienamente: ben 80, dopo il Comune di Roma con 90.

Il numero più elevato di richieste di accesso civico generalizzato ha riguardato il ministero dell’Interno (210 richieste). L’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, invece, detiene il primato per il numero maggiore di richieste effettuate dai giornalisti (380, tutte prese in carico). L’Ispra però non ha risposto ad alcuna altra domanda posta da Riparte il futuro, se non commentando che avrebbe pubblicato un report, non ancora disponibile al momento della stesura dell’articolo, nel mese di gennaio.

In 17 enti, sui 36 valutabili, la metà o più delle richieste di accesso è stata accolta. In 9 casi non è arrivata nessuna richiesta. In molti casi gli enti interpellati hanno accolto solo parzialmente le richieste.

Nessuna richiesta, nessuna risposta

I consigli regionali di Friuli, Sardegna, Abruzzo, Molise e Campania non hanno ricevuto alcuna richiesta di accesso civico al momento dell’interrogazione di Riparte il futuro, né da giornalisti né da altri soggetti. Stessa cosa per le autorità di regolazione dei trasporti e il garante dell’infanzia e dell’adolescenza, così come la Consob e l’Ispettorato del lavoro di Roma. Le richieste differite sono state solo tre, tutte del Comune di Napoli: le altre amministrazioni pubbliche o non hanno risposto al quesito sulla differita o hanno sostenuto di non aver utilizzato lo strumento. Il differimento dell’accesso, previsto dall’art. 5-bis, c. 5, d.lgs. n. 33/2013, è ammesso solo quando l’accesso comporta un pregiudizio concreto all’interesse pubblico e tale pregiudizio ha carattere transitorio. Il dato è interessante perché mostra che su oltre 1300 richieste registrate (dato parziale), lo strumento della differita è stato utilizzato nello 0,2% dei casi: un numero molto basso, che potrebbe mostrare la poca conoscenza e padronanza della possibilità offerta dalla legge.

Ministeri e giornalisti

Come già detto, il record di richieste di accesso civico generalizzato arriva al ministero dell’Interno: 210, di cui 12 effettuate da giornalisti (il 5,7%). 10 delle richieste di addetti ai lavori della comunicazione sono state accolte, nessuna è stata rifiutata. I conti però non tornano: il ministero ha interpretato la richiesta di Riparte il futuro solo in parte, sottolineando le richieste accolte o rifiutate solo per i giornalisti. Delle altre 198 non si conosce l’esito.

Sono alte anche le cifre delle richieste pervenute al ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha contato 113 domande di accesso civico. Di queste, 80 sono state accolte, 28 rifiutate. Solo tre di esse, però, sono state effettuate dai giornalisti: una percentuale molto bassa, pari al 2,6%.

In generale solo sei ministeri hanno risposto alla domanda sull’accesso dei giornalisti, per un totale di 17 richieste, mentre altri cinque non hanno sotto-specificato il dato.
Quattro non hanno risposto affatto.

L’uso giornalistico dei dati

Il totale delle richieste di accesso generalizzato arrivate agli enti, registrate in base ai dati pervenuti, è dunque pari a 1333, anche se si tratta di un totale impreciso a causa della presenza di risposte parziali.
Tra queste, sempre secondo i dati disponibili, le richieste effettuate da giornalisti sono in totale 406, se si considerano anche quelle ricevute dall’Ispra: ben 380. Va considerato che in 11 dei casi in cui si è avuto un riscontro, non è arrivata però risposta al quesito sul numero specifico delle richieste giornalistiche, ma solo quello generale.

Le ragioni della difficoltà di rilevare un dato univoco sono diverse: a volte viene specificato che il dato non è in possesso dell’ente, in altri casi viene ignorata la richiesta specifica. Questo contribuisce a creare un clima di incertezza attorno all’utilizzo del FOIA, strumento spesso ignorato dalle amministrazioni, ancora in molti casi incapaci di trattare le richieste. Si può comunque dedurre, seppur con questi limiti di interpretazione dei dati, che lo strumento è stato utilizzato dalla categoria dei giornalisti ancora in misura ridotta.

Anche se la percentuale di giornalisti che ha effettuato le richieste risulta bassa, si possono contare diversi casi interessanti che hanno permesso di realizzare inchieste e approfondimenti che sarebbero stati impossibili senza l’esistenza della legge sul FOIA in Italia.

Tra questi, diversi sono ad opera dall’Agi: edilizia scolastica e tema dell’acqua pubblica a Roma sono due dei casi principali indagati dai giornalisti dell’agenzia di stampa, che hanno portato a rielaborazioni approfondite di utilità pubblica.
Un altro degli esempi più interessanti, per portata e modalità, è quello di Vita.it: si tratta di una richiesta di dati sul gioco d’azzardo in Italia tramite un appello, partito il 29 luglio, alle amministrazioni locali perché chiedessero, con lo strumento del FOIA, i dati relativi alla spesa nei propri territori per questa tipologia. La risposta è arrivata da oltre 1200 territori e il progetto non è ancora finito: un’azione che Vita ha descritto con l’immagine di Davide che sconfigge Golia, per sottolineare lo sforzo e il coraggio di affrontare un tema mastodontico.

Si tratta di attività giornalistiche specifiche, dove si è scelto di indagare un tema attraverso una richiesta, legittima, di trasparenza dei dati: tutte queste richieste sono state funzionali alla costruzione di un racconto più completo e dettagliato della realtà del nostro Paese. Tuttavia, resta che le potenzialità dello strumento FOIA non sono ancora state pienamente esplorate.

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