Sulle misure per favorire l’innovazione e diffondere la connettività e i servizi digitali, di cui l’Italia ha tremenda necessità, il Governo si muove nella direzione giusta.
Negli ultimi anni abbiamo visto migliorare alcuni degli indicatori europei che riguardano l’agenda digitale, riassunti dalla Ue nell’indice DESI. In particolare, questo avanzamento rispetto all’ultima posizione del nostro Paese riguarda in particolar modo l’indice sulla connettività cioè sulla infrastruttura fisica.
Gli investimenti dell’Italia per il piano banda ultralarga
Questo risultato è ascrivibile principalmente agli investimenti dell’Italia per il piano della banda ultralarga grazie al ruolo di OpenFiber nelle aree bianche, cioè quelle a domanda debole a fallimento di mercato, e degli altri operatori telefonici nelle aree a mercato. Queste risorse si stanno traducendo infatti nella posa di fibra e in altri interventi volti a coprire il nostro Paese con una rete fisica ultraveloce e nonostante alcune difficoltà e ritardi queste attività continuano a procedere e anzi riceveranno impulso nei prossimi mesi, atteso che molti dei problemi riscontrati finora relativi ad aspetti amministrativi e burocratici sono ampiamente superati.
Come ho evidenziato più volte, tali interventi non sono risolutori per l’accorciamento delle distanze con gli altri Paesi Ue, ma certamente sono il prerequisito per poterlo ottenere.
Le piattaforme abilitanti: stato dell’arte e progetti futuri
Negli ultimi 2 anni, abbiamo portato avanti con maggiore convinzione quanto di buono era stato fatto in precedenza, penso a Spid, PagoPA, ANPR e certamente queste innovazioni svilupperanno a pieno il loro potenziale nei prossimi anni. Accanto a queste però il Governo ne porta avanti molte altre come la realizzazione di piattaforme e applicazioni come IO, lo sviluppo del 5G, della Intelligenza Artificiale e della blockchain, con strategie precise e un insieme di politiche finora mai viste neanche in altri Paesi extra Ue: dalla creazione di task force specifiche alla stesura di piani e programmi che contengono obiettivi chiari e misurabili, ad interventi normativi di semplificazione e volti a favorire innovazione e investimenti, nonché a stanziamenti di risorse economiche e al coinvolgimento di tutti i portatori di interessi. Tutti questi interventi produrranno effetti in un periodo medio-lungo nella diffusione capillare dell’uso dei servizi digitali, ma contribuiscono certamente a darci finalmente un ruolo di primo piano almeno nella definizione delle politiche comunitarie.
Ad oggi, infatti il nostro Paese sconta alcune difficoltà per la diffusione di servizi digitali legate, non solo ad una infrastruttura inadeguata e ancora in certe regioni poco presente, sebbene come detto tale situazione è in rapida evoluzione, ma anche e soprattutto a un modello economico industriale obsoleto e socio-culturale arretrato. Infatti, se molti distretti produttivi e aree industriali non sono ancora raggiunte dalla fibra, bisogna riconoscere pure che il mondo delle PMI comincia ad apprezzare soltanto da poco il piano Impresa 4.0 che per anni è stato rivolto esclusivamente ai grandi gruppi industriali e quindi non poteva avvantaggiare anche le aziende dell’indotto delle grandi imprese e dalle altre con minori capacità di investimento in innovazione e tecnologia. Sull’altro piatto della bilancia è innegabile che soltanto lo switch off definitivo e su tutto il territorio verso modelli paperless e digital first imporrà, tanto al pubblico come al privato, il ripensamento completo dei processi: il fascicolo sanitario elettronico, il processo civile telematico, l’incrocio delle banche dati del mercato del lavoro e tanti altri esempi stanno lentamente, ma inesorabilmente, cambiando il modo in cui cittadini, imprese e pubblica amministrazione percepiscono il digitale e i suoi vantaggi.
Con queste premesse non stupisce che nel nostro Paese, la domanda di servizi digitali e la conseguente richiesta di banda è legata principalmente finora alla diffusione del servizio di pay-per-view: mentre altri Paesi storicamente hanno investito nella tv via cavo per servizi on demand che hanno facilitato l’infrastrutturazione della banda larga e dei servizi che ne conseguono, facendo arrivare internet attraverso il cavo tv in ogni casa, il nostro Paese vive solo oggi l’inizio di questa rivoluzione digitale e l’uso di piattaforme di distribuzione di contenuti multimediali è uno dei pochi che consente di far apprezzare la necessità di bandalarga nella vita di ogni giorno.
La necessità di stimoli alla domanda
Questa analisi ha indotto a riflettere sulla necessità di forme di stimolo della domanda di servizi digitali, atteso che finora la PA ha svolto, insieme alla tv digitale, il ruolo principale di traino ma che questo non era sufficiente prima per la grave e storica carenza sulla infrastruttura e non può esserlo per il futuro, a meno di un approccio coercitivo che penalizza i cittadini maggiormente in difficoltà per il digital divide. Con questa riflessione ben chiara, è evidente che le imprese possono e devono giocare un ruolo indispensabile per rendere i servizi digitali più attraenti e convenienti nella vita quotidiana. Ma si sa che per indurre investimenti e il coinvolgimento dei privati sia indispensabile che ci sia un mercato, almeno potenziale.
