Lo scorso 28 novembre a Roma, alla presenza di rappresentanti delle Istituzioni, della politica, di esperti e di business leader del Paese, è stata presentata la terza edizione del Rapporto annuale dell’Osservatorio sulla Trasformazione Digitale dell’Italia fondato da TEHA Group in collaborazione con Fondazione IBM Italia.
Grazie a un innovativo strumento di monitoraggio del livello di digitalizzazione del Paese – il “Tableau de Bord della Transizione Digitale” – e applicando un modello interpretativo olistico, il Rapporto ha fotografato lo sviluppo digitale del sistema-Italia mettendo al centro tre principi fondamentali: l’etica, la sostenibilità e l’inclusione di questi processi.
In particolare, il “Tableau de Bord” rappresenta un modo innovativo di leggere in maniera granulare le tante sfaccettature dei processi di trasformazione e transizione tecnologica che spesso sfuggono dalla rappresentazione data dai tradizionali indici di sviluppo digitale. L’analisi di quest’anno svolta dall’Osservatorio mette infatti in luce elementi di importante accelerazione del nostro Paese e, al contempo, evidenzia chiaramente gli ambiti che stanno frenando il potenziale di modernizzazione digitale di cittadini e imprese fornendo una fotografia affidabile del reale “stato delle cose”.
Il Tableau de Bord 2024: un’analisi dei progressi e dei temi aperti
Il Tableau de Bord rappresenta uno strumento essenziale nel Rapporto 2024 per monitorare e analizzare lo stato della digitalizzazione dell’Italia nel contesto europeo. Questo strumento sintetizza le performance dei vari Paesi in base a diversi indicatori chiave: dal livello di adozione delle tecnologie digitali nelle imprese alla qualità dei servizi digitali nella pubblica amministrazione. Ogni indicatore è accompagnato da dati numerici, che permettono di effettuare una lettura comparativa delle performance.
Digitalizzazione: migliorano cittadini e imprese, rallenta la PA
I numeri chiave che emergono dal Tableau evidenziano miglioramenti dell’Italia nelle dimensioni della digitalizzazione dei cittadini e delle imprese, con miglioramenti nell’indice composito (di 0,11 su 1,00 e 0,02 punti rispettivamente) e invece un rallentamento nella dimensione legata alla PA, con una diminuzione di 0,07 punti nell’indice composito. Inoltre, occorre osservare come negli ultimi 3 anni il gap dell’Italia rispetto alla media europea è diminuito nella digitalizzazione di cittadini e imprese: da 0,23 punti nel 2022 a 0,15 nel 2024 con riferimento ai cittadini e da 0,14 a 0,10 con riferimento alle imprese. Anche in questo caso, emergono punti di attenzione legati al percorso della PA, con un gap ampliatosi nello stesso periodo da 0,11 a 0,24.
In particolare, rispetto all’edizione 2023 l’Italia ha registrato un miglioramento in 6 indicatori strutturali del Tableau de Bord, ovvero:
- la percentuale di famiglie con connessione a banda larga superiore ai 100 Mbps (+4,5 p.p. vs -6,3 p.p. a livello europeo),
- la frequenza di accesso ad Internet per la popolazione in età lavorativa (+1,7 p.p. vs +1,0 p.p. a livello europeo),
- la percentuale di imprese che hanno definito o aggiornato la policy di sicurezza ICT negli ultimi due anni (+8,6 p.p. vs +2,4 p.p. a livello europeo),
- l’utilizzo di Internet degli over 65 sul totale della popolazione (+2,2 p.p. vs +3,5 p.p. a livello europeo),
- il rapporto nell’utilizzo di Internet per livelli di istruzione (+2,0 p.p., rispetto a una variazione nulla a livello europeo)
- e l’utilizzo di Internet per informazioni sanitarie (+0,6 p.p. vs +4,3 p.p. a livello europeo).
Punti di attenzione specifici dell’Italia
Tuttavia, pur migliorando negli indicatori, l’Italia “corre” più lentamente rispetto al contesto europeo. Nonostante i miglioramenti nell’utilizzo di Internet degli over-65 o nell’utilizzo di Internet per informazioni sanitarie (+2,2 e +0,6 p.p. rispettivamente), l’Italia ha perso 1 e 4 posizioni nella classifica europea.
