Startup

Who wants live forever? Costruzione di un’immortalità digitale

L’idea di una startup italiana: attraverso un ologramma gli avi potranno parlare con un loro antenato, potremmo riprendere contatto con personalità illustri o conoscerle. Come in certi film, è “digito ergo sum”

Pubblicato il 05 Dic 2014

Nicola Strizzolo

docente associato Sociologia Università di Teramo

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Nel mio ufficio conservo la copia delle Scienze che spiega inderogabilmente perché il computer non potrà mai battere l’uomo a scacchi. Il 10 febbraio del 1996 però, la sfida persa da Kasparov contro Deep Blue diventa storia e le certezze cadono, i termini del sistema cambiano.

Oggi siamo giunti a fare un passo ulteriore, un ennesimo ribaltamento delle condizioni, siamo di fronte alla ricostruzione digitale della persona, alla produzione della sua immortalità.

Esaminiamo due casi: il primo incredibile ed emozionante per la visionarietà di un’immortalità digitale, il secondo importante perché utilizza i social media esistenti, ovvero degli strumenti “poveri”, a portata di tutti, per dare vita ai protagonisti di un e-book.

1. Forever Identity è una start up avveniristica che traduce in realtà il sogno di poter parlare con i nostri avi, con i nostri antenati o con personaggi illustri scomparsi: si tratta della ricostruzione di persone realmente esistenti o esistite, attraverso la raccolta di tutta il loro vissuto, cognitivo, esperienziale, emozionale, psicologico e fisico, il tutto gestito da un’intelligenza artificiale, che diventerebbe così, la versione digitale di quelle persone.

I padri fondatori di questa idea, veri visionari della scienza e della tecnica in stile Steve Jobs, sono tutti italiani: Fabrizio Gramuglio, Giorgio Manfredi e Tamara Zanella.

Attraverso un ologramma – che a questo punto ci permette di non escludere una realtà virtuale dove immergersi per avere sensazioni di contatto fisico con queste persone – gli avi potranno parlare con un loro antenato, potremmo riprendere contatto con personalità illustri o conoscerle.

Mentre Dante Alighieri potrà rivivere all’interno di musei dove le persone potranno incontrarlo e dialogare con lui, perché storici, psicologi, artisti avranno interagito con il team di FI per ricreare un Dante Digitale.

Attraverso uno dei massimi studiosi di Leonardo Da Vinci, Alessandro Vezzosi, è in corso una sua ricostruzione per la nuova serie “Rebirth Genius”: storici, linguisti ed esperti di competenze trasversali ridisegneranno la personalità più eclettica e geniale di tutti i tempi.

Infine, la cosa più futuristica e spaziale in tutti i sensi, è lo sviluppo di un “Assistente spirituale virtuale” piuttosto che “L’insegnante virtuale di Yoga”. L’obiettivo è unire l’intelligenza e l’empatia artificiale per interagire con astronauti in appositi ambienti virtuali. I soggetti coinvolti nella realizzazione dell’iniziativa sono sbalorditivi: Stanford University, The University of Texas Medical Branch, The University of California, Baylor College Medicine,  Burke /Weill Cornell Medical Center.

2. Dal lancio del libro in versione esclusivamente e-book “A tempo di Donna” di Cristiana Dalla Zonca, le tre protagoniste le cui storie si intrecciano nel libro, prenderanno vita attraverso l’utilizzo di canali che alimenteranno il flusso delle loro esistenze percepite come “reali”. Ad esempio la ragazza che nel romanzo figura come incinta, raggiungibile e presente su FB, inserirà non solo le informazioni sull’avanzamento della sua gravidanza ma anche i referti medici, ricostruendo così elementi della sua vita personale, cioè della sua persona. Si potrà così durante la lettura e dopo il libro contattare direttamente i personaggi attraverso il canale realisticamente più consono alle loro condizioni (malata terminale, carcerata o incinta).

Quello che il team di lavoro per la campagna del libro vuole creare è un ecosistema digitale dove le protagoniste delle storie prendono sostanza attraverso le forme attuali di comunicazione (in questo caso, saranno operatori umani a creare il contenuto della comunicazione).

Potremmo parafrasare la massima cartesiana declinandola al social: digito ergo sum.

È evidente, soprattutto nel primo caso, come siamo andati oltre le risposte di Eliza, un software del 1966 che utilizzava la sintassi rogersiana partendo dalle affermazioni di un paziente per simulare uno psicoterapeuta. Stiamo parlando di una persona nella sua interezza, nella sua complessità.

Nelle scienze sociali la persona è il risultato delle identità multiple le quali sono rivestite in contesti multipli. La rappresentazione dell’identità è il frutto di strategie comunicative che il soggetto mette in atto in ambienti diversi, in base al ruolo che esso assume nella situazione e al vissuto storico depositato nella memoria degli attori partecipanti all’azione: l’identità è come un ponte tra l’individuo e la situazione nella quale agisce edificato sulla base di regole che determinano posizioni e aspettative.

