Data governance, razionalizzazione delle banche dati esistenti interne alla Pubblica Amministrazione e interoperabilità: sono questi i tre pilastri attorno ai quali ruota l’azione del Governo volta a migliorare la qualità dei servizi pubblici offerti ai cittadini.
In particolare, la governance dei dati è al centro della direttiva che contiene gli indirizzi operativi per l’utilizzo della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), emanata sul finire dello scorso anno e definita anche “Decreto Butti”.
Cosa dice il decreto
Il decreto si divide in 4 articoli. Lo scopo è mettere al centro due concetti: i dati e la fruizione dei dati.
Ci si è probabilmente resi conto che la vera sfida dell’intelligenza artificiale non passa dai modelli LLM e non passa dalla capacità computazionale visto che entrambi si possono comprare o comunque sono appannaggio delle big tech, ma passa dai dati che possono essere dati in pasto ai modelli in modo da poter automatizzare il processi, prevedere trend oppure personalizzare servizi.
Servono infatti grandi fondi per acquistare potenza di calcolo servono enormi competenze per costruire modelli LLM o comunque di deep learning ma tutti (dal piccolo comune al grande ministero) possiamo lavorare sulla cultura del dato per cercare di produrre dati di qualità che possano essere poi condivisi e dati in pasto ai modelli di intelligenza artificiale per migliorare i servizi della pubblica amministrazione.
Governance e razionalizzazione delle banche dati della PA
Viene quindi specificato un obiettivo chiaro nel documento: centrale diventa la data governance e la razionalizzazione delle banche dati esistenti interne alla Pubblica Amministrazione, a garanzia dell’univocità e della qualità del dato.
Successivamente viene dato un ruolo centrale all’interoperabilità, utilizzando i servizi resi disponibili mediante PDND, con le basi di dati di interesse nazionale di cui all’art. 60 del CAD.
Interoperabilità e principio onceonly
Il tutto assicurando la piena interoperabilità che si traduce nel principio #onceonly ovvero nel cambiamento di paradigma da “ogni volta che alla PA serve un dato lo chiede al cittadino” al “ogni volta che serve un dato la PA deve prima cercarlo dentro sé stessa e poi se mancante chiederlo al cittadino”. E quando si intende sé stessa si intende qualsiasi PA.
Il ruolo centrale di Anpr
Si sancisce poi il ruolo centrale di ANPR come base dati anagrafica di riferimento per qualsiasi applicazione della PA ovvero si richiede “il costante allineamento degli archivi informatizzati delle amministrazioni di appartenenza con le anagrafiche contenute nell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente”. Il tutto con attenzione alla privacy visto che si specifica che tale obiettivo deve essere raggiunto mediante il codice identificativo univoco (ID ANPR) attribuito a ciascun cittadino.
Formazione e cultura del dato
Sempre nello stesso articolo 2 si dà risalto alla formazione: una cultura del dato e dell’interoperabilità diventa centrale. Se si vuole effettivamente fare un passo avanti dal punto di vista dei servizi della pubblica amministrazione anche in ottica di intelligenza artificiale.
All’articolo 2 segue l’articolo 3 che specifica la possibilità di avere un supporto da parte del dipartimento per la trasformazione digitale per tutte quelle pubbliche amministrazioni che lo richiederanno per approfondire le tematiche indicate nel decreto e contemporaneamente il ruolo dato ad AGID di supervisione e controllo di tutte quelle pubbliche amministrazioni che non andranno nella direzione indicata
Per la governance del processo è necessario rifarsi l’articolo uno in cui viene indicata la necessità di dare una precisa governance agli enti per il tema dell’interoperabilità e della gestione dei dati, governance che può essere affidata anche nell’ambito del ruolo del responsabile della transizione digitale (RTD) o dell’ufficio del responsabile della transizione digitale (UTD) dando ulteriore valore a questa figura.
Ultimo invece è l’articolo quattro che sancisce il “nonsense” tipico della pubblica amministrazione ovvero si è tornati al “L’attuazione della presente direttiva non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”
Una svolta epocale per servizi pubblici migliori
Il tema dell’interoperabilità è stato portato alla ribalta non solo dalla piattaforma digitale nazionale dati ma lo è già da diverso tempo grazie al suo predecessore che era il DAF e a ragionamenti associati agli open data.
È chiaro ora che grazie alle basi dati di interesse nazionale e al PNRR non possiamo più rinviare l’attivazione di questo meccanismo di condivisione e utilizzo dei dati non solo all’interno della pubblica amministrazione ma, correttamente, rendendoli disponibili anche per il mondo privato. Si tratta di un cambio epocale che porterà non più le persone a muoversi a piedi per trasferire su fogli di carta dati, bensì i dati a muoversi nel mondo digitale a velocità della luce per rendere disponibili servizi sempre migliori alle persone e ovviamente anche alle imprese.
Oltre al cambiamento di modalità di trasferimento dei dati rimarrà fondamentale per diversi anni l’importanza di costruire una cultura dei dati perché i dati saranno al centro di tutti i ragionamenti di intelligenza artificiale che si potranno fare sia nel mondo pubblico che nel mondo privato.
Sono proprio i dati che se di scarsa qualità generano bias o comportamenti anomali dei modelli o risposte errate.
Conclusioni
Se ChatGPT sbaglia a dare una risposta generica, si può anche chiudere un occhio.
Ma nella pubblica amministrazione la riduzione degli errori a maggior ragione è fondamentale perché spesso le persone richiedono risposte precise e molto accurate e poi si muovono di conseguenza e un errore potrebbe portare a una violazione della legge.
A quel punto di chi sarebbe la colpa? Della persona, del modello, del dato di training o dell’ente che ha fatto la scelta di usare un modello di AI? A oggi di quest’ultimo, quindi meglio avere dei buoni dati da utilizzare. Ottimo quindi il “Decreto Butti” che sensibilizza sul tema.