L’emergenza sanitaria generata dal Covid e le conseguenti ripercussioni sulle economie mondiali hanno determinato un’iniezione di fondi pubblici come non si era mai vista dai tempi della Seconda guerra mondiale.
I governi dovrebbero cogliere questa opportunità per costruire una nuova relazione fiduciaria con i cittadini, che sia da una parte basata su un intervento economico in grado di aiutare quante più persone possibile, soprattutto quelle più vulnerabili e provate dalla crisi; e che dall’altra assicuri che le risorse messe in campo non vadano sprecate.
Ecco perché sarà fondamentale, per una ripresa non compromessa da corruzione e illegalità, il ruolo vigile della società civile.
Le risorse finanziare e il rischio illegalità
Si calcola che governi e istituzioni internazionali prevedano di spendere non meno di 20 trilioni di dollari in risposta all’emergenza.
Se si fa riferimento ai Paesi del G-20, fino a ora sono già stati stanziati 6.6 trilioni di dollari in incentivi fiscali che rappresentano il 9.3% del PIL del G-20. Ma la storia ci insegna che, quando il denaro si muove con una tale rapidità come sta avvenendo in risposta alle tragiche conseguenze della pandemia, aumentano i rischi di corruzione, illegalità, infiltrazioni criminali, e di un uso spregiudicato dei fondi per alimentare clientele o relazioni affaristiche opache. Lo abbiamo già visto nei mesi drammatici in cui contavamo contagiati e morti: la necessità di agire in fretta ha portato a non pochi passi falsi, valga per tutti il caso Lombardia, con un governatore che ha quantomeno messo da parte il conflitto di interessi tra il suo ruolo istituzionale e i rapporti familiari con l’azienda di abbigliamento del cognato. In tutto il Pianeta sono comunque numerosissimi i casi evidenziati di indagini aperte per tentativi di corruzione o di uso improprio delle risorse per la pandemia.
Decisioni aperte e trasparenti: le linee guida dell’Open Government Partnership
Nonostante le criticità menzionate, abbiamo però l’opportunità di dimostrare che questa emergenza rappresenti un punto di svolta nella gestione delle ingentissime risorse dispiegate in risposta alla crisi globale. Si potrebbero infatti introdurre tutti quegli strumenti indispensabili a rendere più aperte e trasparenti le decisioni che verranno prese, per rendere accessibili tutti i dati che dovranno garantire un monitoraggio puntuale delle spese, di tutti i beneficiari, e lo stato di avanzamento degli investimenti.
Ci sta provando l’Open Government Partnership, l’organismo internazionale basato a Washington che si occupa di trasparenza e partecipazione a tracciare delle linee guida valide un po’ in tutto il mondo affinché la crisi e la “ricostruzione” siano davvero all’insegna dell’inclusività, della partecipazione e della trasparenza.
Il primo punto richiamato dalla campagna “Open response + Open recovery” si riferisce alle decisioni pubbliche, e all’importanza che non siano opache.
Cosa deve fare l’Italia
Appena avuta certezza dell’approvazione del Recovery Fund europeo, la politica italiana è sembrata subito accapigliarsi su chi avrà la responsabilità di come allocare i fondi che l’Europa concederà all’Italia. È chiaro che qualcuno dovrà essere responsabile delle decisioni e delle scelte da compiere, che sia il Parlamento attraverso commissioni bicamerali, o un’eventuale cabina di regia ministeriale. Ciò che conta è però che le scelte siano inclusive, tengano conto dei punti di vista di tutti gli stakeholders, in particolar modo di chi rappresenta gli interessi generali e dei gruppi maggiormente colpiti dalla pandemia. L’apertura del processo decisionale dovrebbe partire fin da subito e dovrebbe coordinarsi col tentativo di regolamentare l’attività di lobbying (o meglio: di rendere più trasparente il rapporto tra portatori di interessi e decision makers) a cui sta lavorando il Parlamento. La Commissione Affari costituzionali di Montecitorio ha iniziato un ciclo di audizioni ma è più che urgente che la legge entri in vigore prima che affluiscano le risorse del Recovery Fund.