Inoltre, dalla lettura degli indicatori si confermano alcuni punti di attenzione specifici dell’Italia su cui indirizzare policy e azioni dedicate. Basti pensare che solo il 28% delle imprese italiane ha raggiunto un livello di “Digital Intensity” elevato, molto al di sotto della media europea, che si attesta intorno al 40%. Con riferimento al capitale umano, inoltre, l’Italia occupa le ultime 9 posizioni a livello europeo in 3 indicatori (ovvero la frequenza di accesso a Internet per la popolazione in età lavorativa, quota di imprese che incontrano difficoltà nel reperire competenze ICT e quota di laureati in discipline ICT). Un ulteriore dato significativo riguarda la digitalizzazione della pubblica amministrazione: solo il 68,5% dei cittadini italiani interagisce online con la PA, mentre la media UE supera l’80%.
Nel complesso, dal Tableau de Bord e dalle attività di approfondimento e confronto dell’Osservatorio emerge che il ritardo nell’adozione della digitalizzazione in Italia è legato a una combinazione di fattori, tra cui una (i) governance digitale ancora assente o poco efficiente, (ii) una carenza di competenze digitali, e (iii) un contesto regolatorio complesso che rallenta l’implementazione di soluzioni digitali efficaci.
Modelli operativi e governance: la necessità di un coordinamento efficace
La governance digitale è un fattore determinante per il successo della trasformazione digitale in ogni organizzazione, sia pubblica che privata. Le istituzioni pubbliche italiane, tuttavia, presentano una governance digitale ancora poco integrata, con una forte frammentazione tra i vari livelli amministrativi (centrale, regionale, locale): per esempio, l’utilizzo dell’e-government da parte delle imprese varia di oltre 26 punti percentuali tra le regioni migliori e peggiori, mentre il tasso di interazione online con la Pubblica Amministrazione registra un gap di 18,3 punti. Inoltre, solo una percentuale limitata di imprese italiane ha raggiunto una piena integrazione digitale nei propri processi.
Difficoltà strutturali delle PMI italiane
Nel 2023, un dato significativo è la scarsa diffusione del data sharing: solo il 14% delle imprese italiane ha integrato automaticamente i propri processi con clienti o fornitori, un segnale di scarsa capacità di creare ecosistemi collaborativi che potrebbero velocizzare la digitalizzazione. Inoltre, l’Italia occupa il 7° posto in UE per il gap nell’adozione dell’Intelligenza Artificiale tra grandi imprese e PMI, con queste ultime che registrano una quota inferiore dell’80% rispetto alle grandi aziende.
Questo divario evidenzia le difficoltà strutturali delle PMI italiane nell’accesso a risorse tecnologiche avanzate, spesso legate a limitazioni di budget, competenze e infrastrutture, e sottolinea la necessità di politiche mirate per colmare questa distanza.
La PA si distingue per innovazioni legate all’IA
Nonostante le difficoltà, il settore pubblico italiano si distingue per innovazioni legate all’Intelligenza Artificiale, con l’Italia che si posiziona al 2° posto in UE per il numero di sperimentazioni e al 1° per i progetti implementati in ambito di IA. Secondo un’analisi su oltre 1.500 paper accademici, l’adozione di tecnologie come l’IA può portare svariati vantaggi alla PA rendendo i servizi pubblici più efficaci ed efficienti e contribuendo a una gestione più ottimizzata delle risorse pubbliche. A livello europeo, la valorizzazione dei dati nella PA può permettere di risparmiare fino a 1,7 miliardi di Euro all’anno di spesa pubblica, generare oltre 25 mila nuovi posti di lavoro e risparmiare 629 milioni di ore.
Cybersecurity e la protezione delle infrastrutture critiche
La cybersecurity e la protezione delle infrastrutture critiche rappresentano priorità fondamentali per garantire la continuità operativa e la resilienza del sistema-Paese, soprattutto in un contesto in cui le minacce informatiche sono in costante aumento. Alla luce di questo, il settore pubblico emerge come un obiettivo particolarmente vulnerabile, essendo il più colpito dagli attacchi informatici, con 59 episodi registrati nel 2023, pari al 19% del totale. La sicurezza rimane una priorità centrale, con l’adozione di modelli di sicurezza by design (ovvero modelli che garantiscono che il software sviluppato sia sicuro, dalla progettazione fino alla fase di testing) ancora disomogenea tra i vari livelli della Pubblica Amministrazione: solo il 69% nelle istituzioni centrali, il 43% nelle Regioni e il 22% nelle amministrazioni locali. Inoltre, meno del 30% delle amministrazioni locali ha processi codificati per la gestione degli eventi di sicurezza informatica.
