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Innovazione, le proposte delle Regioni al nuovo Governo

Dall’abolizione del CAD al reclutamento d’urgenza di profili professionali specializzati in cybersicurezza, passando per la definizione di una roadmap al 2030 per ogni Regione: le dieci proposte e le azioni necessarie per la componibilità delle politiche per innovazione e trasformazione digitale a livello regionale

Pubblicato il 24 Ott 2022

Giovanni Gentili

Coordinatore tecnico della Commissione ITD delle Regioni e Province autonome & Dirigente Politiche di sostegno alla digitalizzazione in Regione Umbria

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In vista della nuova legislatura che si sta aprendo, la Commissione Innovazione Tecnologica e Digitalizzazione (ITD) della Conferenza delle Regioni e Province autonome, ha approvato un posizionamento strategico sulle agende digitali regionali nella programmazione 2021-2027 ed un insieme di proposte al nuovo Governo per accelerare come “Sistema Paese”.

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Indice degli argomenti

Digitale, le proposte delle Regioni

L’unica riforma della Repubblica che possa oggi assicurare la crescita della competitività del Paese e della qualità della vita e dei servizi pubblici passa dal digitale. Partendo da questo assunto, è necessario dare un assetto stabile e funzionale a tutti gli attori istituzionali che si occupano di digitale.

Ad oggi le competenze in materia (di livello strategico, di regolazione tecnica, di attuazione) sono frammentate tra parecchi attori centrali, anche con sovrapposizioni di competenza sia tra gli attori centrali che con i vari livelli territoriali.

Abrogazione del Codice dell’Amministrazione digitale (CAD) e redazione di un nuovo testo unico snello con solo disposizioni di principio

La prima proposta è la revisione di tutte le norme che ostacolano l’innovazione digitale, a partire dall’abrogazione del d.lgs. 82/2005 “Codice dell’Amministrazione digitale” (cosiddetto CAD). Già in occasione della revisione del CAD operata nel 2016 la Conferenza delle Regioni e Province autonome aveva richiesto al Governo l’abrogazione di tutte le disposizioni del CAD che non sono di principio. Purtroppo, dal 2016 ad oggi il CAD è ulteriormente cresciuto con norme di dettaglio, e le linee guida/regole tecniche emanate da AgID, DTD, PagoPA, ecc sono altrettanto numerose e non esiste un repertorio unico di tutta questa regolamentazione sotto forma di soft-law.

Il CAD, nella sua formulazione attuale, è un ostacolo all’innovazione sia tecnologica che organizzativa nelle pubbliche amministrazioni come negli altri settori della società italiana. Inoltre, una revisione urgente del CAD e delle altre norme nazionali su innovazione e digitale è necessaria anche per riportare il ruolo dello Stato nell’alveo di quanto previsto dalla Costituzione all’art.117, lettera r) ovvero nei limiti del “coordinamento (..) dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale”

Istituire una commissione di coordinamento tecnico, unica e stabile in materia di innovazione e trasformazione digitale, tra Stato, Regioni e Province autonome, Autonomie locali

Serve una procedura agile di definizione e manutenzione nel tempo del corpus complessivo delle regole tecniche. Occorre ripristinare un meccanismo di coordinamento, in similitudine alla commissione di coordinamento SPC che aveva il compito di facilitare l’aggiornamento e l’emanazione delle regole tecniche in modo condiviso e unitario. E le regole tecniche vanno riunite in un testo unico, coordinato e facilmente reperibile per gli enti, distinguendo tra le regole destinate agli uffici sistemi informativi e quelle destinate agli uffici che si occupano di erogazione di servizi, di procedimenti e altre attività amministrative.

Lo stesso concetto di Sistema Pubblico di Connettività (SPC), ancora presente nel CAD all’art.73, deve ancora evolvere verso un approccio basato sul cloud. Oggi è proprio il cloud computing con la sua natura decentrata, policentrica e federata, a rendere possibile il disegno originario del SPC. Anche per salvaguardare l’autonomia locale, la neutralità tecnologica e la concorrenza sulle soluzioni ICT destinate alle PA.

