Chiedi a un italiano qualunque cosa pensi della nostra sanità e nove volte su dieci finirai a parlare di economia e politica. Non stupisce. Il settore sanitario è fondamentale nel definire lo “stato di salute” di cittadini e Paese. Nel primo caso erogando cure. Nel secondo impiegando gran parte delle risorse a disposizione della collettività. Sono i politici che gestiscono tali risorse — idealmente nell’interesse di tutti. Il problema è che nove volte su dieci la politica sembra sia mossa nel settore sanitario solo dall’interesse di difendere preziose posizioni di potere e dalla volontà di dirottare a beneficio di alcuni l’ingente flusso delle risorse disponibili per la comunità. In ogni spazio di dibattito la sanità è indicata come una pesante zavorra che rallenta lo sviluppo del nostro Paese, un immenso buco nero in cui si disperdono enormi quantità di risorse e non si capiscono le logiche che portano a determinate decisioni piuttosto che altre. Si accende il sospetto che tutto sia governato da comportamenti collusivi e che sanità, politica ed economia si intreccino solo per generare malaffare.
Quello che nove italiani su dieci non sanno è che la sanità potrebbe cambiare enormemente e in meglio sia il volto dell’economia che quello della politica del nostro Paese — orientandole verso la ricerca scientifica, la trasparenza decisionale e lo sviluppo tecnologico. Per capirlo e ricordarselo bene bisogna andare in Pennsylvania e più precisamente a Pittsburgh. Qui si trova UPMC (University of Pittsburgh Medical Center), che — prima di tutto — è uno dei più importanti sistemi sanitari senza scopo di lucro degli Stati Uniti. In un giorno qualsiasi UPMC ammette 700 pazienti, fa nascere 40 bambini, esegue più di 10.000 visite e fa circa 500 interventi chirurgici. 20 ospedali integrati, 400 studi medici e ambulatori, strutture per lungo-degenti e un particolare piano assicurativo hanno permesso a UPMC di promuovere la qualità e l’efficienza sanitaria e di sviluppare programmi di fama internazionale in settori come la trapiantologia, l’oncologia, la neurochirurgia, la psichiatria e l’ortopedia. Con 55.000 dipendenti e un fatturato di circa 10 miliardi di dollari nel 2012, UPMC è tuttavia anche il principale datore di lavoro della Pennsylvania e la più grande azienda dello stato. UPMC investe quasi 300 milioni di $ per il supporto alla ricerca e all’educazione ed è universalmente riconosciuto come l’ente più efficace in tutto lo Stato per la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo di opportunità imprenditoriali. E così, per la nona volta negli ultimi 10 anni, l’azienda è stata inserita nella classifica delle 10 migliori strutture sanitarie di tutti gli Stati Uniti.
Come si spiegano questi risultati? Certamente sono molteplici i fattori da prendere in esame. A me (e credo ai lettori di questa testata) interessa parlare di tecnologie digitali. Queste rappresentano per UPMC la pietra miliare su cui è stato costruito gran parte del successo della struttura sanitaria. Partiamo da qualche numero. Nel 2012 l’azienda ha allocato alle tecnologie digitali circa 300 milioni di $ — pari a circa 250 milioni di € e al 3% del fatturato complessivo. Per capire l’entità di questa cifra sono utili alcuni paragoni con l’Italia. Secondo gli ultimi dati degli Osservatori del Politecnico di Milano, l’insieme di tutte le aziende sanitarie italiane — sia pubbliche che private — spende in tecnologie digitali circa 900 milioni di €. UPMC da sola eroga quasi un terzo di questa cifra, operando su un territorio di riferimento comparabile, per numero di assistiti, all’insieme di Lombardia e Piemonte. Le differenze sono abissali.
