Soro: “Big Data, ecco i rischi della mancanza di trasparenza”

I Big data sono un fattore strategico nella produzione, nella competizione dei mercati, nelle innovazioni di importanti settori pubblici e nella nostra vita quotidiana. Tutto ciò comporta il dover affrontare sfide molto complesse che solo in parte sarà possibile risolvere attraverso una maggiore regolamentazione

Pubblicato il 27 Feb 2017

La nuova economia, fatta di tecnologia sempre più interconnessa, favorita dall’espansione dell’Internet in mobilità, alimentata dalla presenza capillare di sensori intelligenti, si caratterizza  per i grandi volumi di dati,  l’infinita eterogeneità delle fonti da cui provengono e la velocità dei sistemi che li analizzano.

Ma, come sottolineato in occasione del Convegno “Big Data e Privacy. La nuova geografia dei poteri”, organizzato in occasione della Giornata Europea della protezione dei dati personali, governare questi processi non è certamente un compito semplice.

La capacità di estrarre dai dati informazioni che abbiano un significato e siano funzionali, richiede infatti lo sviluppo di sofisticate tecnologie  e di competenze interdisciplinari che operino a stretto contatto.

In questo quadro i progressi nella potenza di calcolo svolgono un ruolo centrale per l’analisi dei Big Data e per l’acquisizione  della conoscenza.

E in un futuro non troppo lontano l’intelligenza artificiale, grazie ad algoritmi capaci di apprendere e migliorare autonomamente le proprie abilità,  offrirà soluzioni efficaci per soddisfare le più disparate esigenze.

E arriverà ad occuparsi di problemi che oggi possono sembrare ostacoli insormontabili, a beneficio della collettività.

Potrà fornire un aiuto importante nel campo della medicina, nello studio dei cambiamenti climatici o nel favorire l’accesso a risorse di primaria importanza come l’acqua o il cibo.

Ma, per altro verso, la logica posta alla base dei Big data con il suo insaziabile bisogno di accumulare dati porrà sfide ancora più complesse che solo in parte sarà possibile risolvere attraverso una maggiore regolamentazione degli operatori tecnologici, attualmente attestati su un regime di sostanziale autodichia.

Le riforme del quadro giuridico europeo rappresentano una svolta importante per definire un contesto  uniforme e proiettato sulle esigenze future e, soprattutto, preservare la fiducia degli utenti nello spazio digitale e nelle sue potenzialità.

Fiducia, innovazione e futuro sono fortemente correlati.

L’obbiettivo al quale dovremmo tendere è la garanzia di uno stesso livello di tutela dei diritti online così come offline.

Ma se una buona regolamentazione è essenziale, essa non è da sola sufficiente per affrontare l’impatto di questi processi sulle nostre società. 

Penso che sia necessaria una nuova consapevolezza da parte delle opinioni pubbliche.

L’attenzione ai Big data non può riguardare soltanto le sue implicazioni scientifiche e tecniche o gli sconvolgenti effetti delle innovazioni sull’economia.

Ci deve preoccupare anche il potenziale discriminatorio che dal loro utilizzo, anche rispetto a dati non identificativi o aggregati, può nascere per effetto di profilazioni sempre più puntuali ed analitiche: in un gioco che finisce per annullare l’unicità della persona, il suo valore, la sua eccezionalità.

Le Autorità europee di protezione dati avvertono il bisogno di accompagnare questi fenomeni attraverso un più rigoroso approccio etico e di generale responsabilità.

E prima di tutto abbiamo bisogno di promuovere garanzie di trasparenza dei processi, anche per la progressiva difficoltà a mantenere un effettivo controllo sui dati: per l’opacità delle modalità di raccolta, dei luoghi di conservazione, dei criteri di selezione e di analisi.

I rapporti  asimmetrici tra chi quei dati fornisce e chi li sfrutta  si risolvono  a favore di questi ultimi ed in particolare di coloro che gestiscono le piattaforme digitali e dispongono degli  standard tecnologici dominanti.

La capacità di elaborare, anche in tempo reale, tramite algoritmi sempre più potenti un’ingente mole di dati consente di estrarre conoscenza e, in misura esponenziale, di effettuare valutazioni predittive sui comportamenti degli individui nonché, più in generale, di assumere decisioni per l’intera collettività.

Chi possiede il profilo dei consumatori indirizza  la produzione commerciale verso specifici modelli di utenza, così da assecondarne i gusti ed insieme orientare selettivamente le scelte individuali.

Dobbiamo  chiederci quante delle nostre decisioni siano in realtà fortemente condizionate dai risultati che un qualche algoritmo ha selezionato per noi e ci ha messo davanti agli occhi.

Un libro, un certo viaggio, una clinica cui affidare la salute, un investimento dei risparmi, la scelta di un dipendente da assumere, un giudizio politico, la stessa fiducia nei confronti di una persona appena incontrata, della quale chiediamo subito informazioni cliccando sui motori di ricerca e la cui affidabilità siamo pronti a misurare su quanto appreso in rete.

Dobbiamo riflettere sugli attuali scenari, interrogarci sugli effetti prodotti da queste trasformazioni: per comprendere le conseguenze sulle nostre  vite  indotte dalle decisioni automatizzate.

I Big data sono diventati un fattore strategico nella produzione, nella competizione dei mercati, nelle innovazioni di importanti settori pubblici, nella struttura funzionale delle nostre abitazioni, nella normalità della nostra vita quotidiana.

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