Non è più applicabile e adeguato ai tempi un modello “novecentesco” in cui una qualche autorità emana un nuovo adempimento, un avviso, avvia una nuova anagrafe/banca dati centrale, una nuova piattaforma… e decine di migliaia di enti pubblici devono rincorrere l’interpretazione della norma e trovare le risorse per l’attuazione (solitamente imposta “a costo zero”). Non c’è innovazione possibile senza fare un preventivo studio di fattibilità che ne valuti modalità e costi, una definizione del modello di dispiegamento (individuando il livello ottimale di sussidiarietà fin dall’inizio, gli schemi dei dati da scambiare, ecc), una collaborazione leale e piena tra i vari livelli istituzionali per l’attuazione.

Valorizzare le Autonomie regionali e locali, definendo il ruolo delle Regioni e Province autonome nei processi di innovazione e digitalizzazione

Negli ultimi dieci/quindici anni le politiche per la digitalizzazione, soprattutto del settore pubblico, hanno costantemente seguito un modello di centralizzazione. Questo approccio è stato seguito non solo per le infrastrutture digitali (PSN, BUL, ecc) e per le piattaforme nazionali di supporto (SPID, PagoPA, ecc) ma anche per la digitalizzazione dei servizi erogati e per la semplificazione dei procedimenti/procedure degli organismi pubblici.

Bisogna prendere atto che questo approccio centralistico non ha portato a un livello di utilizzo dei servizi on line al pari degli altri paesi europei e neanche all’aumento della qualità dei servizi pubblici come percepita dal cittadino/impresa (lo dicono molte ricerche indipendenti).

Occorre riconoscere un ruolo e una autonomia delle Regioni e Province autonome nei processi di innovazione e digitalizzazione, senza sovrapposizioni con il ruolo strategico esercitato a livello nazionale, e per sfruttare pienamente a livello locale le infrastrutture e le piattaforme di supporto implementate centralmente nei casi in cui questo sia effettivamente il livello ottimale di sussidiarietà. Serve un impianto legislativo sistematico sul ruolo regionale per l’innovazione e la digitalizzazione, e tale ruolo non può essere contrattato caso per caso perché questo porta uno spreco di tempo e risorse. Viceversa, un ruolo chiaro delle regioni su tali materie comporterebbe economie di scala e di scopo.

Sulle piattaforme nazionali sono stati fatti grandi investimenti e ora queste supportano singoli aspetti specifici (credenziali, pagamenti, notifiche, ecc) del macro-processo complessivo di erogazione dei servizi pubblici. Ora diventa essenziale un approccio sistemico alla gestione dei macro-processi, dentro le amministrazioni e tra amministrazioni, e questo quadro si può comporre adeguatamente solo sul livello regionale.

Attivare un reclutamento straordinario d’urgenza di profili professionali informatici specializzati in cybersicurezza e trasformazione digitale

Nel posizionamento approvato dalla Conferenza 22/160/CR6a/C14 in data 03/08/2022 veniva evidenziato che “(..) è essenziale attivare un reclutamento straordinario d’urgenza nei sistemi regionali di profili professionali informatici specializzati in cybersicurezza e trasformazione digitale, prevedendo norme di finanziamento nazionale e/o deroghe ai vincoli esistenti per l’assunzione di tale personale, perché non è possibile aspettare quanto pianificato da qui al 2026 per attuare opportune contromisure sui sistemi attuali; occorre anche valutare una differenziazione di tali profili nell’ambito dei prossimi CCNL nazionali, perché tali posizioni nel pubblico impiego possano essere attrattive di talenti e concorrenziali rispetto al mercato.”

Finanziare un percorso strutturato di dematerializzazione degli archivi

I processi di archiviazione, fascicolazione e conservazione vanno di nuovo valorizzati all’interno delle PA. Naturalmente servono nuovi profili professionali, “archivisti digitali” in grado di coniugare gli aspetti di archivistica con documenti oggi “virtuali” in quanto ospitati da suite nel cloud.

Molte iniziative che puntano a servizi innovativi si bloccano di fronte a “montagne” di pratiche relative ai “precedenti” che sono ancora su carta (e difficili da ritrovare), documenti che sono però necessari per l’istruttoria dei nuovi procedimenti (soprattutto nel settore edilizia). La digitalizzazione dei piani regolatori PRG è ancora una cosa poco diffusa. In molti casi anche documenti che nascono oggi in digitale non sono correttamente meta-datati e conservati in formato strutturato, non vengono costituite adeguate serie documentali/banche dati che raccolgano in modo strutturato tutto ciò che perviene all’ente per un certo soggetto/oggetto (come ad esempio quanto è legato al “fascicolo digitale del fabbricato”, ad una certa impresa, ecc), ecc. … senza questa azione di dematerializzazione e corretta gestione documentale diventa impossibile anche l’impiego di algoritmi di intelligenza artificiale (IA) nelle attività istruttorie dei procedimenti amministrativi per poter diminuire le attività manuali e ripetitive e, di contro, aumentare imparzialità ed efficienza delle PA.

