Oggi, le amministrazioni pubbliche guardano al digitale per lo più nell’ottica di quella che si potrebbe chiamare una burocrazia aumentata. Non nel senso di un aumento della burocrazia, beninteso, ma, come per la realtà aumentata, nel senso di un’amministrazione potenziata dalle tecnologie informatiche, e tuttavia conservata nelle proprie forme classiche. In una burocrazia aumentata i cittadini sono telematicamente identificati, richiedono certificati online, li ricevono nelle loro mailbox, accedono con relativa facilità alle informazioni che li riguardano. Senza dubbio un notevole progresso, ma ancora interno al paradigma di un’amministrazione fatta di persone organizzate e procedure basate sull’umano discernimento di informazioni e codici. La burocrazia aumentata non è dotata di alcuna intelligenza propria: il suo comportamento razionale (quando è razionale) emerge dal coordinamento del lavoro intellettuale umano, facilitato da adeguate tecnologie.
Ma oggi assistiamo anche a un nuovo episodio dell’eterno ritorno dell’Intelligenza Artificiale (IA). L’episodio attuale ha come principale protagonista una particolare disciplina chiamata machine learning (apprendimento automatico), e più precisamente alcune tecniche di deep learning (apprendimento profondo) che usano, con poca o nulla supervisione umana, grandi volumi di dati (big data). Queste tecniche sono capaci di abilitare innovazioni industriali come le automobili a guida automatica, creazioni ‘artistiche’ di immagini e musiche (non sempre pregevolissime, per la verità), o eclatanti vittorie a complicati giochi da tavolo. Al di là della risonanza di alcuni successi targati deep learning, è tutta la visione dell’IA a riprendere oggi quota, grazie soprattutto alla crescente disponibilità di hardware, software e dati. Tutto l’armamentario delle diverse tecniche e approcci dell’IA, sviluppato con alterne fortune a partire (almeno) dagli anni ‘60, alimenta oggi nuove aspettative ed è oggetto di massicci investimenti.
Una domanda allora sorge spontanea: possiamo usare l’IA per migliorare la Pubblica Amministrazione? È possibile ipotizzare che l’IA consenta il passaggio da una burocrazia aumentata a una burocrazia virtuale che, come una realtà virtuale, sia in grado di supportare i processi decisionali con un’intelligenza propria, burocrazia aumentataproducendo in silicio gli effetti della burocrazia classica?
A questo tema si dedica da qualche giorno la Task Force dell’AgID, composta da una comunità aperta e un comitato di coordinamento, che dovrà produrre in tempi brevi un documento di sintesi con suggerimenti e raccomandazioni per azioni, pratiche e politiche per mettere l’Italia al passo con i sistemi-paese con cui è chiamata a confrontarsi.
L’idea di una PA che si presenta all’interazione cittadino dotata di integrità logica, informativa e procedurale è già nel CAD, nel concetto di identità digitale, nella posta certificata, in Italia Login, in PagoPA, nell’Anagrafe Nazionale (ANPR) e tanti altri progetti. Il dovere dell’Amministrazione di rendere accessibili e interoperabili i dati del cittadino è già da tempo un luogo comune legislativo. L’IA fa oggi intravedere che l’integralità dell’Amministrazione Digitale (il discorso sul suo attuale grado di sviluppo non rientra tra gli scopi di questo contributo) può fornire la base di nuove e migliori forme di razionalità, fondate sull’interazione tra persone e automi. Molti processi amministrativi potranno essere espletati con un certo grado di automatismo, i dataset che si moltiplicano nella sfera pubblica potranno fondersi in una base di conoscenza, il supporto informativo offerto dai portali potrà evolvere nella capacità di ingaggiare il cittadino a livello linguistico e cognitivo.
Se questa visione sia realizzabile, e a quali condizioni, ce lo dirà la Task Force. Alcuni temi cruciali già si affacciano nella discussione della community. Tra essi, quello della trasparenza e della verificabilità del processo decisionale nel momento in cui questo integri in qualche modo decisioni prese da automi. Osserva Giovanni Pansini che venendo meno la possibilità per il cittadino di comprendere puntualmente le decisioni che li riguardano, ed eventualmente opporsi, gli atti amministrativi sarebbero, ipso facto, nulli. Questo confligge purtroppo con le caratteristiche dei sistemi di deep learning, le cui decisioni sono spiegabili tanto quanto si è in grado di spiegare perché qualcuno ha preso un caffè osservando i suoi neuroni.
Ma per fortuna, l’IA non è solo deep learning. C’è tutto un filone classico, che affonda le sue radici nell’antichità aristotelica, nel calcolemus leibniziano, nella logica novecentesca (da cui nasce l’informatica contemporanea) che è perfettamente in grado di spiegare ragionamenti e decisioni. L’intelligenza logica, tuttavia, nel suo algido rigore, deve operare in uno spazio simbolico definito, in cui si sappia dire cos’è quello che c’è. Per farla lavorare sulla scala di un’organizzazione estesa, ramificata e complessa come la PA, bisogna metter mano, volenti o nolenti, a un’imponente lavoro di concettualizzazione. Come fare questo lavoro in modo praticabile e trasparente è uno dei grandi temi che dovremo affrontare.