Competenze e capitale umano: una priorità per la crescita digitale
Un altro ambito cruciale per la trasformazione digitale riguarda le competenze digitali. Sebbene l’Italia abbia fatto progressi, rimane ancora indietro rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea. Il numero di laureati in discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) è significativamente inferiore alla media europea: la percentuale di laureati in ICT in Italia è infatti dell’1,5% (trentesima posizione in UE), contro il 4,5% della media europea. Questo divario nelle competenze digitali rallenta la digitalizzazione, poiché limita l’accesso di aziende e PA a risorse qualificate.
Skill matching: la difficoltà di allineare domanda e offerta di competenze
Inoltre, l’Italia si colloca al quartultimo posto in UE per skills matching, con un punteggio di 31 su 100, ben al di sotto della media europea di 55. Questo indica una difficoltà nell’allineare le competenze disponibili nel mercato del lavoro alla domanda delle imprese, un problema che rallenta l’integrazione tra formazione e necessità aziendali. Le imprese italiane, in particolare, riscontrano grandi difficoltà nel trovare candidati con competenze digitali: il 46% delle imprese segnala difficoltà per posizioni a bassa specializzazione informatica, una percentuale che cresce fino al 52% per posizioni ad alta specializzazione.
Le sfide della formazione
Anche la formazione delle competenze digitali tra la popolazione adulta è una sfida per l’Italia, che nel 2023 registra solo il 46% di adulti con competenze informatiche di base (24° in UE), un divario che limita la competitività del Paese e una diffusa partecipazione economica e sociale. Inoltre, la sotto-rappresentazione delle donne nel settore ICT (solo il 16% dei lavoratori è donna) evidenzia una criticità di genere che ostacola una trasformazione digitale inclusiva.
Disuguaglianze nelle competenze digitali nella PA
Infine, anche tra le imprese e nella Pubblica Amministrazione si rilevano disuguaglianze nelle competenze digitali. Il 65% delle grandi imprese offrono formazione ICT, mentre la quota si abbassa al 18% tra le PMI. Le difficoltà delle PMI nell’investire in formazione sono legate soprattutto ai costi elevati (per il 25% delle aziende) e alla mancanza di tempo (30%). Nella PA, la formazione digitale è disomogenea tra le diverse Regioni e Comuni, con un divario evidente tra il Nord e il Sud del Paese: nel 2022 la quota di dipendenti che hanno seguito corsi di formazione ICT è stata significativamente più alta nelle Regioni e Province Autonome rispetto ai Comuni (circa 20 p.p. di differenza), con un evidente divario tra Nord e Sud del Paese (di oltre 40 p.p. a livello di Regioni e Province Autonome).
Regolamentazione e normative: strumenti chiave per sostenere l’innovazione tecnologica e digitale
Il contesto regolatorio gioca un ruolo fondamentale nella trasformazione digitale, creando un ambiente sicuro per l’adozione delle tecnologie digitali, garantendo al tempo stesso la protezione dei dati e della privacy.
A livello europeo, la frammentazione delle politiche rappresenta un rischio ed emerge la necessità di maggiore cooperazione tra gli Stati membri per garantire coerenza e sostenibilità nelle normative. La sfida principale è trovare un equilibrio tra la “self-regulation“, in cui le aziende definiscono autonomamente le normative, e la “hard regulation“, che, pur ben delineata, potrebbe rallentare l’innovazione se applicata in modo rigido.
Gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Un aspetto positivo per l’Italia riguarda invece gli investimenti nella digitalizzazione. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha destinato il 25,6% delle risorse alla transizione digitale, con oltre 48 miliardi di Euro, cifra che supera la somma stanziata da Spagna, Francia e Germania (41,3 miliardi). Inoltre, la Missione del PNRR legata alla Digitalizzazione è in testa per spesa sostenuta, con il 44% dei fondi assegnati entro giugno 2024.
La Strategia per l’IA 2024-26
Un’ulteriore novità nel panorama italiano è legato alla Strategia per l’Intelligenza Artificiale per il triennio 2024-2026 pubblicata nel luglio 2024 e che si focalizza su quattro aree, ovvero Ricerca (attrazione e mantenimento dei talenti, consolidamento dell’ecosistema della ricerca, sviluppo di modelli di LLM e LMM), Imprese (sviluppo dell’AI in specifici settori, rafforzamento dell’ecosistema ICT nazionale), PA (maggiore efficienza della Pubblica Amministrazione, semplificazione nella fruizione dei servizi erogati) e Formazione (insegnamento dell’AI a tutti i livelli, programmi di upskilling e reskilling delle risorse).
