Finalmente, dopo mesi di attesa e di incertezze “amministrative”, il Ministro Lorenzin ha firmato il 3 settembre il decreto per l’attuazione del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE). Nel frattempo, la scadenza per lo sviluppo dei FSE che, secondo le Linee Guida, dovevano essere istituiti entro il 30 giugno 2015 è stata prorogata al prossimo dicembre, termine entro il quale dovrebbe essere realizzata l’infrastruttura nazionale per l’interoperabilità. In questo contesto le Regioni italiane, che avevano presentato i piani per la realizzazione dei propri FSE entro giugno 2014, si sono mosse con diverse velocità e con diverse priorità.
Ad esempio, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Sardegna e Provincia Autonoma di Trento, che si erano mosse anzitempo, oggi dispongono già di piattaforme dedicate e accessibili ai cittadini. Queste stesse Regioni hanno assunto un ruolo attivo per indirizzare scelte di natura infrastrutturale trasversali, come ad esempio la modalità di accesso e autenticazione del cittadino/paziente attraverso l’anagrafe unica. Altre Regioni – come Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Puglia e Valle d’Aosta – stanno cercando di sfruttare al meglio le esperienze già presenti per lo sviluppo e puntano a rispettare la scadenza di dicembre 2015 rendendo disponibile il nucleo minimo di contenuti che sono indicati anche all’interno del DPCM: i dati identificativi del paziente, i referti, i verbali di pronto soccorso, le lettere di dimissione, il profilo sanitario sintetico (Patient Summary), il dossier farmaceutico e il consenso alla donazione di organi e tessuti. Il DPCM chiarisce, inoltre, alcune incertezze relative all’uso dei dati inseriti nel FSE: le Regioni dovranno rendere operativo l’accesso alle informazioni per tre diverse tipologie di trattamento, cioè per finalità di cura, di ricerca, e di governo (quest’ultima comprende la programmazione sanitaria, la verifica della qualità delle cure e la valutazione dell’assistenza sanitaria).
In parallelo, alcune Regioni si stanno muovendo sul tema dell’accessibilità e dell’interoperabilità del loro Fascicolo rispetto ai Medici di Medicina Generale e alle Aziende Sanitarie: in questo senso, la Provincia Autonoma di Trento, accanto a Lombardia ed Emilia Romagna, rappresenta una “best practice”, avendo già realizzato al 100% le componenti per l’accesso al suo FSE (denominato TreC) da parte delle strutture sanitarie e dei MMG/PLS. Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, inoltre, hanno avviato all’inizio del 2015 un progetto sperimentale di interoperabilità a livello sovra-regionale che ha consentito di definire le specifiche tecniche per l’interoperabilità, in seguito pubblicate da AgID lo scorso maggio.
La collaborazione tra le Regioni è finalmente favorita anche dalle pratiche di riuso, che dopo anni di scarsissimo utilizzo, favoriscono la diffusione non soltanto di soluzioni software, ma soprattutto di best practice ed esperienze, contribuendo a migliorare l’efficienza e l’efficacia complessiva delle iniziative di digitalizzazione regionale. Ne sono un esempio il riutilizzo da parte della Regione Valle d’Aosta della soluzione TreC del Trentino e il riuso del progetto Veneto Escape da parte della Regione Lazio.
Nonostante i ritardi e le difficoltà da parte del governo centrale, molte Regioni stanno avviando percorsi rilevanti che, in linea con quanto auspicato nel patto per la Sanità digitale, porteranno a un incremento radicale delle iniziative di innovazione digitale regionali nei prossimi anni.