L’impatto sulle società dell’evoluzione di tutte le tecnologie digitali, e di alcune in particolare come l’Intelligenza Artificiale, è sempre più evidente e condiviso. Non è un caso che tra i primi atti strategici della nuova commissione europea è stata la pubblicazione dei documenti di strategia sui dati e sull’Intelligenza Artificiale .
Il tema del “Futuro del Lavoro” sta passando rapidamente dai convegni alla programmazione delle istituzioni e delle imprese e l’odierna emergenza sanitaria sta evidenziando come il livello di resilienza sociale ed economica dei Paesi sia sempre più strettamente correlato con la loro maturità digitale, che a sua volta dipende in modo significativo anche dalla maturità culturale e organizzativa.
Questo quadro spinge sempre più verso un approccio organico alla strategia di sviluppo sociale ed economico in cui il ruolo dei governi assume un’importanza fondamentale, in una logica coerente con la linea indicata dalla neo-consigliera del governo Mariana Mazzuccato già con il suo “Stato innovatore”. Ed è questa anche la linea di un interessante recente studio di McKinsey, da cui è utile partire.
Connettere economia, lavoro, istruzione
Lo studio McKinsey ha l’obiettivo di fornire un quadro strategico di interventi che i governi possano utilizzare per sviluppare una road map verso una transizione win-win dove imprese, lavoratori e società nel loro insieme hanno benefici, con un miglioramento della vita di tutti.
Per far questo lo studio parte dalla considerazione che l’attuale stato di automazione in diversi settori sta già mostrando alcuni dei benefici possibili: si pensi ad assistenza sanitaria, istruzione, traffico e risposta alle emergenze, ma anche, prossimamente, alla riduzione dei rischi sul lavoro, alla maggiore accessibilità degli alloggi, alla protezione dell’ambiente, oltre che alla crescita della produttività.
Secondo lo studio, tre sono gli ostacoli principali che i governi devono superare:
- la carenza di competenze digitali nelle popolazioni in generale e in particolare nei lavoratori. Troppo pochi lavoratori possiedono le competenze necessarie per l’adozione completa della tecnologia, che di conseguenza non riesce a sfruttare il suo potenziale attuale. Ma questo porta anche al fenomeno della creazione di “sfollati dal lavoro”, perché l’obsolescenza delle competenze può portare a un’uscita dal mercato del lavoro;
- la presenza e l’insorgenza di sempre maggiori disuguaglianze. Senza riforme, la ricerca suggerisce che il futuro del lavoro sarà meno inclusivo e più diseguale. Oltre alle implicazioni sociali, un circolo vizioso può derivare da una crescente disuguaglianza: la domanda aggregata diminuisce man mano che il reddito e la ricchezza si accumulano tra le persone ad alto reddito con scarsa propensione al consumo, le aziende investono meno e creano meno nuovi posti di lavoro e la produttività ristagna insieme ai salari;
- l’atteggiamento di ostilità sociale contro l’automazione. La paura dell’automazione, e della conseguente perdita di lavoro, a volte intensificate da politiche e movimenti populisti, potrebbe mobilitare le popolazioni e provocare inazione o resistenza da parte dei governi, fino a creare ostacoli anche a un utilizzo positivo e sostenibile del digitale e allo sviluppo basato sull’innovazione.
Seguendo lo studio citato, superare questi ostacoli significa per i governi connettere i piani di intervento su istruzione, competenze, politiche per il lavoro e sviluppo economico in una unica strategia organica per favorire l’adozione delle tecnologie, direi “per l’innovazione” e il cambiamento continuo che caratterizzerà il prossimo futuro.
Resilienza e rivoluzione digitale
In queste settimane si sta procedendo in Italia a un’indubbia accelerazione sul fronte dell’utilizzo delle tecnologie per la didattica e il lavoro a distanza, proprio a causa della chiusura delle scuole e le limitazioni agli spostamenti per/dalle zone in quarantena, o comunque segnalate a rischio.
La capacità di mantenere i servizi e le attività essenziali da un punto di vista sociale ed economico anche in presenza di eventi traumatici, come quello del Coronavirus, e quindi la resilienza, è una delle capacità fondamentali richieste alla società del terzo millennio, e si colloca pienamente anche nel quadro dell’Agenda 2030. Con alcune avvertenze: lo sviluppo di questa capacità deve essere programmata e le sue condizioni di sviluppo sono quelle che costituiscono anche le basi portanti del nuovo modello di sostenibilità indirizzato dall’Agenda 2030. Non si improvvisa.
