Per ridurre il gap di competenze digitali con gli altri paesi è indispensabile elaborare una visione condivisa di Paese digitale, piuttosto che azioni rivolte a questo o quel settore dell’economia o della Pubblica Amministrazione. La priorità è avviare un processo che metta la componente digitale al centro di un rinnovamento culturale diffuso che miri ad allargare la base dei cittadini digitali.
La digitalizzazione rincorsa
Sulla scia della realizzazione dell’Agenda Digitale, negli ultimi mesi abbiamo assistito ad uno sforzo crescente della Pubblica Amministrazione per offrire nuovi servizi digitali, destinati a rendere più semplice e meno costoso il rapporto tra cittadini e istituzioni. Dal fisco alla scuola, dalla sanità alle imprese. Sul fronte di queste ultime, quasi ogni giorno leggiamo storie di aziende che grazie alle nuove tecnologie e al forte investimento sul digitale, si fanno spazio sui mercati globali. Eppure, il gap digitale tra l’Italia e l’Europa rimane più che significativo e non sembra ridursi, anzi. Secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) del 2018, l’indice che misura i progressi dei paesi europei in termini di digitalizzazione dell’economia e della società, l’Italia è al 25 esimo posto su 28 paesi. Eravamo 24esimi nell’edizione 2016 dell’indice e non abbiamo guadagnato posizioni. Perché?
A mio modo di vedere, hanno ragione quanti sostengono che il ritardo digitale dell’Italia rispetto all’Europa e agli altri grandi player mondiali non abbia a che fare soltanto con le tecnologie. Di fronte ai successi di un “Made in Italy” sempre più affidato alle scelte digitali delle imprese e alle buone pratiche digitali di diverse amministrazioni, la variabile che può fare davvero la differenza è il realizzarsi di una governance digitale del sistema-Paese forte e autorevole. Capace di guidare, e non subire, una trasformazione che non è una moda ma una vera e propria rivoluzione che sta cambiando la società.
L’inclusione digitale di giovani e over 65
Se gli italiani nella fascia di età fra i 35 e i 64 anni – come dicono le statistiche – dimostrano un profilo in media con i valori europei di penetrazione del digitale, la priorità va data alle fasce più giovani e più anziane: i cosiddetti “nativi digitali” e gli “over 65” (questi ultimi oltre 13 milioni in Italia e destinati ad aumentare nei prossimi anni).
Sul primo fronte, dobbiamo valorizzare il contributo di questi giovani includendoli nella crescita digitale delle imprese e nel processo di rinnovamento della PA. Sono loro, infatti, la prima generazione nella storia nata e cresciuta in una modalità di “full immersion” digitale, in cui l’aspettativa di fondo è quella verso un mondo che “by design” deve offrire soluzioni digitali alle esigenze quotidiane.
Questa aspettativa va riempita di contenuto, offrendo percorsi educativi adeguati durante gli studi e opportunità di lavoro corrispondenti alle competenze acquisite. Sapendo che l’eccessivo timore verso la robotizzazione del lavoro può portare a soluzioni sbagliate. Come segnalato (tra gli altri) da Felicia Pelagalli e Marco Bentivogli, studi recenti mostrano che le aziende che hanno investito nel digitale non solo hanno visto crescere le vendite, ma hanno anche creato più posti di lavoro ad elevato contenuto di competenze digitali.
Sul secondo versante, l’inclusione digitale degli over 65 si gioca su una fortissima attenzione alla user experience dei servizi, in chiave di semplificazione. Gli spazi per operare sono enormi e la presenza di una leva di giovani digitalmente competenti, in posizioni-chiave nelle imprese e nella PA, può risultare determinante a questo scopo.
I pilastri su cui poggiare l’Italia digitale
Il percorso fin qui tracciato dall’Agenda Digitale per fornire servizi ai cittadini in modo semplice, sicuro e veloce ha generato frutti visibili. Principi come “mobile first” o “once only” sono entrati stabilmente nelle norme e nelle linee guida che regolano le nuove app realizzate dalla PA. In questo scenario, la prospettiva verso cui lavorare è quella di coltivare due grandi spazi digitali, dedicati al rapporto cittadino-PA e imprenditore-PA.
Entro la fine dell’anno prenderà forma io.italia.it la piattaforma da cui tutti gli italiani potranno gestire il proprio rapporto personale con la PA. Da un anno è già operativa la piattaforma digitale delle Camere di commercio impresa.italia.it, da cui i cittadini imprenditori possono già avere gratuitamente a portata di mano (anzi, di smartphone) le informazioni pubbliche che riguardano la propria impresa.
I pilastri su cui edificare l’Italia digitale stanno quindi prendendo forma e vanno rafforzati da una governance dei processi di trasformazione digitale della società in cui lo Stato e la Pubblica Amministrazione si assumano in pieno la responsabilità di una visione di medio-lungo periodo.
Unire i puntini per fare l’Italia digitale
Per non continuare a disperdere energie e risorse fra una molteplicità di enti ed amministrazioni (spesso in assenza di obiettivi misurabili), la via da imboccare passa anzitutto per la valorizzazione delle esperienze “mature”. Ad esempio, nella digitalizzazione del rapporto tra imprese e Stato, il sistema delle Camere di Commercio può dare un grandissimo contributo grazie a oltre quarant’anni di innovazione tecnologica e culturale nei processi di semplificazione degli adempimenti per le imprese. Grazie anche alla lungimirante introduzione della firma digitale e della posta elettronica certificata, nella “palestra digitale” del Registro delle imprese – una delle best practice non solo italiana in termini di anagrafe economica digitale – negli ultimi venti anni si sono allenate intere generazioni di amministratori, operatori finanziari, intermediari (senza contare le migliaia di funzionari di tante pubbliche amministrazioni). Con il risultato che i professionisti italiani sono oggi i più digitalizzati d’Europa.
Le eccellenze e le esperienze positive che finora il Paese ha accumulato fin qui sono tante. Per fare affiorare il disegno di società digitale che vogliamo essere, è ora di unire i puntini.