L’Italia si è presa una bella sbronza da identità elettronica.
Da ultima, si è aggiunta – annunciata dal premier Conte – , una Carta Unica da aggiungere alla già folta schiera degli strumenti di identificazione previsti ex lege.
Mentre in Italia sul tema della identità digitale la situazione è caotica, il mercato, che ha bisogno di certezze, inizia allora a guardare a concrete soluzioni di respiro internazionale.
Facciamo il punto.
CIE 3.0, scenari di utilizzo e convivenza con Spid
Nella sua nuova versione 3.0, la CIE, non è più una semplice tessera di riconoscimento, ma permetterebbe l’accesso ai servizi digitali erogati dalle PA così come previsto dall’art. 64 del CAD. E con pubblicazione della Gazzetta ufficiale europea del 13 settembre 2019 (C 309/09), la Commissione europea ha aggiornato l’elenco degli strumenti notificati dai singoli Stati membri introducendo nella lista anche la CIE – Carta d’Identità Elettronica che il Ministero dell’interno italiano aveva provveduto a notificare lo scorso gennaio
La sua introduzione lascerebbe intravedere due nuovi scenari di utilizzo:
- uno scenario cosiddetto “desktop” in cui l’utente utilizza la sua CIE con una postazione di lavoro dotata di un lettore di Smart card RF e del cosiddetto “Software CIE”;
- uno scenario “mobile” in cui l’utente utilizza la sua CIE con uno Smartphone Android dotato di interfaccia NFC assieme all’app di autenticazione “CIE ID”.
In tal modo anche la CIE, accanto a SPID (nel cui elenco di gestori rientra ora anche Lepida S.p.A.), potrà essere utilizzata per accedere online ai servizi resi disponibili dalle amministrazioni pubbliche italiane e dagli altri organismi del settore pubblico di un qualsiasi stato membro europeo.
Un riconoscimento importante per uno strumento che si va diffondendo sempre più anche sul territorio italiano.
Consultando l’elenco dei mezzi d’identificazione elettronica notificati, però, balza subito agli occhi come, a fronte dell’aumento delle notifiche effettuate dagli stati membri, nessuno tra Belgio, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Lussemburgo, Portogallo, Spagna, Olanda e Regno Unito ne rileva un numero così elevato come l’Italia.
Identità digitale e regolamento eIdas, le responsabilità dell’Italia
Certamente è utile avere più mezzi tra i quali poter scegliere, ma è anche doveroso ricordare che occorre gestirli, incentivarli (soprattutto SPID che ha richiesto notevoli investimenti al settore privato pur rimanendo troppo spesso poco utilizzato) e soprattutto vigilarli attentamente.
È bene ricordare, infatti, che l’Italia, ai sensi dell’art. 11 del Regolamento eIDAS, è responsabile per i danni causati, con dolo o per negligenza, a qualsiasi persona fisica o giuridica in una transazione transfrontaliera qualora non abbia garantito la corretta (e univoca) identificazione del soggetto al quale è stato assegnato o non siano resi disponibili agli altri stati i mezzi di verifica dell’identificazione avvenuta attraverso un mezzo notificato. Il regolamento eIDAS, infatti, impone il mutuo riconoscimento dei mezzi d’identificazione notificati tra i vari stati membri a patto che il singolo stato sorvegli attentamente l’operato dei loro gestori (pubblici o privati che siano).
Se dunque, a livello europeo, tutto sembra già sufficientemente chiaro e ben avviato, persistono a livello nazionale problemi legati all’effettivo utilizzo dei diversi mezzi d’identificazione presenti, la cui eccessiva proliferazione rischia di creare sempre più confusione.
La Carta Unica del premier Conte
Il nuovo strumento di identità digitale annunciato dal premier Conte sarebbe verosimilmente una tessera unificata, in grado di sostituire in un sol colpo carta d’identità, tessera sanitaria, identità digitale e con in più la possibilità di attivare un conto di pagamento presso qualsiasi sportello bancario o postale, favorendo così la lotta all’evasione tramite pagamenti elettronici.