Rimuovere gli ostacoli per la transizione digitale sul 5G e lo sviluppo di applicazioni innovative anche nelle aree più remote del territorio

Nel “Manifesto di Senigallia del 9/5/2022” approvato dalla Commissione Sviluppo Economico della Conferenza delle Regioni e delle Province si evidenzia che “un tassello fondamentale per lo sviluppo delle imprese è rappresentato dalla transizione digitale sul 5G. Si tratta della rivoluzione del futuro che cambierà radicalmente il contesto socioeconomico in cui viviamo, introducendo numerose opportunità in ogni ambito: guida autonoma, smart cities, filiere produttive connesse, telemedicina, sanità ecc. Per evitare di incorrere negli errori del passato con riferimento alla pianificazione energetica, si ha oggi la possibilità di intervenire prontamente per favorire questa nuova tecnologia fondamentale.

È necessario procedere ad una modifica della normativa italiana in materia di emissioni elettromagnetiche, in quanto essa nel recepimento delle direttive europee ha introdotto soglie esageratamente più restrittive. Se non si interviene, tale decisione impatterà pesantemente sulla progettazione delle reti cellulari di nuova generazione escludendo le aree più remote del territorio e aumentando il divario digitale.”

Definire e approvare in ogni singola Regione e Provincia autonoma una “agenda digitale regionale / roadmap al 2030” e attivare un coinvolgimento particolare delle regioni nella costruzione della “roadmap” italiana del decennio digitale

Nella costruzione strategica del PNRR il coinvolgimento delle Regioni e Province autonome è stato molto ridotto, ed iniziano a vedersi le problematiche in fase attuativa. Non occorre ripetere tale errore nella costruzione della “roadmap” nazionale del decennio digitale, ovvero un documento strategico e tabella di marcia sul digitale che ogni stato membro dovrà definire, a breve, in base alla decisione in via di approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio UE.

Il coinvolgimento da parte del Governo delle Autonomie regionali e locali non deve essere solo formale, ma andrà costruita una roadmap nazionale (quella che era la cosiddetta “agenda digitale italiana”) in piena e leale collaborazione e ricercando ogni possibile sinergia tra Piani nazionali 21-27 e Piani regionali 21-27, anche con la declinazione in roadmap regionali (ovvero quelle che si chiamano di solito “agende digitali regionali”).

La Commissione ITD in data 19/07/2021 ha approvato “la necessità di far sì che tutte le Regioni e Province autonome definiscano una loro agenda digitale regionale aggiornata (..) in modo da coordinare gli interventi del PNRR con quelli della programmazione 21-27 (..). Se ci saranno avanzamenti solo di alcune regioni, come Paese non risaliremo la classifica DESI europea.”

Comporre a livello regionale una “agenda digitale regionale / roadmap al 2030” andrebbe a costituire una sorta di “piano regolatore” regionale per la digitalizzazione a livello “smart region” in modo da inquadrare poi tutti gli investimenti sul livello “smart city” per avere linee guida sullo sviluppo locale di servizi innovativi, impiego delle AI/chatbot, sensoristica e fattori abilitanti per la guida autonoma, attivazioni di partnership pubblico privato (PPP), ecc… il cui sviluppo spontaneo comporterebbe, altrimenti, diseconomie, difformità nell’esperienza utente, ritardi di attuazione, disparità territoriali e altre problematiche.

I dati dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano evidenziano un forte divario tra le varie regioni, con ampie differenze anche sulle singole dimensioni considerate dall’indice DESI (connettività, capitale umano, uso di internet, imprese, servizi pubblici). L’analisi delle policy ha anche evidenziato disomogeneità sia nella struttura delle agende digitali che nei contenuti, tra regioni e con il livello centrale, con una particolare carenza in quasi tutte le regioni sull’aspetto relativo alla comunicazione/divulgazione. Queste differenze di impostazione derivano anche dal fatto che non c’è, come detto, un ruolo chiaro definito dalle norme nazionali rispetto ai vari temi di policy, ma occorre, in ogni caso, ricercare una sempre più stretta e strutturata collaborazione tra le regioni per la valorizzazione comune delle buone pratiche, sia tecnologiche che organizzative e sulle soluzioni adottate per la compliance con il complesso quadro normativo esistente.

