L’innovazione e la digitalizzazione devono far parte di una riforma strutturale dello Stato che promuova la democrazia, l’uguaglianza, l’etica, la giustizia, e lo sviluppo incentrato sul rispetto dell’essere umano e del nostro pianeta. Sono questi i pilastri fondanti del Piano Nazionale Innovazione, per la crescita digitale dell’Italia fino al 2025, illustrati dal Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, Paola Pisano: una strategia con un orizzonte finalmente di lungo periodo che permette di uscire dagli affanni di una politica schiacciata dal corto respiro del quotidiano.
L’altra faccia della medaglia è che, se da una parte gli obiettivi sono chiari e finalmente trasversali, non sarà per niente scontato realizzarli. Che davvero – per cominciare – tutti i ministri marceranno assieme, con il coordinamento che la ministra si aspetta e che dichiara. E che la politica trovi le risorse per crederci fino in fondo, dal momento che persino quelle previste per lo stesso ministero sono saltate in Legge di Bilancio e ora si spera di recuperarle con il Milleproroghe.
E in effetti, la parola più ricorrente che rimbalzava tra le bocche di chi ha assistito alla presentazione del piano, ieri, è stata “come”. Con un punto interrogativo in fondo.
Sì, un piano visionario, a tutto tondo. Ma come realizzarlo? Nel piano non ci sono date, se non quella al 2025 (a differenza del fu piano Crescita Digitale dell’Agid). Ma la ministra ha detto che “verificheremo ogni quattro mesi l’avanzamento del piano verso gli obiettivi” .
Il piano in breve
La strategia “2025” è composta da venti azioni di innovazione e digitalizzazione che rispondono a tre “sfide” principali. Si parte dalla creazione di una società digitale, con tre obiettivi da perseguire:
- l’accesso online ai servizi della Pubblica Amministrazione da parte di cittadini e imprese;
- la digitalizzazione del settore privato trainata dal settore Pubblico;
- la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico e l’incentivo all’utilizzo e alla condivisione dei dati da parte delle amministrazioni e dei privati.
Questa prima sfida passa per alcune azioni chiave: il rilancio dell’identità digitale, “che deve essere una sola per tutti i servizi per ogni cittadino” (ha detto Guido Scorza, che collabora con la ministra sul tema), il domicilio digitale per tutti (in forte ritardo, come ammesso dallo stesso Luca Attias), fino al lancio di IO, l’app per i servizi pubblici, che permette a chiunque di interfacciarsi con tutti i servizi pubblici attraverso un unico canale.
La seconda sfida punta alla costruzione di un Paese innovativo, in grado di produrre tecnologia e innovazione Made in Italy e di sfruttare questa innovazione per il rilancio dei settori produttivi tradizionali del nostro Paese. Gli obiettivi:
- promuovere cambiamenti strutturali che agevolano e accelerano l’innovazione nell’ecosistema.
- aumentare il potenziale innovativo delle città e dei territori
- realizzare infrastrutture tecnologiche per l’Italia capillari, affidabili, innovative e green.
Tra le azioni chiave a supporto di questa sfida: la costruzione di “infrastrutture digitali” all’avanguardia, l’istituzione del “diritto a innovare” per favorire la nascita di startup, la promozione di soluzioni di Intelligenza Artificiale, la creazione di hub e “borghi del futuro”, dove creare ecosistemi locali per favorire lo sviluppo dell’innovazione. Qui rientra anche il completamento dei piani bandaultralarga e un cloud unico italiano federato con l’Europa, secondo un modello che adesso tende a chiamarsi di “sovranità digitale”.
La terza sfida, infine, riguarda uno sviluppo inclusivo e sostenibile. L’obiettivo principale di questa sfida è che l’innovazione sia al servizio delle persone e non lasci indietro nessuno. Tra le azioni, l’iniziativa Repubblica Digitale porterà alla creazione di “un hub di formazione” contro il digital divide, mentre l’istituzione di un AI Ethical LAB-EL stabilirà principi guida etici per un corretto utilizzo dell’Intelligenza Artificiale. Una questione che la nostra testata ha trattato prima e più degli altri, con interventi di personalità chiave. Il piano prevede la costituzione di un comitato “alleanza per l’intelligenza artificiale sostenibile”, aperta a candidature e una piattaforma di e-learning per diffondere la conoscenza dell’AI.
