Developers Italia

Guida allo sviluppo e gestione di software libero: perché è un’iniziativa da sostenere (e migliorare)

La “guida allo sviluppo e gestione di software libero” è un progetto ambizioso e importante, che nonostante i suoi limiti rappresenta un passo nella giusta direzione. Dovrebbe essere seguito da iniziative di formazione verso gli stessi pubblici: politici, funzionari PA e sviluppatori. I contenuti, cosa si poteva fare meglio

Pubblicato il 15 Apr 2022

Italo Vignoli

Hi-Tech Marketing & Media Relations

free-software

Developers Italia ha recentemente pubblicato una “guida allo sviluppo e gestione di software libero”, che è stata già oggetto di attenzione, di critiche e di contributi al miglioramento da parte degli esponenti della comunità italiana dei sostenitori del FOSS (software libero e open source).

Indipendentemente da quello che è stato scritto, e pur essendo d’accordo con la maggior parte delle critiche, cercherò di analizzare i contenuti da un altro punto di vista, e di fornire una sintesi dei contenuti stessi che permetta a chi non conosce la materia di orientarsi al suo interno e di comprendere perché lo sviluppo e la gestione del FOSS (preferisco chiamarlo così, piuttosto che software libero) è una opportunità imprescindibile per il futuro digitale del sistema Paese.

Manuale d’uso del software libero nella PA: ecco perché è un freno all’adozione

Cos’è la “guida allo sviluppo e gestione di software libero”

Developers Italia si definisce come: “il punto di riferimento per lo sviluppo dei servizi pubblici italiani, che vuole aiutare a costruire una PA digitale collaborativa e indipendente, che aiuti il Paese a generare innovazione e che possa concentrarsi sull’erogare servizi ai cittadini grazie a soluzioni software sicure, riutilizzabili e tecnologicamente eccellenti”.

E lo fa “mettendo a disposizione strumenti tecnici, software, librerie, occasioni di incontro, forum di discussione, eventi di formazione e altro ancora per aiutare chi ‘fa’ la trasformazione digitale della PA a fare di più, meglio e con meno costi”.

La guida, che fa parte di questi strumenti, è una raccolta di buone pratiche per lo sviluppo e la gestione del software e delle politiche a esso connesse per realizzare servizi pubblici di alta qualità a un costo minore, il cui sviluppo rispetti i principi imposti dal CAD o Codice dell’Amministrazione Digitale (Decreto Legislativo n° 82/2005, Capo VI, Art. 67 – 70) in termini di economicità, efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica.

A chi è indirizzata la guida e con quali obiettivi

La guida è indirizzata a tre pubblici molto diversi e molto eterogenei – i politici, i funzionari pubblici, e gli sviluppatori software – con competenze, responsabilità e obiettivi completamente diversi tra loro, ma è stata scritta da sviluppatori software (lo si evince facilmente dalla postilla al titolo: “release stabile”, che utilizza una definizione tipica del mondo degli hacker), e quindi soffre di qualche problema di linguaggio e comunicazione.

In primo luogo, la guida dovrebbe chiarire la relazione tra CAD e FOSS, la cui conoscenza non è affatto scontata. L’Articolo 68 del CAD, infatti, impone alle PA di adottare il FOSS ogni qual volta sia possibile, e di motivare adeguatamente una eventuale non adozione con un documento di “valutazione comparativa” che spieghi perché nessun software FOSS rispondeva alle esigenze della PA, per cui è stato necessario acquisire – a spese dei contribuenti – le licenze dell’equivalente software proprietario.

Il fatto che la valutazione comparativa venga fatta solo in una minoranza dei casi, e risulti credibile – in quanto affidata a un ente competente e super partes – solo in una piccola percentuale dei casi, è sufficiente per comprendere quanto il CAD sia poco conosciuto, ignorato o addirittura snobbato in quanto privo delle necessarie sanzioni amministrative verso chi non ne rispetta il dettato.