Revisionare e/o confermare in brevissimo tempo i documenti strategici vigenti in materia di innovazione e digitale

Il nuovo Governo dovrebbe in brevissimo tempo revisionare e/o confermare i documenti strategici vigenti in materia di innovazione e digitale che fanno capo a vari Ministeri, in modo da fornire a Regioni e Province autonome un quadro certo per lo sviluppo delle policy regionali da qui al 2027.

L’assenza di un Ministro per l’innovazione e la digitalizzazione non deve portare ad un minore presidio di questi temi sul livello politico o ad un minor coordinamento tra gli attori centrali cui sono affidate le varie policy e regolamentazioni in materia. Anche il Parlamento non ha ancora una Commissione dedicata ai temi dell’innovazione e della trasformazione digitale.

Senza un quadro chiaro e stabile, diventa problematica la declinazione dei Piani regionali legati ai fondi strutturali 2021-2027 rispetto all’obiettivo “un’Europa più intelligente” (e agli interventi ICT legati agli altri obiettivi) nonché il sollecito avvio della loro fase di attuazione.

Azioni necessarie per la componibilità delle politiche per innovazione e trasformazione digitale a livello regionale

Le azioni per la trasformazione digitale delle PA richiedono un salto di qualità. Dopo gli investimenti fatti in infrastrutture e piattaforme, per una riforma effettiva della PA e la modernizzazione del suo funzionamento occorre costruire un nuovo tipo di “capacità istituzionale” in grado di sfruttare le nuove opportunità offerte dalle tecnologie digitali incidendo sull’organizzazione degli enti per avere servizi proattivi.

Ancora oggi, in molti casi, viene “informatizzato l’esistente” introducendo così nei processi di lavoro ulteriore rigidità invece di efficienza. Anche le piattaforme nazionali (SPID, pagoPA, app IO, PDND, ecc) offrono una serie di strumenti di supporto al front-office ma richiedono di affrontare il cambiamento nei processi di back-office se si vuole che il cittadino veda un cambiamento effettivo nella qualità del servizio erogato. Il problema non è più esporre “servizi on line” di facciata o complementari al vero servizio, ma cambiare nel profondo i servizi pubblici. Digital by default vuol dire che i servizi pubblici vanno ripensati in digitale fin dalla stesura/modifica delle leggi, e questo richiede team multidisciplinari ICT+business ad ogni livello.

Il PNRR e la nuova programmazione 2021-2027 sono l’occasione per un profondo cambiamento di approccio. Negli ultimi decenni le pubbliche amministrazioni hanno accumulato al loro interno un grande “debito tecnologico” e i moderni servizi digitali si appoggiano su un largo strato di sistemi legacy e tecnologie “tossiche”. La riorganizzazione degli enti continua a essere scollegata dalla trasformazione digitale. Le barriere organizzative/regolamentari impediscono la condivisione dei dati o il coordinamento delle risorse allocate in uffici o enti diversi.

È necessario un nuovo tipo di “capacità istituzionale” per avere nelle PA l’agilità e la “componibilità” necessaria all’automazione dei processi, rimpiazzando i sistemi di back-office obsoleti con nuovi sistemi modulari, autonomi, aperti, interoperabili, sicuri.

Solo così la pubblica amministrazione potrà gestire i propri processi ed erogare servizi in grado di rispondere ad un mondo che cambia molto rapidamente ed in modo imprevedibile, nonché adempiere ai mandati dei vertici politici e al crescente numero di vincoli normativi.

Regioni e Province autonome sono l’unico livello istituzionale della Repubblica in cui siano presenti strutture che possano svolgere tale ruolo, in modo da rispondere alle specifiche esigenze locali con politiche place-based e in piena integrazione con le azioni dei fondi strutturali regionali, in sussidiarietà agli enti dei propri territori e democratizzando l’accesso alle tecnologie, con un livello di complessità e scala effettivamente gestibile.

Le Regioni propongono quindi un insieme di azioni “leader” che, se condivise e riconosciute nell’assetto istituzionale che il nuovo Governo dovrà definire (vedi proposte precedenti), potranno svilupparsi nell’ambito delle missioni già individuate dalla Conferenza nei vari posizionamenti già approvati e da portare avanti con una piena collaborazione inter-regionale e multi-livello per rendere sostenibile la loro realizzazione ed il loro completo ed efficace dispiegamento in tutti i territori per incidere sulla qualità dei servizi pubblici.

