Identità digitale

Il PIN unico è debole senza il domicilio digitale

Si attende un decreto per stabilire le modalità di rilascio del domicilio digitale. Per questo fine, bisognerà aspettare l’Anagrafe unica o il documento unificato. E’ un passaggio necessario, per ottenere risparmi milionari e risolvere i problemi connessi alla notifica degli atti

Pubblicato il 17 Set 2014

Patrizia Saggini

avvocata, esperta di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione

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Abbiamo letto tutti nei mesi scorsi le dichiarazioni del premier Matteo Renzi sul futuro PIN unico del cittadino per accedere alle proprie pratiche online.

Ma siamo sicuri che questa innovazione sia da sola sufficiente a far decollare la digitalizzazione dei rapporti tra cittadino e PA?

L’identità di un soggetto – persona o impresa – non è da sola sufficiente a digitalizzare completamente i rapporti con la Pubblica Amministrazione; solo per fare qualche esempio banale, la quasi totalità delle istanze presentate presuppongono poi una successiva risposta da consegnare al richiedente.

Mentre per inviare una richiesta alla PA si possono utilizzare i vari canali – PEC, portali tematici, ecc. – che canale può utilizzare la PA per comunicare l’esito della richiesta?

Al momento attuale, l’unico canale a cui è riconosciuta validità giuridica è la spedizione postale, di tipo tradizionale o con raccomandata con ricevuta di ritorno in tutti quei casi in cui occorre avere la certezza che il soggetto abbia ricevuto la comunicazione.

Per passare al canale digitale, l’unico strumento previsto dalla normativa che ha i medesimi effetti della raccomandata a.r. è la Posta Elettronica Certificata – PEC.

Purtroppo, la storia della PEC è emblematica di come sia complesso diffondere l’innovazione, e del fatto che, se si vogliono avere dei risultati, è necessaria una progettazione capillare: in una prima fase, all’epoca dell’attivazione del Protocollo Informatico (2004), era stata prevista come strumento principale per la trasmissione di documenti tra le Pubbliche Amministrazione, poi con il cd. decreto Brunetta (DL 185/2008) fu data la possibilità a tutti i cittadini di richiedere una casella PEC gratuita.

In un secondo momento, l’obbligo di avere una PEC è stato esteso a tutte le imprese, e recentemente anche alle imprese individuali: l’indirizzo deve essere pubblicato e reso disponibile attraverso la banca dati del Registro delle Imprese.

Con l’art. 14 del DL 69/2013 è stata introdotta una specifica disposizione che prevede il domicilio digitale: infatti “All’atto della richiesta del documento unificato, ovvero all’atto dell’iscrizione anagrafica o della dichiarazione di cambio di residenza a partire dall’entrata a regime dell’Anagrafe nazionale della popolazione residente, è assegnata al cittadino una casella di posta elettronica certificata, con la funzione di domicilio digitale, ai sensi dell’articolo 3-bis del codice dell’amministrazione digitale, successivamente attivabile in modalità telematica dal medesimo cittadino.”

Si fa poi rinvio ad un successivo decreto del Ministro dell’interno con cui verranno stabilite le modalità di rilascio del domicilio digitale all’atto di richiesta del documento unificato.

L’operatività di questa disposizione non è chiara, perchè sembra collegata all’attivazione dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), o al documento unificato, del quale non si conoscono tempi di attuazione.

Che conseguenze ha la mancata attuazione del domicilio digitale?

Per vedere l’impatto economico di ciò di cui stiamo parlando, basta consultare le spese dello Stato PA centrale, interrogando la banca dati SIOPE, recentemente resa consultabile anche in formato Open Data.

A titolo di esempio, proviamo a vedere quanto hanno speso nel 2013 le Amministrazioni Centrali per acquisto di carta, spese postali e per spese di stampa:

CARTA

1.672.949,85

ONERI POSTALI E TELEGRAFICI

56.095.869,96

STAMPATI

46.136.579,66

Probabilmente se tutti i cittadini italiani avessero un domicilio digitale, le cifre che si spendono ora, sarebbero più che dimezzate, e questo non solo per la PA centrale, ma anche per tutte le altre Amministrazioni.

Un’altra implicazione del domicilio digitale riguarda anche la notifica degli atti, che comporta da un lato l’intervento specifico di operatori delle PA, e altri costi diretti, come ad esempio la spedizione con raccomandata a.r.; solitamente le spese di notifica sono poste a carico degli enti interessati, che nella maggior parte dei casi le addebitano poi agli utenti (come nel caso delle contravvenzioni al Codice della Strada).

Il domicilio digitale è infatti previsto anche dal Codice di Procedura Civile, proprio in tema di notifiche: infatti l’art. 138 Cpc prevede espressamente l’indirizzo di posta elettronica certificata per la notifica di un documento informatico, in assenza del quale l’ufficiale giudiziario esegue la notificazione mediante consegna di una copia dell’atto su supporto cartaceo, da lui dichiarata conforme all’originale.

Su richiesta, l’ufficiale giudiziario invia l’atto notificato anche attraverso strumenti telematici all’indirizzo di posta elettronica (mail semplice) dichiarato dal destinatario della notifica.

Inoltre, l’art. 149 bis, introdotto dal DL. 193/2009 e modificato dal DL. 179/2012, prevede esplicitamente che “Se non è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo; l’ufficiale giudiziario trasmette copia informatica dell’atto sottoscritta con firma digitale all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni.”

La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario, e al documento notificato sono allegate le ricevute di invio e di consegna che attestano la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici trasmessi in via telematica.

Per inciso, sempre sul tema della PEC, l’art. 65, comma 1, lettera c-bis), del CAD, introduce anche un tipo particolare che comprende anche il riconoscimento del soggetto titolare, e quindi potrebbe sostituire l’utilizzo della firma digitale (cd. PEC ID); il successivo DPCM 27 settembre 2012 ne ha regolato le caratteristiche, ma non risulta sia ai stato attuato.

Confrontando l’identità digitale con il domicilio sotto forma di PEC, si pone anche il problema della mancata interoperabilità del domicilio digitale con gli altri Stati dell’Unione Europea, perchè la Posta Elettronica Certificata è una realtà solo italiana: a differenza di quanto invece accade con l’identità digitale, che rientra in una normativa europea, così che chiunque appartiene ad uno stato membro possa presentare richieste ad un qualsiasi altro Stato dell’UE.

Al momento, il domicilio digitale risulta essere un passaggio imprescindibile per arrivare ad una completa digitalizzazione dei rapporti tra cittadino e PA, rappresenta il tassello mancante per completare il quadro delle comunicazioni digitali, e soprattutto la sua attuazione potrebbe comportare un elevato risparmio di risorse umane e di costi da parte di tutte le Amministrazioni, e quindi in ultima istanza, anche per tutti i cittadini.

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