A quanto dichiarato dal premier, sarebbe una nuova ed evoluta versione della Cie, che “oltre ai tradizionali servizi di Codice Fiscale, Tessera Sanitaria e Carta d’Identità, potrà sostituire anche la patente, la carta di circolazione e potrà essere utilizzata per l’identificazione e l’accesso a mostre ed eventi”. Ma farà anche funzioni di badge aziendali e integrerà un borsellino per i pagamenti elettronici, ricaricabile persino in tabaccheria.
Una prospettiva di certo ottimistica quella prospettata dal Premier Conte che quindi andrebbe a confermare quanto recentemente annunciato dal sottosegretario al Mef, Alessio Villarosa in merito alla prossima introduzione di questo strumento.
Non sarà facile integrare le diverse infrastrutture che compongono questa identità unica. Tra l’altro, per una piena diffusione, bisognerà aspettare che i cittadini rinnovino le CIE già rilasciate.
Il caos
A discapito dell’evoluzione del contesto europeo e delle prospettive ottimistiche di crescita, quella dell’Italia resta quindi una situazione piuttosto caotica. Infatti, la cornice attuativa è rimasta pressoché invariata da anni e i tentativi di governance digitale non sembrano aver per nulla favorito la metabolizzazione dei mezzi introdotti nel tempo, da parte dei cittadini, spesso anche confusi non solo dal moltiplicarsi degli acronimi, ma anche dalla duplicazione delle funzionalità stesse a loro disposizione in assenza -o quasi- di servizi reali disponibili on line sui siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni.
Attualmente, accanto a CIE e SPID si conta anche la Carta Nazionale Servizi – CNS, senza considerare “esperimenti” pregressi, come nel caso del DDU (Documento Digitale Unificato) che si è tentato di introdurre con il Governo Monti, uno strumento – anche questo – che avrebbe dovuto sostituire la carta di identità e la tessera sanitaria, consentendo un unico accesso ai servizi in rete. Ma nonostante i pareri favorevoli di Consiglio di Stato, Garante privacy e il nulla osta da Bruxelles, il DDU fu successivamente bocciato dal Governo Renzi per essere rimpiazzato dal “pin unico” (poi rivelatosi SPID).
L’auspicio è che questa nuova idea della tessera unificata – di recente annunciata anche dal Ministro dell’innovazione digitale Paola Pisano (quindi quanto meno sembrerebbe esserci univocità di vedute nel Governo Conte) non rischi di fare la stessa fine del tristemente (e ormai dimenticato) DDU, quindi scontrarsi con una realtà, che è ben lontana da quello che si racconta nei comunicati stampa. Basti pensare che non esiste ancora in modo diffuso e completo (dovremmo essere ormai ad un livello di attuazione intorno al 50%) un’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR).
Il mercato guarda al progetto SSI – Self-Sovereign Identity
Mentre, quindi, l’Italia va avanti su più fronti senza avere, almeno apparentemente, un disegno unico e preciso in materia di identità digitale, il mercato, che ha bisogno di certezze, inizia a guardare a concrete soluzioni di respiro internazionale finalizzate a individuare soluzioni di identificazione elettronica in grado di superare anche i confini dell’Europa. Si sta, infatti, sempre più affermando a livello mondiale il progetto SSI – Self-Sovereign Identity che punta a costruire un’identità sovranazionale, attestata tramite blockchain, che dovrebbe contribuire efficacemente a migliorare l’affidabilità degli scambi online tra imprese e cittadini di tutto il mondo.
Un approccio certamente interessante nel quale è coinvolta anche la società italiana Infocert che proprio in questi giorni ha lanciato una piattaforma che dovrebbe essere in grado di mettere in relazione un’identità SSI con un’identità confermata tramite SPID (considerato il ruolo di gestore SPID di Infocert).
Sicuramente una prospettiva che potrebbe dare nuovo respiro anche al sistema SPID, stimolando l’interesse dei diversi interlocutori nazionali (e non).
La speranza di una svolta insomma resta, ma la sensazione è che ogni nuovo governo fatichi molto prima di riuscire ad orientarsi, decidendo magari che sia meglio buttare tutto all’aria, piuttosto che provare governare ciò che già c’è.
Almeno, a dirla alla Troisi, si poteva tentare di provare (seriamente) a ricominciare da tre.