Costituzione delle reti regionali dei “luoghi di facilitazione digitale”.

Il PNRR prevede alla Missione 1 l’investimento 1.7 “Competenze digitali di base” con l’obiettivo di ridurre la quota di popolazione attuale a rischio di esclusione digitale lanciando l’iniziativa “Servizio civico digitale”, una rete di giovani volontari di diversa provenienza in tutta Italia per fornire alle persone a rischio di esclusione digitale una formazione per lo sviluppo e il miglioramento delle competenze digitali e rafforzando la rete esistente di centri di “facilitazione digitale”.

L’indice DESI 2022 dimostra, una volta su tutte, che il Paese è fermo e bloccato sul fattore “capitale umano”, e quindi è urgente aumentare le competenze digitali di tutta la popolazione con un’azione concentrata e diffusa. Poche “skills” basilari che devono essere di dominio e competenza di tutte le fasce di età dai bambini agli adulti, fino agli anziani. Un intervento che non deve escludere nessuno e, quindi, prevedere il coinvolgimento dei datori di lavoro, delle scuole, delle università, delle associazioni e del terzo settore.

Solo sul livello regionale è possibile attuare una componibilità degli investimenti presenti nel PNRR con altre risorse dei fondi strutturali, e avviare una vera e propria “svolta digitale” che renda l’Italia un Paese “digital ready”. Su questo è possibile prevedere una sinergia con l’attuale iniziativa “Repubblica Digitale” e adottare strumenti come il credito d’imposta e altri finanziamenti sia alle imprese che alle pubbliche amministrazioni.

La BUL dopo la BUL: raggiungere tutti i civici entro il 2030

Occorre ri-orientare le risorse oggi destinate ai voucher connettività ad un contributo per la connettività da distribuire in modo mirato nelle zone in cui la rete è stata realizzata con fondi pubblici (aree bianche) e in cui oggi il tasso di adozione/uso è fermo al 3%.

Nel documento 22/86/CR7a/C14 approvato dalla Conferenza si evidenziava che “sarebbe opportuno considerare le 2 fasce di utenti: quelli già connessi e attivi nel mondo del digitale (con contratti >=30Mbps); Quelli per nulla o poco connessi e non attivi nel mondo digitale (senza contratto o con contratti di connettività lenta <30Mbps), gestendo ambedue le fasce con incentivi mirati. (..) La posizione delle Regioni e Province Autonome è quella in generale di raggiungere quanti più utenti possibili per consentire a tutti il diritto ad una connessione adeguata, un diritto che al pari di altri (sanità, scuola, welfare ecc) oggi dovrebbe entrare nelle prestazioni essenziali da garantire al cittadino”.

Sul livello regionale è possibile comporre le strategie sulla banda ultralarga portate avanti nel PNRR per arrivare a identificare i singoli “numeri civici” che non sono oggetto di nessun intervento, su cui agire in maniera mirata per garantire davvero a tutti il diritto alla connessione.

Unità locali per il potenziamento della cybersicurezza nei sistemi sanitari regionali e a livello di PA territoriale

Nel posizionamento approvato dalla Conferenza 22/160/CR6a/C14 in data 3/8/2022 veniva evidenziato che “fronteggiare a 360° il rischio cybernetico oggi rappresenta una delle priorità per la sicurezza sia a livello nazionale che locale, e come Regioni e Province autonome abbiamo accolto favorevolmente la nascita dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN) ed il fatto che sia stato inserito nel PNRR un investimento di 620 milioni di euro, nell’ambito della Missione 1 Componente 1 Investimento 1.5, per il rafforzamento delle difese cyber del nostro Paese. Nonostante 620 milioni di euro possano sembrare molti, in realtà non sono una cifra risolutiva dei problemi di sicurezza informatica da affrontare, in un quadro la cui criticità è notevolmente peggiorata anche per via degli eventi bellici. Per poter dire di aver messo in sicurezza tutto il sistema Paese dobbiamo riuscire ad agire e difendere fino all’ultima “porta di ingresso” del più piccolo ente locale.