Al tempo stesso, all’interno della Strategia emergono alcuni punti attenzione, connessi:
- Nell’ambito della ricerca all’elevata frammentazione dell’ecosistema della ricerca (15 università, 3 enti di ricerca AI accreditati, 50 centri di ricerca sparsi sul territorio), al focus sullo sviluppo di modelli nazionali (LLM e LMM) senza fare riferimento agli investimenti richiesti e dei requisiti necessari (dati per l’addestramento), e all’assenza di riferimenti ai modelli di SLM e di Generative IoT, più utili alle imprese italiane;
- Nell’ambito delle Imprese, all’assenza di incentivi specifici per l’adozione dell’AI da parte di imprese/filiere, all’assenza di misure concrete per favorire l’insediamento in Italia di start-up (a meno del fondo di CDP Venture) e alla debolezza dell’industria ICT italiana che non ha una leadership tecnologica sull’AI;
- Nell’ambito della PA, alla poca chiarezza sui campi di sviluppo dell’AI nel settore pubblico e all’assenza di forme di cooperazione tra amministrazioni e incentivi alla condivisione dei dati;
- Nell’ambito della formazione, all’assenza di un obiettivo quantitativo, a differenza di altri Paesi europei (es. Germania), e di incentivi specifici per le imprese che avviano programmi di reskilling e upskilling.
Proposte per accelerare la transizione digitale
Per accelerare la trasformazione digitale in Italia, sono necessarie azioni concrete in vari ambiti, in particolare:
- Regolamentazione e sicurezza: rafforzare l’armonizzazione e l’applicazione delle normative digitali, adottando best practices europee per garantire un ambiente sicuro e conforme alle esigenze della digitalizzazione. In particolare, bisogna promuovere l’interoperabilità tra le banche dati delle piattaforme pubbliche, adottando standard comuni come API e protocolli aperti, e rafforzare le infrastrutture digitali centralizzate (SPID, PagoPA), incentivando la condivisione sicura dei dati tra enti. Inoltre, è fondamentale diffondere l’uso delle sandbox regolamentari per favorire l’innovazione, proteggendo al contempo i consumatori e la concorrenza. Infine, occorre incentivare una co-regolamentazione tra regolatori, società civile e grandi piattaforme, basata sui profili di rischio piuttosto che sulla tecnologia, per permettere alla tecnologia di esprimere il suo pieno potenziale tutelando i diritti.
- Governance digitale: è urgente una riforma della governance digitale che permetta di centralizzare e semplificare i processi, promuovendo la cooperazione tra i vari livelli di governo e incentivando la digitalizzazione nei piccoli comuni. In particolare, è necessario formulare un principio di etica e inclusione per i progetti digitali della Pubblica Amministrazione, ispirandosi al modello del principio once only, a partire dai progetti legati all’Intelligenza Artificiale. Inoltre, è auspicabile un adeguato coordinamento centrale e una visione unitaria nella gestione dei progetti di digitalizzazione della PA, con particolare attenzione a quelli finanziati dal PNRR, ponendosi l’ambizione di introdurre i Livelli Essenziali dei Servizi Digitali (LESD), che garantiscano un’offerta uniforme di servizi pubblici digitali su tutto il territorio nazionale, come già sperimentato dalla Regione Veneto. Infine, è essenziale guidare le PMI nell’evoluzione digitale e nell’adozione dell’IA, valorizzando i network tra imprese per stimolare innovazione e collaborazione.
- Formazione e competenze digitali: l’Italia dovrebbe investire maggiormente nella formazione STEM, incentivando l’ingresso delle giovani generazioni in discipline digitali e creando programmi di aggiornamento per i lavoratori esistenti. In particolare, è fondamentale promuovere il ruolo del Vocational Education and Training (VET) in ambito digitale e IA, attraverso attività di comunicazione e sensibilizzazione. Inoltre, si dovrebbe introdurre l’obbligo di un corso nei curricula universitari ICT sul legame tra digitalizzazione, governance, etica e sostenibilità, e per i corsi non digitali, almeno un corso sull’IA. È necessario prevedere schemi di finanziamento per la formazione continua, come gli Individual Learning Account, per incentivare l’accesso a programmi di alta qualità e colmare i gap di inclusione. Infine, è auspicabile lanciare una strategia per attrarre talenti dall’estero, semplificando le procedure amministrative e offrendo incentivi per l’assunzione di giovani professionisti nelle tematiche digitali, in particolare nella Pubblica Amministrazione.