Celebri sono diventate le prime rappresentazioni delle persone ricreate dall’industria culturale che evocano le visioni futuristiche legate alle potenzialità di una società computerizzata e cablata alimentata dalla cultura cyberpunk.

Risale a più di 20 anni fa la pellicola che per prima ha posto al centro dello sguardo cinematografico personaggi virtuali, quando ancora, il termine realtà virtuale non era stato coniato. Il film è Tron in cui Jeff Bridges interpreta un geniale inventore di videogiochi il quale idea «un raggio laser che trasforma le cose in informazioni numeriche lo fa entrare nel computer e assieme ad altri personaggi combatte vittoriosamente in scenari da videogame […] si tratta del primo film che sposta l’azione nel mondo virtuale dell’elettronica, con alcune sequenze rivoluzionarie completamente in computer graphic» (Mereghetti, 1999).

In seconda battuta è la volta del telefilm Max Headroom. Il personaggio era stato creato nel 1982 in Gran Bretagna – lo stesso anno di Tron – da un produttore discografico, Peter Wegg, come dj elettronico con il compito di presentare video musicali per Channel 4. Trasformato da un computer in un essere virtuale di nome Max Headroom si interfaccerà con vari soggetti. Attraverso gli schermi svolgerà oltre che la sua attività di reporter anche quella di paladino della legalità, smascherando i cattivi di turno.

Analizzando i canali comunicativi presenti in Tron si comprende come la proiezione della propria persona e i mezzi per interagire con gli altri fossero gli stessi della realtà. Ci si rapportava infatti all’interno della dimensione macchina con gli stessi strumenti della comunicazione interpersonale in presenza, tranne che per lo spazio creato dalla macchina stessa. Contestualmente lo sfondo e le regole erano quelle dei videogiochi più famosi all’epoca del film. Luci di diverso colore e intensità, venivano utilizzate invece per trasmettere gli stati interiori dei personaggi: ira, amore, perdita di energia…una sorta di emoticon cromatico.

Per Max Headroom il canale unico per comunicare con il mondo era altresì un mezzo busto visibilmente non umano, immagine computerizzata antropomorfica in cui l’interfaccia tra il reporter nella sua nuova identità numerica e il mondo al di fuori coincidevano nella rappresentazione di sé. Le percezioni e la conoscenza erano mediate da tutto ciò che trasformava in elettronico, la realtà al di fuori del cosmo delle macchine (telecamere, database, articoli) era raggiungibile dalla rete.

Ultimo esempio, rubato dal piccolo schermo, è Automan, un telefilm trasmesso per la prima volta nel 1983 dall’ABC. Un poliziotto, esperto d’informatica ma poco di crimine, sogna di combattere la violenza in maniera più attiva che non dall’ufficio dove si trova relegato. A causa di un errore di programmazione a fianco del poliziotto-informatico si porrà un personaggio creato elettronicamente da un super computer con il nome di Automan che diventerà compagno del protagonista nella lotta alla criminalità. I due eroi sono sempre seguiti da un cursore luminoso che all’occorrenza è capace di creare qualsiasi mezzo richiesto da Automan come macchine od elicotteri.

Questi tre casi costituiscono interessanti costruzioni d’identità mediate dal computer ante litteram, o meglio, sono rappresentazioni di personalità attraverso il calcolatore. Questi sono utili termini di confronto per valutare se quanto immaginato dall’uomo possa essere comparato a quanto effettivamente raggiunto.

Ovviamente vi sono esempi molto più recenti, l’embrione dei quali rimane comunque un film del 1992, Il Tagliaerbe, dove un individuo aumenta la sua intelligenza e di pari passo anche la sua aggressività, tanto da comandare la realtà con poteri di telecinesi finendo poi per farsi digitalizzare dalla rete informatica di modo da controllare il mondo. Non molto diverso ed un po’ anche una brutta copia di Limitless, sull’utilizzo di droghe per giungere ad un empowerment delle capacità celebrali, è il recente Lucy: a causa di un overdose una di nuovo stupefacente Scarlett Johansson sancisce la sua fine corporea a favore di un nuovo principio digitale. Decisamente molto più suggestivi il flirt tra un lui umano ed una lei dall’intelligenza artificiale nel film She e la sopravvivenza digitale delle coscienze della coppia Johnny Depp Rebecca Hall in Trascendence.

Le due esperienze contemporanee che abbiamo descritto rendono molto affini al reale queste narrazioni filmiche, non sono infine da escludersi sperimentazioni che uniscano le due idee: ovvero dare vita digitale di personaggi inventati, ma famosi, dei quali si possa ricostruire un loro profilo psicologico, la loro biografia completa e implementarla in un’intelligenza artificiale.

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