A tal fine Regioni/PPAA vogliono evidenziare alcuni elementi urgenti:

1) (..) Un sistema del tutto centralizzato non può rispondere a tutte le esigenze di sicurezza informatica, che resta una problematica distribuita anche in presenza di una compiuta migrazione al cloud. Regioni/PPAA intendono svolgere un ruolo proattivo, costituendo apposite “unità locali di sicurezza” anche a servizio degli EELL dei propri territori (che hanno specificità e situazioni differenziate di cui tener conto) oltre che per gli enti del sistema sanitario regionale e le altre agenzie regionali, ma questo richiede l’avvio di un percorso strutturato di collaborazione tra Conferenza delle Regioni e ACN;

2) Sugli adempimenti previsti (..) per la classificazione dei servizi di cui alle Determinazioni AgID e ACN, (..) considerata la rilevanza della tematica, si ritiene necessario che ACN proceda ad un aggiornamento e ad una revisione dei servizi digitali da includere maggiormente contestualizzato per le Regioni, attraverso un processo iterativo e compartecipativo che le coinvolga e che consenta di ottenere una maggiore solidità ed adeguatezza della rilevazione nonché, laddove necessario, una potenziale uniformità, rafforzando il valore della classificazione e delle correlate misure di sicurezza;

3) Regioni/PPAA sono disponibili ad attivare un confronto serrato per l’evoluzione di tale attività di classificazione e per chiarire le intersezioni tra le diverse normative che si sono stratificate in materia di cybersicurezza negli ultimi anni e relativi passaggi di competenza, con un percorso condiviso che sia sinergico all’attivazione sistematica e sostenibile nel tempo di attività di “business impact analysis (BIA)” e “risk assessment”, anche in modo da ricercare ogni sinergia possibile tra gli investimenti già effettuati e in larga parte consolidati da Regioni/PPAA e quelli che deriveranno dal PNRR e dai fondi strutturali; (..)”

Abilitazione piena al cloud e nuovo “Sistema Pubblico Cloud”

L’adozione del paradigma cloud computing nelle PA richiede un approccio sistematico e una componibilità che vanno attuati sul livello regionale. Per arrivare ad una piena abilitazione al cloud occorre andare oltre il mero “spostamento di server esistenti” (lift-and-shift) e occorre attivare a livello regionale una vera e propria API & data governance.

Nel posizionamento approvato dalla Conferenza 22/161/CR6b/C14 in data 03/08/2022 veniva espressa piena condivisione sulla Riforma 1.3 <<Introduzione linee guida “Cloud first” e interoperabilità>>, ma in merito agli investimenti necessari alla migrazione e piena abilitazione al cloud dei servizi digitali delle PA, occorre modificare l’art.27 del DL 152/2021 che, pur alla luce della FAQ Arconet n.49, comunque limita il campo di applicazione dei servizi cloud (in particolare quelli di tipologia SaaS) e, inoltre, sembra limitare la possibilità di tradurre CAPEX in OPEX agli investimenti PNRR mentre occorre estenderlo anche a fondi strutturali, fondi sanitari regionali o di bilancio. Se così non fosse, sarebbe davvero limitata la possibilità di innescare percorsi di abilitazione al cloud a livello regionale, anche considerando che al momento non sono stati destinati fondi PNRR alle Regioni/PPAA per tale scopo.

Il sistema delle regioni e delle loro in house può fare da dorsale per un vero e proprio “Sistema Pubblico Cloud” che in logica federata permetta di sfruttare appieno l’abilitazione al cloud, riprogettando le applicazioni, aumentando il livello di sicurezza e governando i dati pubblici (data governance e API management) a supporto di tutti gli enti dei propri territori. In particolare occorre un approccio sistematico e componibile in grado di:

  1. effettuare investimenti nel PNRR e nel FESR per l’abilitazione ai servizi cloud, considerando fin da subito la sostenibilità dei costi che deriveranno nel periodo successivo in ottica TCO (costo totale di possesso nell’intero ciclo di vita);
  2. mettere in campo investimenti sul medio/lungo periodo che mal si conciliano con un’ottica ristretta solo fino al 2026 (termine di applicazione del PNRR);
  3. federare le infrastrutture esistenti e accompagnare aziende sanitarie e gli altri enti nel percorso di riprogettazione necessario ad una vera abilitazione al cloud, svolgendo un ruolo di broker rispetto ai servizi sviluppati dal mercato garantendo al tempo stesso l’applicazione anche nel cloud dei principi di riuso del CAD.