Addentrandosi nella guida, il CAD viene citato più volte, per cui alla fine i lettori più attenti riescono a ricavare le informazioni necessarie, ma manca proprio quella sintesi iniziale che avrebbe chiarito in modo inequivocabile i termini del problema soprattutto nei confronti dei politici e dei funzionari, le due figure che decidono a chi affidare e quanta importanza dare alla valutazione comparativa.

I contenuti della guida

Superato questo passaggio iniziale, la guida offre una panoramica complessiva degli elementi in gioco: dove trovare e come valutare i software FOSS; i modelli di business e il loro valore per i fornitori e per la PA; le migliori tecniche per lo sviluppo di software in ambiente aperto; quali aspetti cambiano e a quali fare maggiore attenzione per migliorare le relazioni tra PA e fornitori; gli strumenti di gestione del software utili per migliorare i servizi pubblici; le basi di codice che possono essere utilizzate in contesti diversi e gestite in modo collaborativo; quali tecniche utilizzare per aiutare a ridurre il debito tecnico e il rischio di fallimento del progetto; e come avere un maggior controllo sui propri sistemi IT.

Segue un’introduzione al FOSS nella PA, che si concentra sulle licenze certificate OSI e sul nuovo modello di riuso introdotto dalla revisione del CAD del 2017, che semplifica ulteriormente il processo di adozione del FOSS e trasforma il software sviluppato per conto della PA in una risorsa per tutto il sistema Paese.

Il FOSS acquisisce un’importanza strategica per lo sviluppo dei servizi pubblici e in generale per l’industria digitale del nostro paese, sia in fase di acquisizione (con una corsia preferenziale per l’approvvigionamento di soluzioni basate su questo tipo di software) che di manutenzione, in quanto obbliga le PA a condividere tutto il codice sviluppato per loro conto. Un modello condiviso, anche se con modalità parzialmente diverse, sia dalla Commissione Europea che da altri Paesi come la Francia e il Regno Unito.

La parte più corposa della guida è composta dai capitoli che declinano i contenuti per i tre pubblici che abbiamo citato all’inizio: i politici, i funzionari pubblici, e gli sviluppatori software.

Ogni capitolo ha contenuti diversi in funzione del pubblico, per cui nel caso dei politici viene illustrata la differenza tra FOSS e software proprietario, e gli aspetti del ciclo di vita del FOSS e di come contribuire allo sviluppo, mentre nel caso dei funzionari vengono analizzate le fasi di acquisizione del software, di sviluppo e riuso – con il contributo di alcune immagini – e di rilascio, dove si parla in modo abbastanza approfondito – forse persino troppo approfondito – delle piattaforme di code hosting, e in quello degli sviluppatori vengono affrontate tematiche più tecniche legate alla creazione e alla manutenzione del codice.

Cosa si poteva fare meglio

Nel capitolo dedicato ai funzionari della PA c’è una sezione piuttosto importante, legata alla relazione con Developers Italia, a cui avrei dedicato un capitolo a parte, in quanto si tratta di tutte quelle informazioni che permettono di facilitare la condivisione del software all’interno di un catalogo nazionale del software a riuso, una risorsa di cui si avverte l’assenza e che la comunità FOSS richiede da tempo.

Un catalogo del software sviluppato dalla PA con licenza FOSS e pronto per il riuso da parte delle altre PA, a livello sia centrale che locale, eliminerebbe infatti la maggior parte delle “giustificazioni” che vengono addotte per la difficoltà a trovare i programmi da installare avendo la certezza della licenza e della proprietà del codice sorgente. Per questo motivo, probabilmente, sarebbe stato più efficace un capitolo specifico, indirizzato a tutti i pubblici.

Nel complesso, la “guida allo sviluppo e gestione di software libero” è un progetto ambizioso e importante, che – nonostante i suoi limiti – rappresenta un passo nella giusta direzione, che dovrebbe essere seguito da iniziative di formazione verso gli stessi pubblici: politici, funzionari PA e sviluppatori. Una guida, infatti, non può bastare, ed è assolutamente necessaria una sensibilizzazione diretta.

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