Nel piano si legge anche un programma per supportare gli anziani, con un tablet personalizzato, nei comuni più a rischio di digital divide.
Quale innovazione al 2025
Ma che vuol dire, in concreto? La ministra Pisano dal palco della presentazione del piano (17 dicembre) si è messa a raccontare, con tono appassionato ed enfatico, certo non comune in un contesto istituzionale, una storia: ha fatto finta di essere già nel 2025 e ha detto al pubblico cosa vede.
Ha immaginato che App Io permetterà di fare servizi pubblici e privati, non solo pagamenti e notifiche in un pugno di città come sarà al suo debutto. Slittato ancora, tra l’altro: la ministra ha detto che “a marzo sarà scaricabile da tutti, si spera”. Si spera: sarebbe dovuta arrivare per fine anno.
Ma nel 2025 andrà meglio, dice: ci aiuterà per le scadenze documenti, ci farà fare l’iscrizione figli scuola, comprare biglietti vari, ottenere offerte di lavoro, persino prenotare le auto car sharing e chiedere bonus mamma o simili.
Nel 2025, “con azioni coordinate e connesse, tutti i ministeri incentivano domanda e offerta d’innovazione”. Sarebbe la prima volta che i ministeri in Italia agiscono in modo coordinato – le attuali deleghe danno appunto alla ministra questo compito di coordinamento sui suoi temi, ma attuarlo sarà una sfida.
Nel 2025 le startup saranno incoraggiate a sperimentare in Italia. Il coding normale materia scolastica. Le nostre aziende saranno davvero competitive appieno sul panorama internazionale, cavalcando le frontiere tecnologiche, dell’AI, della blockchain. “Ci sarà un programma per insegnare a tutti l’intelligenza artificiale e fare reskilling lavoratori”, dice: una indicazione in linea con i consigli dei principali osservatori (Accenture, McKinsey) ed esperti. Almeno si potrà dire che la ministra è stata ben consigliata.
Insomma, in questa visione, che ci si augura non sarà l’ennesimo libro dei sogni italiano, c’è un Paese innovativo, con infrastrutture tecnologiche a supporto di un ecosistema sempre più capace di generare e attrarre innovazione sul piano economico e industriale, culturale e istituzionale.
Il piano sembra porsi come quel tassello mancante che va a consolidare e completare l’ecosistema per l’innovazione. Il ruolo centrale affidato al nuovo Dipartimento per la trasformazione digitale, affidato alle mani di Luca Attias, garantisce continuità operativa a quanto di buono impostato e avviato dal team guidato da Diego Piacentini. Anche questa continuità è positiva in quanto non si è costretti a ricominciare tutto daccapo, con spreco di tempo e risorse.
I tasselli nuovi del piano
In questa visione spiccano alcuni tasselli nuovi:
- la proposta di introdurre il “diritto a innovare”, grazie al quale sarà possibile per le startup effettuare sperimentazioni d’avanguardia monitorate dalla Stato ma in deroga alle norme, per un periodo di tempo definito (se le sperimentazioni avranno successo, sarà la legislazione a doversi adeguare, snellendo e semplificando procedure)
- il nuovo sito innovazione.gov.it grazie al quale sarà resa più semplice ed economica, ma con valore legale, la notifica di atti, comunicazioni e avvisi delle pubbliche amministrazioni
- l’avvio dell’iter per 100 nuove assunzioni per figure altamente specializzate. Per arrivare a 300 fra tre anni. Risorse permettendo.
- il Fondo nazionale Innovazione che permetterà alle startup e alle PMI di avvicinare le startup alla pubblica amministrazione, così da far crescere anche le grandi aziende parastatali. Fondo ancora bloccato per mesi dal più italico degli intoppi: le nomine da fare secondo un puzzle di desiderata politici. Adesso si mormora che gennaio potrebbe essere la svolta.
- la piattaforma appaltinnovativi.gov di innovation brokering dedicata agli acquisti d’innovazione delle pubbliche amministrazioni italiane. Risolvere i nodi del procurement pubblico, secondo gli esperti (Luca Gastaldi del Polimi, l’avvocato Eugenio Prosperetti), è la principale priorità per sbloccare l’innovazione nella PA e darle quel necessario ruolo di propulsione all’innovazione.