La rivoluzione digitale, intesa come la trasformazione profonda dei modelli e dei sistemi sociali ed economici legata al pieno sfruttamento delle opportunità digitali, e quindi di conseguenza la maturità digitale raggiunta da un Paese, è tra le principali condizioni per lo sviluppo di un’adeguata capacità di resilienza.
Analizzando la risposta del sistema scolastico cinese alle misure di chiusura delle scuole, si riscontra come una risposta efficace abbia bisogno di un modello (infrastrutturale, normativo, funzionale) in qualche modo già predisposto e “pronto” alla scalabilità richiesta da un fenomeno traumatico.
Nei due diversi campi della didattica e del lavoro a distanza l’esigenza chiara che si manifesta nell’emergenza è proprio in questi termini: bisogna costruire le condizioni per cui a livello normativo, culturale, tecnologico queste pratiche siano favorite e inserite in un contesto di normalità. L’emergenza può favorire questa costruzione solo se acquisiamo e manteniamo la consapevolezza della loro complessità di sistema e che si tratta di ben oltre che di tecnologia: di smart working e non di semplice telelavoro a casa, di didattica innovativa (anche) a distanza e non di semplice formazione online. Si tratta di un nuovo approccio, di un nuovo modello organizzativo, e di (nuove) competenze. Quelle competenze chiave che sono richieste per i lavori nei prossimi anni.
La centralità delle persone e una strategia organica
Come anche ribadito nella strategia sui dati dell’Unione Europea, la centralità nella rivoluzione digitale è delle persone e non delle tecnologie. La strategia organica suggerita dal citato studio di McKinsey è sulla stessa linea e questo significa che l’attenzione prioritaria è per le competenze delle popolazioni e per le misure in grado di svilupparle e di valorizzarle, anche in termini di regolamentazione, di infrastrutture tecnologiche, in un percorso di costruzione di un solido ecosistema di innovazione.
L’esigenza è di porre in primo piano la necessità per i governi di intervenire sul sistema di sviluppo del capitale umano dalla prima infanzia alla formazione degli adulti, allo stesso tempo rafforzando e migliorando i sistemi di protezione sociale per garantire che nessuno rimanga indietro, riuscendo in questo quadro anche a ripristinare il “circolo virtuoso in cui una maggiore produttività porta ad un aumento dei salari e della domanda aggregata, e viceversa”.
Una strategia organica che l’Europa sta gradualmente costruendo (in questa direzione sono il nuovo Digital Services Act e il rafforzamento del Digital Education Plan di cui sono previste le pubblicazioni nella prima metà del 2020) e che ci si aspetta che anche in Italia sia elaborata, a partire dai documenti strategici già realizzati, come “Italia 2025”.
Un buon esempio europeo è quanto realizzato in Danimarca con il Denmark’s Disruption Council, presieduto dal primo ministro e che ha coinvolto sette ministri e 29 membri della società civile (inclusi diversi CEO di aziende), con l’obiettivo di identificare gli elementi di una strategia di innovazione e sviluppo del Paese sulla base di una valutazione (non solo a tavolino, ma anche itinerante) dell’impatto dell’automazione sulla produttività e sui lavori
Riflessioni e auspici
La definizione del percorso di cambiamento per governare il “futuro del lavoro” non può che passare dall’ampia, effettiva e coordinata mobilitazione di tutte le parti interessate.
Un percorso che si muove dalla consapevolezza della rapida transizione in atto: l’Ocse stima che il 14% dei lavori nel mondo siano ad alto rischio di automazione e quindi di scomparsa, mentre un altro 32% dei lavori potrebbe essere radicalmente trasformato. E questo di conseguenza porta a un’attenzione sulla riqualificazione delle competenze professionali e sul possesso delle competenze chiave necessarie per un sistema così dinamico, facendo sì che gli stessi cittadini ritengano la formazione di alta qualità come la priorità maggiore per garantire un miglioramento nella vita delle prossime generazioni (36% dei cittadini, è il dato dallo studio citato).
L’auspicio anche per l’Italia è che si preveda a breve un programma coordinato di investimento sulle competenze in un quadro di ripensamento profondo del sistema educativo, dalle scuole dell’infanzia ai percorsi di apprendimento permanente, portando a sistema quelle innovazioni che già sono realtà in esperienze d’avanguardia e che sempre più diventano necessarie e elementi di discrimine tra la prospettiva di un futuro che si costruisce e un presente che non possiamo permetterci di mantenere.