(Dalle puntate precedenti) “Il dottor Mabiis è a Bequino… noi lo sappiamo…” “È lì da sempre… dal giorno in cui ha annullato tutte le memorie della galassia… col Grande Ictus Mnemonico…”
“È dietro questa vetrina… lo stanno rasando…” Shaiira entrava. Shaiira gli tagliava la gola. Eppure non una goccia di sangue. Al suo posto un cagnolino. Trimmy usciva. Trimmy correva ben tosato. Scompariva nel parco. Shaiira lancinante: “Inseguiamo il cane dentro il parco! Ci porterà dal dottor Annthok Mabiis! Sono sicura!”.
Il parco si allungava in mezzo alle case. Dentro gli appartamenti. Trimmy unghiettava nei corridoi. Sbandava giù per le scale. Trimmy rincorreva una carrozzina. Trimmy afferrato dagli agenti. Trimmy si divincola. Trimmy un cavallo. Il puledro raggiungeva nella polvere la cresta della collina.
Verso la città. “Ci porta alle sue memorie… alle memorie del dottor Annthok Mabiis… o forse il puledro è il dottor Mabiis…”
Le strade minute. Le finestre affacciate. Nel cenacolo accanto. Il puledro sbandava. I frati arroccati. Più d’un terzo degli umani sceglieva la via della clausura. Il puledro turbinava. Lo circondano. Nella navata centrale. Il puledro batte gli zoccoli. Solleva la polvere. Gli agenti si chinano. Il puledro salta oltre le loro schiene.
Esce sulla piazza. In mille farfalle bianche. Le memorie punteggiano il sagrato. Le memorie tremano. Volano via.
Guardava l’aria tremare dal caldo. L’ombra appartata del cottage dialogava coi vetri chiusi e le travi lucide di sudore.
“Lui non sa che portiamo addosso delle memorie…”
Non ricordava di aver tagliato l’erba. Di aver sagomato i cespugli. I versi del bosco lo consolavano. Era riverso sul tavolo grande. La testa all’indietro. Il mondo capovolto. Il giardino al posto del cielo. Spergolava i pensieri assopiti.
“Sono sicura… lui non sa che in realtà… siamo proprio delle memorie…”
“Zitta! Stai zitta!”
“Ma non sto parlando… sto pensando.”
“Non farlo! Gli basta per individuarci! A quel punto non c’è scampo per noi… semplicemente ci ammazza…”
Si alzava dal tavolo. Scendeva dal tavolo. Barcollava di solitudine. Rabbiosava di inedia. Profumava di preda. Occhiava fuori. Il prato.
“Sembra così tranquillo ora… Guardalo… In fondo il grande ictus mnemonico è stata una liberazione per tutti…”
“Cancellare ogni memoria ti fa nascere di nuovo…”
“Solo dopo essere morto almeno una volta…”
“Tanto non te lo ricordi che sei morta…”
“Dovrebbe essere un bel ricordo, morire…”
“Dipende da come ci arrivi…se dal dolore… o dalla rassegnazione… o dal sollievo… oppure dal conforto…”
I tronchi lo quietavano. La povere lo consolava. Il cielo lo ammaliava. Il caffè lo assecondava.
“Io dico che è meglio non star qui di fronte… ci potrebbe notare… allontaniamoci verso il retro della casa…”
Appoggiava le palme. Non spingeva. Non tramava. Non resisteva. Non indugiava. Non distraeva. Non dipanava.
“Ma perché proprio noi due e non le altre? Guarda quante di noi sono su questo prato…”
Le contava. Le invidiava. Le sospettava. Le vezzeggiava. Le ammiccava. Le sferzava. Le affrontava.
“Magari per puro caso! Alza lo sguardo e ci nota prima delle altre… E siamo finite…”
Il dottor Mabiis aprì la finestra di scatto. Allungò la retìna e imprigionò le due farfalle.
(53-continua)