Da alcuni anni, forse un decennio, l’intelligenza artificiale pare fare sul serio. Il suo primo mezzo secolo di storia aveva indotto una certa assuefazione alle periodiche previsioni di vistosi successi in tempi brevi, sconfessate da un progresso, continuo ma ben distante dalle dichiarate ambizioni. Diversi degli scenari immaginati, per esempio nella robotica umanoide, erano risultati fecondi più in letteratura e nel cinema che non in ambiti applicativi.
Che ora invece l’intelligenza artificiale paia funzionare ha quindi colto quasi di sorpresa, intaccando uno stratificato scetticismo, e vi è una diffusa impreparazione nel riuscire a leggere l’impatto che causerà nella società umana. Secondo il rapporto IV Industrial Revolution (2016) del World Economic Forum si tratterà di un cambiamento epocale. Nella lista degli ambiti dove il cambiamento sarà più eclatante non compaiono le pubbliche amministrazioni, vi sono piuttosto i trasporti, la logistica, con la messa in pensione di mestieri quali magazzinieri, tassisti, camionisti, consegnatari e portantini.
Curiosamente, uno dei padri fondatori dell’intelligenza artificiale, Herbert Simon, iniziò la sua straordinaria carriera scientifica proprio come studioso della pubblica amministrazione. Uno dei suoi primi saggi, The Proverbs of Administration, derivante dai suoi studi sull’amministrazione della città di Chicago, era una critica serrata alle contraddizioni delle amministrazioni, i cui principi organizzativi potevano essere classificati non meglio che come, appunto, “proverbi”. Fu nell’impresa di delineare una teoria coerente dell’amministrazione pubblica e delle sue decisioni che Simon introdusse il principio di razionalità umana limitata, poi divenuto famoso in economia. Questo stesso principio, collegato allo studio sistematico delle modalità umane di risolvere problemi, in collaborazione con Allen Newell, costituì un caposaldo dell’intelligenza artificiale.
Tornando ad oggi, pur se la pubblica amministrazione non è in cima ai comparti direttamente investiti dall’ondata della nuova intelligenza artificiale, ne ricaverà certamente benefici, soprattutto, si può ipotizzare, in tutti i processi che richiederebbero previsioni. Un caso tipico riguarda prevedere l’effetto di decisioni delle amministrazioni stesse, sia di tipo regolativo che di altro genere. Spesso tali decisioni contengono un elemento di pura scommessa: che i cambiamenti conseguenti alla scelta adottata comportino effettivi miglioramenti in qualche aspetto valoriale per la cittadinanza, fatto che non ha possibilità di una seria previsione, data l’estrema varietà nei valori, anche contrastanti, dei singoli cittadini, a la complessa rete sociale in cui deve interagire l’amministrazione. Vi sono invece casi in cui la desiderata previsione è sulla reazione dei cittadini di fronte a eventi non dettati dalla pubblica amministrazione, ma di cui essa dovrebbe farsi carico per il contenimento di rischi, come per eventi eccezionali. Non ultime vi sono le previsioni di tipo economico, per esempio sugli introiti erariali dell’anno in corso per un comune, che sono elemento necessario per la formulazione dei piani di spesa.
Ci sono sostanzialmente due modi con cui l’intelligenza artificiale può aiutare in previsioni di questo genere: simulando o imparando. A sua volta il simulare ha diverse modalità, tra cui i cosiddetti agenti artificiali paiono particolarmente indicati. Si tratta di persone virtuali con un repertorio predefinito, molto essenziale, di motivazioni, percezione dell’ambiente, e comunicazioni reciproche. Dal 2008, il gruppo diretto da Tom van Engers dall’Università di Amsterdam sta personalizzando agenti artificiali ad interpretare ruoli specifici di interesse per simulare l’effetto di scelte legislative del governo olandese, in materia di riscossione tasse e di servizi all’immigrazione. Esistono diversi modelli di agenti orientati alla gestione pubblica di emergenze come alluvioni, incendi, frane, terremoti, come D4S2 (Dynamic Discrete Disaster Decision Simulation System) sviluppato all’università di Pittsburgh.
Gli agenti artificiali non sono l’ultimo grido dell’intelligenza artificiale, mentre lo è una modalità di imparare, denominata deep learning, divenuta celebre due anni fa per aver sconfitto un campione umano di Go, il gioco cinese considerato molto più complesso degli scacchi. Si tratta di un’evoluzione delle reti neurali artificiali introdotte dagli anni ’80, vagamente ispirate agli intrecci di omonime cellule nel cervello. Nel sistema deep learning che ha vinto a Go non è implementata nessuna strategia intelligente, è semplicemente stato esposto a milioni di partite già giocate, imparando in pratica le mosse che più probabilmente portano alla vittoria. Oggi le pubbliche amministrazioni stanno costituendo serie storiche digitalizzate tali da poter impiegare deep learning nell’imparare strategie vincenti, che, solamente in termini di costi hanno un potenziale di risparmio in Europa intorno ai 200 miliardi di Euro (rapporto McKinsey del 2011).
Difficilmente la nuova intelligenza artificiale potrà regalare a Simon la soddisfazione postuma di una teoria che fornisca alla pubblica amministrazione principi universali al posto di “proverbi”, ma, più pragmaticamente, offrirà un aiuto nell’adattare le sue decisioni e il suo agire alle esigenze della cittadinanza, in assenza di tali principi.