E se da un lato i costi per le linee telefoniche ad alta velocità hanno subito un calo fisiologico e rilevante dovuto alla concorrenza e alle aspettative dei clienti, dall’altro si registra che una importante fetta di popolazione nel nostro Paese rimane esclusa da servizi di connettività. Al netto quindi della necessaria infrastrutturazione propedeutica, si pone il tema di come garantire a tanti italiani, che possono già avere fisicamente accesso a linee a banda ultralarga, la fruizione di servizi digitali.
Tale necessità è condivisa pressoché all’unanimità da tutte le forze politiche che al più si dividono sulle forme che debba avere tale sostegno. Infatti, è abbastanza pacifico concordare che la diffusione di abbonamenti per linee broadband sia un moltiplicatore per gli investimenti in tutti i settori e un acceleratore di tutte le politiche: quelle di coesione sociale, di sviluppo economico, di crescita culturale, di promozione dell’innovazione, di rilancio del turismo, di competitività internazionale, di tutela del paesaggio, della salute umana e dell’ambiente, di ricerca scientifica.
La scelta dei voucher per la banda ultralarga
Per il Movimento 5 stelle e per il Governo la scelta di usare i voucher per stimolare la sottoscrizione di abbonamenti di connettività a banda ultralarga deve rispettare alcuni principi: la neutralità tecnologica, la riduzione del digital divide e il supporto alle istituzioni pubbliche.
In questa ottica, un contributo pubblico alla sottoscrizione di abbonamenti per servizi digitali non poteva che essere rivolto in primis agli istituiti scolastici e ai centri per l’impiego, oltre che alle fasce sociali con redditi più svantaggiati.
Da tali premesse scaturisce logicamente il perimetro sulla tipologia di sostegno al digitale delineato dalla Ministra Paola Pisano e dalla sottosegretaria Mirella Liuzzi negli interventi pubblici, alle riunioni del Cobul, nelle audizioni delle commissioni parlamentari.
Una posizione assolutamente coerente e in linea con le recenti determinazioni della maggioranza in commissione IX “Trasporti e telecomunicazioni” della Camera proprio in relazione alla risoluzione approvata sul tema qualche settimana fa che appunto impegnava il Governo a indirizzare le risorse, pari a 1,2 miliardi di euro, in forme di incentivazione che non discriminassero con riferimento alla soluzione tecnologica e fossero rivolti a target precisi di popolazione secondo il principio di sussidiarietà.
Quest’altro tassello si aggiunge e aiuta a completare il mosaico della strategia di innovazione di questo Governo e seppur consapevole che ancora tanto resta da fare per colmare il divario che ci separa con gli altri Paesi Europei è certamente un passo importante nella direzione giusta per raggiungere questo obiettivo.
Formazione e investimenti
Altri due capitoli da affrontare riguardano poi il tema della formazione sull’innovazione e sul digitale e quello degli investimenti anche con capitali di rischio su innovazioni. Questi vengono spesso affrontati separatamente ma credo che siano strettamente interconnessi. In alcuni Paesi la cultura dominante è permeata dall’idea che ogni obiettivo si può realizzare e che nulla sia impossibile: questo favorisce da un lato l’emergere di grandi investimenti in ricerca e sviluppo e dall’altro i risultati prodotti rafforzano questo modello culturale che risulta vincente e attrattivo di nuovi capitali, di nuove idee e di innovatori.
Si è portati a pensare che ciò avvenga solo per i grandi colossi del web, gli over the top, a causa della dimensione immateriale, il digitale appunto, ma in realtà è un clima in cui fioriscono continuamente idee, progetti, infrastrutture, scoperte che pongono questi Paesi tra i più attrattivi per i venture capitalist e per le startup. Tuttavia questo è solo l’aspetto più evidente ma tale mentalità non riguarda solo gli imprenditori, gli investitori, i giovani o i ricercatori ma ogni strato della società. C’è quindi un aspetto culturale indubbiamente decisivo per il progresso del singolo Paese.
L’Italia si dice sia una nazione di inventori e certamente per secoli abbiamo goduto di condizioni di maggior favore per la creazione di innovazione. Oggi la situazione è in ripresa dopo anni di stallo perché finalmente la politica e ampi strati della società hanno compreso che quelle condizioni vanno favorite, anche attraverso un importante sostegno economico pubblico, tanto più in un’epoca di competizione globale e di mobilità internazionale delle persone e delle idee che con esse si spostano alla ricerca delle migliori opportunità per potersi trasformare in realtà che daranno nuova forma alle nostre città, ai modi in cui ci relazioniamo, in cui trasformiamo l’ambiente e ad ogni altro aspetto della società.