Piano nazionale innovazione, Gastaldi: “Ecco le priorità sblocca-Italia”
I temi sociali ed etici dell’innovazione
Il Piano è molto attento anche ai temi sociali ed etici dell’innovazione. L’ha detto ieri lo stesso premier Giuseppe Conte: “non c’è sviluppo sostenibile senza innovazione”. L’innovazione aiuta la sostenibilità. Al tempo stesso, deve essere sostenibile.
Infatti le linee programmatiche presentate si pongono alla base di uno sviluppo tecnologico inclusivo e sostenibile, al servizio delle persone e dei territori, attento alla formazione e alle competenze perché nessuno rimanga indietro. Come cittadini sempre più tecnofili abbiamo delle aspettative molto alte nei confronti di chi eroga servizi pubblici. Vogliamo una PA in grado di soddisfare queste aspettative di poter aver rapporti semplificati e una fruizione di servizi il più possibile semplice e a portata di smartphone. Con ciò senza dimenticare le aspettative per una PA rispettosa dell’ambiente e socialmente consapevole del ruolo dei propri utenti. Siamo proprio noi, come cittadini, che possiamo contribuire alla costruzione di questi servizi nuovi (co-progettazione) e alle valutazioni sulle capacità dei comuni e degli enti locali di erogare servizi digitali (valutazione partecipativa).
Il tema si lega alla capacità dei Comuni di implementare il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione, alla capacità di inserire obiettivi di digitalizzazione nei propri Piani performance e di legare l’erogazione dei premi di risultato della dirigenza al raggiungimento di questi obiettivi.
Gli ostacoli da rimuovere per sostenere lo sviluppo digitale
Ecco allora che hanno senso i patti per l’innovazione che Agid sta sottoscrivendo con le Regioni, perché è nei territori che nasce l’innovazione ed è lì che dobbiamo andare a cercarla, anche perché sono le città i luoghi dove si produce la maggiore quantità di materia prima per le nuove tecnologie: i dati digitalizzati estraibili dalla rilevazione dei comportamenti delle persone.
Nell’orizzonte di tempo stabilito dal piano dovranno essere rimossi gli ostacoli che ancora permangono nello sviluppo digitale del Paese, in particolare l’eccessivo peso della burocrazia e la capacità di sanificare le spese e fare massa critica delle risorse, nazionali e comunitarie.
Non è facile per la politica normare un mercato che corre a ritmi velocissimi, ma quando lo fa, a volte stenta a capirne le conseguenze e gli effetti pratici. I tempi delle gare sono troppo lunghi, anche per il forte quadro di incertezza normativa (a 3 anni dalla pubblicazione del Codice dei contratti pubblici, sono stati adottati solo 24 dei 56 provvedimenti attuativi per renderlo pienamente operativo). Solo il 30% dei Comuni gestisce le fasi di gara completamente in digitale e i processi di procurement pubblico sono spesso gestiti male: l’83% dei Comuni non analizza le performance dei processi d’acquisto.
Un altro grosso nodo è quello delle competenze pubbliche e private. Repubblica Digitale è uno strumento insufficiente, come alcuni esperti (anche del Team Digitale) hanno detto in diversi contesti.
Pianificazione e fondi Ue
Dobbiamo anche imparare a spendere di più e meglio nel digitale. L’uso dei fondi della programmazione europea non brilla per la qualità della spesa. Ad esempio, secondo i dati dell’Agenzia di Coesione, degli 82 milioni di euro previsti nei programmi operativi regionali (2014-2020) solo 22 milioni sono stati utilizzati per la pubblicazione di appalti innovativi. Per l’innovazione digitale, tra Piani Operativi Nazionali (PON), Regionali (POR) e fondi diretti, ci sono circa 2 miliardi da spendere entro i prossimi due anni.
La pianificazione incoerente, le scarse risorse finanziarie e l’insufficiente coordinamento, per esempio, stanno ritardando l’attuazione dei servizi pubblici digitali in settori fondamentali, che contribuirebbero a ridurre la complessità e ad aumentare la trasparenza, come quello dei sistemi di pagamento online. L’elevata età media dei dipendenti pubblici e il basso livello medio delle loro competenze digitali rallentano ulteriormente il processo.
Ma la svolta digitale del nostro Paese non si può più rimandare, è un passaggio obbligato. Una delle infrastrutture fondamentali in cui il nostro Paese deve investire è la cultura del digitale. Con la presentazione del Piano la strada è tracciata. Il cammino è lungo e non sarà facile, ma è ora di raccogliere e vincere la sfida.