Al di la dei numeri, le tecnologie digitali hanno letteralmente rivoluzionato non solo il modo di UPMC di fornire servizi ma anche il volto economico-politico della stessa Pennsylvania. Un esempio su tutti? Parliamo di Business Intelligence (BI). Le soluzioni di BI consentono di navigare e analizzare l’insieme di dati presenti all’interno e all’esterno della struttura sanitaria, supportando il personale clinico e amministrativo nella presa di decisioni. Il supporto può essere passivo o attivo. Nel primo caso — quello meno evoluto e più diffuso anche nel resto del mondo — le persone hanno intuizioni che verificano grazie alla soluzione di BI, trovando o meno conferma nei dati. Nel secondo caso è direttamente la soluzione di BI ad avere “intuizioni”, analizzando continuamente e autonomamente i dati e scovando relazioni statisticamente significative da proporre a clinici e amministrativi.
UPMC ha capito molto tempo fa l’importanza della BI e ha storicamente investito in questa tecnologia. Grazie a questi investimenti, l’azienda è attualmente una delle poche al mondo a potersi permettere di portare avanti concrete sperimentazioni di supporto attivo alle decisioni. Già oggi tali sperimentazioni consentono di fare diagnosi estremamente accurate, altamente personalizzate sui pazienti ed economicamente sostenibili. Inoltre, la vertiginosa crescita dei dati raccolti e delle capacità di calcolo con cui fare inferenza rendono la BI sempre più efficace e usata in UPMC.
I benefici non sono tuttavia registrati solo a livello aziendale. L’orientamento di UPMC verso il supporto attivo alle decisioni sta condizionando l’economia e le decisioni politiche dell’intera Pennsylvania. Per esempio, le sperimentazioni di BI sono condotte con Watson, il famoso super-computer di IBM, e stanno indirizzando il tessuto imprenditoriale locale verso l’innovazione digitale e lo sviluppo di tecnologie complementari alle soluzioni di BI — quali RFId, dispositivi mobili, cartelle cliniche, ecc. — ora divenute l’oggetto principale delle attenzioni e degli incentivi della classe politica del Paese. UPMC è stata anche promotrice della creazione di un orientamento di studi sulla BI della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, oltre che di “Living Analytics”, un’iniziativa di ricerca congiunta tra Carnegie Mellon e la Singapore Management University sui temi degli analytics, che favorisce le relazioni internazionali della Pennsylvania e le collaborazioni di ricerca e sviluppo su temi ad alto contenuto scientifico-tecnologico.
E non ci si ferma alla Pennsylvania. UPMC sta realizzando una rete commerciale per condividere la propria esperienza medica e tecnologica attraverso il sostegno a nuove società, lo sviluppo di rapporti finanziari strategici con alcuni tra i maggiori gruppi multinazionali del mondo e l’espansione sui mercati internazionali, tra cui l’Irlanda, il Regno Unito, il Qatar e l’Italia. Nel nostro Paese UPMC ha da anni steso una partnership con Regione Sicilia per la gestione amministrativa dell’ISMETT, uno tra gli ospedali più digitalizzati d’Italia. Da gennaio di quest’anno anche il Centro di Radioterapia ad Alta Specializzazione San Pietro FBF è gestito dalla multinazionale sanitaria americana. Oltre a portare in entrambe le strutture le proprie competenze di gestione delle soluzioni di BI e di altre tecnologie digitali, UPMC ha recentemente sviluppato insieme agli Osservatori del Politecnico un modello che consente di misurare la maturità di un sistema di BI in ambito sanitario. Tale modello consentirà di impostare anche nel nostro paese dei percorsi di evoluzione verso una cultura analitica basata sulle tecnologie digitali, su un supporto sempre più attivo alle decisioni e su una gestione maggiormente efficace ed efficiente delle risorse dell’intero sistema sanitario.
In un futuro non troppo lontano mi piacerebbe che, chiedendo a un italiano qualunque cosa pensi della nostra sanità, nove volte su dieci si finisca a parlare — senza indignarsi — di ricerca scientifica, trasparenza decisionale e sviluppo tecnologico. Esattamente come succede in Pennsylvania. Quando dieci volte su dieci si parlerà anche di tecnologie digitali, articoli come questo saranno superflui. Non vedo l’ora di diventare superfluo.