Costituzione delle reti regionali dei “digital innovation hub” (rDIH)

Solo sul livello regionale è possibile “fare rete” tra i luoghi deputati a traghettare le imprese nella “data economy” sostenendo adeguatamente anche i processi di open innovation. Le regioni possono svolgere un ruolo di componibilità tra le strategie nazionali (Transizione 4.0) e quelle proprie degli strumenti della programmazione regionale.

Le regioni possono essere una sorta di marketplace dell’innovazione digitale, un luogo dove fluidificare al massimo, anche con l’utilizzo di strumenti fintech, le relazioni tra inventori, advisor, maker, imprese e investitori”.

Moltissimi ricercatori, o tecnici, con expertise ineccepibili sono fautori di invenzioni tecnicamente straordinarie, che però spesso non rispondono a un bisogno concreto, mancano di una futura clientela e per questo non superano l’orizzonte della famosa “death-valley”. Questo richiede azioni a livello locale, strategie “place based” messe in atto dalle regioni e province autonome attraverso una rete regionale dei “digital innovation hub”.

La sfida è far comprendere alle PMI che l’innovazione non è qualcosa di esclusivo per le grandi imprese, rafforzando l’azione di disseminazione già avviata negli anni dalle regioni.

“Fascicolo Sanitario Elettronico” e “Fascicolo delle pratiche digitali” realizzati a livello regionale per dare accesso a 360° ai servizi pubblici

Le Regioni e Province autonome hanno fatto negli anni grossi investimenti per realizzare a livello regionale il “Fascicolo Sanitario Elettronico”, cui è stato dato nuovo impulso in occasione del PNRR per puntare su un FSE2.0 sempre più completo e in grado di dare ai cittadini una completa, accessibile e consistente esperienza utente per quanto riguarda le prestazioni sanitarie.

Occorre sfruttare l’esperienza, le buone pratiche e le architetture/infrastrutture già implementate per il FSE per realizzare un “Fascicolo delle pratiche digitali” che, in modo analogo, presenti al cittadino una completa, accessibile e consistente esperienza utente per tutte le pratiche delle PA di ogni territorio, anche grazie all’interoperabilità (non solo interoperabilità tecnica) e ad una vera data governance (con una sorta di hub informativo sul livello regionale).

Questa visione è stata proposta dalle Regioni al Governo fin dal 2014 ed emergono varie iniziative in atto che puntano ad implementare la metafora di “accesso unico” per i servizi pubblici attraverso una aggregazione su scala regionale o metropolitana. Le iniziative assumono oggi varie denominazioni ma hanno molti tratti comuni. Questo tipo di iniziative non si sovrappongono con l’app IO nazionale o con il “single digital gateway” europeo, anzi ne sono il necessario complemento.

Per superare le problematiche che nei decenni hanno caratterizzato le iniziative legate a singoli “sportelli unici” (SUAP, SUE, ecc) occorre superare la logica della digitalizzazione legata ai singoli procedimenti, implementando a livello regionale un accesso ai servizi pubblici che eviti la duplicazione/trasmissione di documenti tra PA o cittadino/PA rendendo concreta l’ottica “once only” e del “citizen relationship management” (CRM). Per fare questo occorre integrare i sistemi archivistici, quelli legati alla presentazione di istanze, razionalizzare le informazioni nelle banche dati regionali e nazionali, attivare l’interoperabilità anche a livello organizzativo e semantico, tracciare lo stato del procedimento, mantenere documenti/informazioni quando cambia il fornitore del servizio on line dell’ente X che l’utente aveva usato in precedenza, ecc… e questo lavoro va fatto indipendentemente dalla numerosità di “enti terzi” coinvolti nel procedimento a vario titolo per pareri, ecc.

Questo richiede un approccio sistematico e componibile da attuare sul livello regionale, basato su un “fascicolo pratiche digitali” e su team di supporto a livello territoriale di tutti gli enti coinvolti nei servizi/procedimenti in questione, e con figure multi-disciplinari in grado di svolgere un lavoro continuo di interpretazione/implementazione della normativa europea, nazionale e regionale da coniugare alle eventuali specificità regolamentari locali. Solo in questo modo si potranno cogliere anche le grandi opportunità offerte dall’intelligenza artificiale per l’automazione dei processi e l’impiego di algoritmi nelle attività istruttorie dei procedimenti amministrativi che aumentino imparzialità ed efficienza delle PA.

* L’autore scrive a titolo personale

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