il commento

L’Agid serve, ma facciamo un Dipartimento in Presidenza del Consiglio

E ci risiamo col gossip. Magari verremo smentiti dai fatti, ma questa notizia su una più o meno imminente chiusura dell’AgID lascia perplessi. Soprattutto, non è questo il modo di risolvere il problema: ci vuole un Dipartimento a Palazzo Chigi, e anche il più in fretta possibile

Pubblicato il 20 Feb 2015

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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Francamente confesso di non essermi appassionato più di tanto di fronte al “notizione” pubblicato da “Italia Oggi” e “MF”.
Il Presidente del Consiglio vuole chiudere l’AgID, dando retta ai suggerimenti del suo Consigliere Guerra.
Sarà. Lo vedremo.
Quello che è certo, è che mai come questa volta – anche se non piacerà al Premier – vale lla pena di dire che “il problema è un altro”.
E si chiama governance.
Niente che non sia già stato scritto più volte praticamente da tutti: manca un Dipartimento in Presidenza del Consiglio dei Ministri. Punto.
Tutto il resto è un mix fra noia, gossip, cattiva digestione di qualche rosicone al quale non pare vero di poter sparare l’ennesima pallottola di inchiostro sulla DG dell’AgID. La quale – vale la pena di ricordarlo – è insediata al sesto piano di Via Liszt da neppure sei mesi.
Anche volendolo, è difficile fare danni in così poco tempo.

Torniamo al punto: manca il Dipartimento.
Manca “uno”, il Capo.
Abbiamo il Digital Champion, il consulenti del Presidente, il consulente del Ministro della PA, i saggi e gli indirizzatori.
Sicuramente tutte persone assolutamente allineate fra loro, in una spettacolare unità di intenti. Non lo mettiamo in dubbio.
Ma anche in questo caso, non è dato sapere “chi detiene il boccino”.
E così succede che nascono siti come il mitico “verybello”. E poco importa, ai giornalisti e ai blogger, che l’AgID non possa fare assolutamente nulla per evitare che nascano. Molto più semplice puntare il dito e dire “tutta colpa sua!”.

E allora facciamolo, ‘sto benedetto Dipartimento!
Prendiamo uno bravo, qualcuno (qualcuna?) con una bella esperienza di mercato, magari maturata fuori dall’Italia.
Gli affianchiamo un altro bravo, qualcuno capace a destreggiarsi fra commi e regolamenti e a muoversi nelle segrete stanze di Palazzo, giusto per evitare che “il nostro” caschi nel trappolone di turno che inevitabilmente gli sarà teso dai non pochi burontosauri in servizio permanente effettivo.
E poi popoliamo il Dipartimento mettendoci dentro uno o più esperti per ciascuno dei macro ambiti istituzionali: interno, difesa, esteri, salute, trasporti, agricoltura, turismo, eccetera eccetera.
Scopo del gioco: mettere in pista uno straccio di Piano. La vision; gli obiettivi; le strategie; i tempi e i modi per l’execution. Le modalità di ingaggio dei player privati. Le metriche per arrivare a un certo punto a capire se quanto si è fatto ha funzionato o no.

Poi, ma solo poi, decidiamo se l’AgID serve o non serve.
Detto che probabilmente ci si accorgerà che serve.
Magari con qualche rimpiazzo, magari con qualche ritocco all’impianto organizzativo.
Ma serve.
Serve a scrivere regole tecniche, serve a mettere in piedi modelli e circuiti virtuosi quali ad esempio “PagoPA”.
Serve ad abilitare lo sviluppo di un modello unitario (non “unico”: pregasi cogliere la sfumatura) di Italia Digitale.

Se c’è un Presidente del Consiglio dal quale ci aspettiamo una sensibilità particolare rispetto al tema, è proprio Matteo Renzi.
Allora, Presidente: lo vogliamo fare, questo benedetto Dipartimento?
Ma soprattutto: lo vogliamo davvero digitale, questo benedetto Paese?

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