Fantascienza e datafication

Una resurrezione digitale

Nel film “Transcendence” il protagonista muore, ascende in un aldilà digitale e torna poi a reincarnarsi nel nostro mondo. Non lo guida un Dio padre, ma una tecnologia onnipresente e onnisciente basata su big data e reti neurali che è figlia della neonata e incombente “datification”.

Pubblicato il 21 Apr 2014

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Nelle sale cinematografiche italiane si proiettano in questi giorni due film che – in maniera diversa ma consonante – affrontano il tema del conflitto che si sta preparando tra singole menti umane, intelligenza connettiva e intelligenze artificiali. Conflitto che – secondo le previsioni di tecnici, scienziati e informatici, oltre che di filosofi e sociologi – dovrebbe esplodere inevitabilmente dopo la cosiddetta “singularity”: ovvero subito dopo il momento (forse non lontano) in cui le intelligenze artificiali supereranno per capacità e competenze l’insieme delle menti umane (una curiosità: nel cuore del Nasa Research Park, nella Silicon Valley, è nata un’intera università dedicata a questo tema, la “Singularity University”). Ma sotto il tema della singolarità si nascondono mille altri argomenti, considerazioni, storie, visioni, perfino delle incursioni che vanno dai miti religiosi della resurrezione ai cascami horror dei film di serie B sugli zombie.

Morte e resurrezione di Johnny Depp – Così, nel film “Transcendence” il protagonista, Johnny Deep (uno scienziato che sta mettendo a punto un’intelligenza artificiale da cui sembra scaturire una autocoscienza), viene ucciso come uomo, transita in forma digitale nel cyberspazio, si trasforma in un essere onnisciente e onnipresente e quindi si reincarna nel nostro mondo materiale. Questa sorta di resurrezione viene ottenuta grazie a una intelligenza sovrumana e alla capacità espressa dalle nanotecnologie nella riproduzione di organismi viventi; capacità che viene utilizzata dal Johnny Depp digitale anche per creare un esercito di zombie da lui controllati mentalmente. Richiamo al sublime del mito morte-e-resurrezione da un lato, quindi, e ammiccamento al trash dei morti viventi dall’altro: un ondeggiamento tra riflessioni esistenziali profonde e cadute pacchiane nel trash Hollywoodiano che segna il film, dandoci un primo tempo sublime e un secondo tempo di vuoti e incongruenti effetti speciali.

La datification – Ma qui in questo blog parliamo di scenari complessi e non di critica cinematografica. Quello che voglio sottolineare e sottoporre alle vostre (nostre) riflessioni è il fatto che questi film e in generale queste fantasie diffuse non potrebbero esistere se negli ultimi decenni l’umanità non si fosse addentrata sempre più a fondo nel fenomeno che viene chiamato in maniera sintetica “datafication”. Un termine nuovo che sta letteralmente esplodendo negli ambienti scientifici (siamo passati in un anno da zero a cinquemilamila ricorrenze su Google). Di che si tratta lo spiegano molto bene Mayer-Schönberger e Cukier nel loro libro “Big data” (tradotto in italiano da Garzanti, che lo ha pubblicato lo scorso anno in contemporanea con l’uscita del testo originale in inglese). In sintesi possiamo dire che il fenomeno inedito e travolgente della datification consiste A) nella creazione sistematica, B) nella raccolta e C) nell’analisi di quantità spaventose di dati. Fenomeno reso possibile da fatti diversi ma convergenti: dalla diffusione di hardware e software digitali, dalla creazione di computer sempre più potenti, dalla diffusione di social network e dell’Internet delle cose collegate direttamente tra loro, e dalla messa a punto di algoritmi generativi e di motori semantici di efficacia crescente. Se è vero che la creazione, la raccolta e l’utilizzazione di informazione è alla base stessa dell’essere vivente (e in particolare dell’essere umano), è anche vero che la trasformazione delle informazioni in dati (misurabili e trattabili con algoritmi matematici) risale ad appena pochi secoli fa. E che l’esplosione delle produzioni di dati leggibili attraverso un unico codice (quello binario, digitale) è cosa che parte appena qualche decennio fa e solo ora sta assumendo il carattere di fenomeno globale, che coinvolge non solo i singoli individui e le loro comunità, ma l’intero pianeta.

Il paradigma cognitivo complesso – Importante, per capire e se possibile gestire in qualche modo quella che promette davvero di diventare una singolarità nella storia dell’umanità, una soglia che trasformerà il mondo per come lo conosciamo, è acquisire la consapevolezza che tutto questo origina da un cambiamento profondo di atteggiamento intellettuale: quello che gli specialisti chiamano il nuovo “paradigma cognitivo complesso”. L’atteggiamento culturale per cui, grazie agli studi e alle riflessioni sui sistemi complessi capaci di adattarsi all’ambiente, sulle strutture delle reti complesse, sull’analisi dei big data e sul funzionamento delle reti neurali, abbiamo imparato a relegare l’illusione della linearità, del principio di causa-effetto, del ragionamento razionalista classico, cartesiano, riduzionista e determinista, ai problemi di tipo lineare, come la costruzione di un orologio o di una locomotiva. Abbandonando questo paradigma cognitivo classico quando ci troviamo di fronte a problemi, ambienti, sistemi e organizzazioni che riguardano il vivente, il sociale e l’ecologico. In tutte le loro declinazioni.

“Transcendence” e “Lei” – La datification è figlia e nello stesso tempo generatrice di tutto ciò, in una spirale infinita di cause ed effetti. E ci porta dritti dritti verso il momento singolare in cui una macchina (o una rete di macchine), con la sua intelligenza artificiale, saprà non solo ragionare come e meglio di ciascuno di noi, ma – forse, chissà – potrà vedere emergere dentro di sé una coscienza come quella raccontata nei film che vediamo nella sale cinematografiche in questi giorni. Non solo in “Transcendece”, ma anche nel più sottile, ricco e commovente “Lei”, a cui non per niente Hollywood ha riconosciuto la densità di contenuti dandogli l’Oscar per la migliore sceneggiatura.

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