Rifacendosi al motto inglese “follow the money”, l’Italia dovrebbe poi rendere tracciabile in modo accessibile e trasparente (utilizzando un formato open data) come intende impiegare le ingenti risorse del Recovery Fund mettendo bene in chiaro tutti coloro (amministrazioni, soggetti pubblici e privati) che ne beneficeranno. Dopo una lunga trattativa, l’Europa ha mostrato di voler recuperare uno spirito solidale che da troppo tempo mancava: l’Italia non potrà deludere la disponibilità dei partner europei e delle istituzioni mancando di certificare l’utilizzo strategico dei fondi ricevuti. La piattaforma OpenCoesione, spesso richiamata anche a livello internazionale come una best practice, potrebbe essere un valido esempio di come rendere facile l’analisi dei dati relativi a tutte le spese per il Covid-19 e per la ripartenza economica del Paese.
Il ruolo della società civile e i rischi del post-covid
Abbiamo già richiamato la necessità di coinvolgere, già nelle fasi preliminari dei processi decisionali, la società civile e quei gruppi che hanno pagato maggiormente le conseguenze della crisi. Non meno importante sarà il ruolo di controllo e monitoraggio che i cittadini, i giornalisti e le associazioni dovranno avere per vigilare non solo sull’uso responsabile delle risorse, ma sulla prevenzione di ogni abuso di potere che lo stato di emergenza proclamato in quasi tutti i Paesi d’Europa facilita. La rintracciabilità delle informazioni e dei dati è quindi indispensabile, siano essi relativi agli aiuti ricevuti, agli appalti, alle spese, alle decisioni assunte, anche quando di mezzo ci sono le tante task force scientifiche i cui report non sono ancora stati resi pubblici.
Ma è proprio sul ruolo cruciale che la società civile europea giocherà nei prossimi mesi che si rischia un clamoroso e pericolosissimo cortocircuito. La crisi sanitaria prima e quella economica già in atto non hanno certo risparmiato le organizzazioni non profit, tra cui quelle che si occupano di difendere i valori democratici, di salvaguardare lo stato di diritto, di promuovere la trasparenza e la partecipazione. Questi mesi durissimi (e quelli che ci aspettano) hanno ridotto le entrate e si prevede un calo significativo delle donazioni da parte di individui, aziende, istituzioni filantropiche e dei proventi da progetto. Di fronte a questo scenario che rischia di compromettere la sopravvivenza stessa di molti attori della società civile, ci si sarebbe aspettati un investimento strategico da parte dell’Europa, un’iniezione di capitali e di fiducia verso un “contropotere” che ha dimostrato di saper agire con tempestività e capillarità nelle emergenze.
E invece la recente riunione del Consiglio dell’Unione europea che ha lanciato il Recovery Fund non ha fatto che confermare gli stessi fondi destinati alla società civile già previsti dalla bozza di budget pluriennale della UE (2021-27), stilata prima della crisi sanitaria ed economica.
I capi di Stato e di governo hanno fortunatamente stralciato l’ipotesi di tagli del 25% prevista dalla Commissione per questo capitolo di spesa, ma non hanno né preso in considerazione la richiesta di triplicare questi stanziamenti come proposto dal Parlamento europeo, né tenuto conto dello scenario totalmente mutato che rende i fondi europei indispensabili alla sopravvivenza di molte organizzazioni degli Stati membri, in particolare nei Paesi più fiaccati dalla crisi economica (Italia in primis) e in quelli in cui i regimi liberticidi hanno già reso difficile accedere a fonti di sostentamento economico per il non profit non allineato.
Conclusioni
Quel che è ora necessario non è tanto uno scatto di orgoglio da parte delle organizzazioni della società civile di tutta Europa, bensì una presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica di tutto il Continente che senza una società civile sana, in grado di svolgere il proprio ruolo e la propria funzione strategica si corre non solo il rischio di avere un Recovery Plan senza controllo indipendente e senza partecipazione, ma anche di compromettere uno dei capisaldi stessi della costruzione europea.