Da tempo si parla di dipendenza dalla Rete: Internet addiction (la sigla è IAD). Spesso però vi è da parte dei genitori una tendenza a drammatizzare, confondendo l’uso eccessivo, comunque problematico, con una vera patologia: malattia che riguarda una piccola minoranza degli utenti della Rete (tra l’1% e il 9%).
Le quattro caratteristiche dell’internet addiction
La dipendenza dalla Rete, a detta dello psicologo Jerald J. Block, è una patologia che si presenta con quattro caratteristiche ben precise.
- Uso eccessivo associato alla perdita della cognizione del tempo e che finisce per far trascurare i bisogni fondamentali come l’alimentazione e il sonno.
- Chiusura verso l’esterno, con sentimenti di rabbia, tensione e/o depressione quando il computer non è accessibile.
- Persistenza, con richieste di nuove dotazioni tecnologiche, migliori software, più tempo per stare al computer.
- Ripercussioni negative, come frequenti litigi con i familiari, facilità nel mentire, ridotta produttività professionale o scolastica, isolamento sociale, stanchezza.
La fascia di popolazione più a rischio è quella degli adolescenti. Raro che si arrivi a sintomi depressivi, però. Spesso si parla solo di “information overload” (qualcuno parla di “infobesità”) o, più prosaicamente, di “technostress”.
I dati sull’uso della rete da parte dei ragazzi
Ma quanto usano la Rete i nostri ragazzi? Possiamo rispondere a questa domanda con dei dati concreti. La ricerca “Indagine sull’uso dei nuovi media tra gli studenti delle scuole superiori lombarde”, condotta dal professore Marco Gui con alcuni colleghi nel 2013, ha fatto emergere un dato interessante: la permanenza online media giornaliera dei ragazzi di seconda superiore è di circa tre ore. Ma è inversamente proporzionale all’impegno richiesto dalla scuola: mentre i ragazzi dei licei navigano per circa 2 ore e 48 minuti in media, quelli degli istituti tecnici lo fanno per 3 ore e 5 minuti, quelli degli istituti professionali 3 ore e 10 minuti, quelli dei Centri di formazione professionale infine superano tutti gli altri con circa 3 ore e 15 minuti al giorno. Altro dato interessante: chi ha genitori stranieri immigrati in Italia naviga di più di chi ha entrambi i genitori italiani.
All’inizio della diffusione di Internet in Italia i risultati erano opposti: i ragazzi dei contesti sociali più avvantaggiati erano i maggiori utilizzatori delle nuove tecnologie. Evidentemente, fa notare Gui, la quantità di consumo di Internet non può più essere considerata un indicatore di inclusione sociale come si faceva all’inizio.
Esistono altre malattie o patologie legate a Internet? Rispetto allo studio di Block citato prima, datato 2008, ci sono state due grossi cambiamenti: l’esplosione di connessioni in mobilità, grazie agli smartphone, e il boom dei social network. Esistono due sindromi connesse a questi fenomeni. La prima si chiama “No.Mo.Fobia”: sta per “no mobile fobia” (la paura di rimanere senza connessione alla Rete da mobile) e la seconda è nota come FOMO (acronimo che sta per “fear of mission out”, la paura di perdersi qualcosa, di essere tagliato fuori).
La No.Mo.Fobia è quindi traducibile come “timore ossessivo di non essere raggiungibili al cellulare”: colpisce per lo più giovani tra i 18 e 25 anni, con bassa autostima e problemi relazionali. Chi ne è colpito può arrivare a sperimentare attacchi di panico con vertigini, tremore, mancanza di respiro e tachicardia in caso di assenza di Rete mobile o di cellulare fuori uso. La No.Mo.Fobia è connessa all’uso eccessivo dei social network: “L’abuso dei social network può portare all’isolamento – spiega Ezio Benelli, presidente del congresso e dell’International foundation Erich Fromm – l’utilizzo smodato e improprio del cellulare può provocare non solo divari enormi tra persone, ma anche a chiudersi in se stesse e a alimentare la paura del rifiuto”.
Uno studio dell’ente di ricerca britannico Yougov mostra che oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (53%) tende a manifestare stati d’ansia quando rimane a corto di batteria, di credito o senza copertura di Rete. In generale l’abuso dello smartphone è un fenomeno diffusissimo: uno studio curato dal centro americano Kleiner Perkins Caufield & Byers’s rivela che, in media, si controlla il proprio telefono almeno 150 volte al giorno.
Collegata alla No.Mo.Fobia c’è anche la FOMO. Tra parentesi l’acronimo è entrato nell’Oxford Dictionary nel 2013. Secondo Annamaria Testa, “fa perdere il senso di sé. Ed è strettamente connesso con un accesso compulsivo ai social media: si va su Facebook appena svegli. Durante i pasti. E un’ultima volta appena prima di addormentarsi. L’unico modo per alleviare lo sconforto generato dal confronto sociale è presentare una versione della propria vita accuratamente editata. Ma c’è un risultato secondario: qualcun altro starà male sentendosi inferiore”.
Che cosa sappiamo della FOMO? Andrew Przybylski dell’università di Oxford, il primo a dare una definizione puntuale del fenomeno, evidenzia che i livelli di FOMO sono più alti nelle persone giovani e in particolare negli individui di sesso maschile. Bassi livelli di considerazione della propria vita coincidono con alti livelli di FOMO. La FOMO è sempre esistita, ma ora è aggravata da un rapporto ambiguo con i social media, che possono portare a vere crisi di astinenza.
Questa sindrome, che deriva quindi da bassa autostima, va combattuta ricreando un rapporto sano ed equilibrato con la tecnologia mobile, e con sé stessi. Circa la metà degli adolescenti ha la sensazione che i loro pari abbiano esperienze più gratificanti. Evidentemente non è così.
Gianluigi Bonanomi
Giornalista hi-tech e formatore sul digitale. Ha scritto saggi e manuali su Internet, PC, smartphone e social ed è direttore della collana “Fai da tech” di Ledizioni. Sito Web: www.gianluigibonanomi.com