Non c’è dubbio che un tema caldo che riguarda la trasformazione digitale sia l’interoperabilità dei sistemi software. Fare in modo che sistemi diversi possano “parlare” tra di loro consente infatti di aumentare in modo considerevole il livello di automazione dei processi. Se lo guardiamo dal punto di vista della pubblica amministrazione, rendere interoperabili sistemi software delle amministrazioni pubbliche vuol dire dare la possibilità di costruire servizi a cittadini e imprese che possono accedere in modo trasparente a porzioni di dati, che sono in possesso di amministrazioni diverse tra loro, ma che sono tutte necessarie per erogare quel determinato tipo di servizio.
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È essenzialmente quello che chiamiamo principio “once only”, secondo cui cittadini e imprese non devono fornire più volte dati che sono già in possesso ad una pubblica amministrazione. È, infatti, compito della particolare pubblica amministrazione a cui ci rivolgiamo preoccuparsi di ottenere dalle altre amministrazioni tutte le informazioni necessarie ad erogare il servizio richiesto.
Rendere interoperabili le pubbliche amministrazioni
Ma rendere interoperabili tra loro sistemi diversi consente anche di strutturare e automatizzare sistemi di raccolta dati prodotti dalle singole amministrazioni, in modo da costruire archivi nazionali centralizzati di dati. Pensiamo ad esempio al caso in cui un ente centrale richiede periodicamente dati a tutta una serie di enti locali: rendendo interoperabili tra loro i sistemi delle amministrazioni che producono quel dato con quello dell’amministrazione che quel dato lo raccoglie, l’intero processo di acquisizione dati può essere semplificato e soprattutto automatizzato.
Grazie ai tanti progetti di trasformazione digitale che hanno permesso di digitalizzare tantissimi processi della PA oggi è possibile immaginare una PA che sia interoperabile al suo interno, che possa scambiarsi dati e che possa essere percepita dal cittadino come un unico soggetto con cui interagire e a cui rivolgersi per richiedere servizi.
Ma rendere interoperabili tra loro le PA vuol dire rendere interoperabili i tanti sistemi software su cui si basa il funzionamento delle amministrazioni pubbliche. E un modo attraverso cui possiamo connettere e rendere interoperabili tra loro sistemi software diversi è la messa a punto e l’utilizzo di API.
La Piattaforma Digitale Nazionale Dati
La PDND, la Piattaforma Digitale Nazionale Dati è stata progettata da PagoPA per conto del Dipartimento per la Trasformazione Digitale e nasce per poter consentire alle pubbliche amministrazioni di pubblicare, all’interno di un catalogo nazionale, tutte le API che decideranno di sviluppare per consentire l’accesso a dati e servizi specifici dell’amministrazione stessa.
Attraverso la PDND, che gestisce, tra le altre, tutta la procedura di autenticazione, le pubbliche amministrazioni potranno accedere e utilizzare quelle API integrandole all’interno dei propri sistemi software, stabilendo così una connessione tra l’ente che possiede e rende disponibile un particolare dato e l’ente che invece quel dato lo utilizza.
Per i comuni che intendono pubblicare API sulla piattaforma, il Dipartimento per la Trasformazione Digitale ha previsto dei fondi messi a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In particolare, si tratta di una dotazione complessiva è di 110 milioni di euro e c’è ancora tempo fino al 19 Maggio per candidarsi, data in cui è stata prorogata la scadenza della Misura 1.3.1 del PNRR per le amministrazioni comunali. Le API dovranno essere sviluppate secondo le Linee guida sull’Interoperabilità tecnica e validate attraverso l’Italian OpenAPI Validation Chacker. Diventa a questo punto fondamentale che tipo di API verranno pubblicate. Va detto che purtroppo il vincolo dell’avviso relativo alla Misura 1.3.1 è relativo esclusivamente al numero di API pubblicate e non invece al loro contenuto. Il rischio, quindi, di sviluppare API che non vengano poi utilizzate dalle altre PA è quindi alto. Il problema non è infatti sviluppare API, ma sviluppare quelle giuste e soprattutto secondo una serie di specifiche tecniche standard. Non ha infatti molto senso che due comuni sviluppino API diverse per dati analoghi. Per non parlare poi di tutta la parte relativa ai metadati: i dati infatti andrebbero confezionati adottando ontologie e vocabolari comuni.
API, suggerimenti e criticità
Ad ogni modo, il Dipartimento fornisce alcuni suggerimenti. In particolare vengono proposti cinque casi d’uso che i singoli comuni possono (se vogliono) prendere come riferimento.
Il primo, va detto, è abbastanza interessante. Si tratta di sviluppare API (su cui sono state già definite e sono già pronte le specifiche tecniche) per consentire ad INPS di alimentare automaticamente il sistema SIUSS (Sistema informativo unitario dei servizi sociali), un sistema centralizzato che consente la gestione coordinata dei benefici assistenziali erogati ai cittadini. Va detto che questo è l’unico caso d’uso dei cinque proposti che va a perorare la causa del “once only”. Il secondo caso d’uso riguarda infatti lo scambio di documenti protocollati. Anche in questo caso le specifiche della API sono già state definite e si trovano nell’Allegato 6 al documento “Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici”. Un terzo caso d’uso riguarda genericamente i dati geografici, senza purtroppo specificarne i contenuti. I comuni avranno così ampi margini di discrezionalità per pubblicare qualunque dato a cui possa essere associata una geometria. Mi auguro che ci siano comuni che decidano di pubblicare dati di questo tipo e soprattutto che questi siano dati in tempo reale (ad esempio i dati sulla posizione dei mezzi del trasporto pubblico urbano) o comunque dati che variano continuamente nel tempo in modo tale da dare un senso ad un accesso via API. Gli ultimi due casi d’uso proposti sono infine orientati alla standardizzazione di dati che ogni comune già conosce bene in quanto già li pubblica sul proprio sito web. Si tratta dei dati relativi all’Albo Pretorio e di quelli relativi alla sezione Amministrazione Trasparente previsti dal d.lgs. 33/2013. In sostanza quello che si suggerisce ai comuni è di intervenire su questa tipologia di dati per renderli conformi alle ontologie proposte nel Catalogo Nazionale Dati.
Comunque vadano le cose, nel migliore dei casi il risultato sarà che la situazione che si verrà a creare sarà inevitabilmente a macchia di leopardo, con alcuni comuni che magari seguiranno i suggerimenti del Dipartimento e attiveranno le API per il sistema SIUSS, altri che attiveranno le API sul protocollo, altri comuni che invece faranno tutt’altro. Apprezzo il tentativo di cominciare a popolare la PDND e ad abilitare servizi basati sull’interoperabilità. Ma onestamente credo che questo tipo di approccio, a fronte di ingenti costi, non possa portare ad alcun risultato strutturale concreto ed apprezzabile.
Credo sia invece fondamentale intervenire già da ora per fare in modo che si possano identificare, progettare e sviluppare API che siano utili a chi integra dati, sviluppa e confeziona servizi digitali. E bisogna lavorare per fare in modo che queste API siano già integrate con i sistemi software in uso nelle varie amministrazioni. Serve pertanto un’accurata progettazione strategica e tecnica per identificare le API giuste e i dati giusti. Ma serve anche lavorare assieme ai fornitori per l’evoluzione in chiave interoperabilità dei loro prodotti. Per arrivare ad una “interoperability by design”, con una offerta di soluzioni software che siano già equipaggiate di API in modo nativo. Per fare tutto ciò diventa fondamentale fare in modo che ci sia una governance chiara e autorevole sulla questione interoperabilità prima che sia, come spesso accade, troppo tardi.