Gli Albi on line delle PA italiane sono pubblicati in modo serio e affidabile e, soprattutto, in linea con le esigenze della legge? Sembrerebbe di no nella maggioranza dei casi, anche alla luce della recente indagine di ANORC[1] alla quale già su queste pagine si è accennato. E infatti arrivano le prime interrogazioni e i primi dubbi… e prima o poi arriveranno anche le prime sentenze.
C’è da dire quindi che, nonostante il momento non sia propizio – il Governo ha in questi giorni annunciato con la nuova Legge di Stabilità tagli del 50% alle spese del settore ICT per la pubblica amministrazione – appare doverosa una riflessione sulle procedure e in particolare su quelle di pubblicazione on line, a garanzia della trasparenza della macchina burocratica e della tutela dei diritti dei cittadini.
La normativa in materia di documentazione amministrativa obbliga già da tempo le pubbliche amministrazione a favorire una maggiore efficienza delle procedure e l’accesso telematico ai documenti e ai dati pubblici prodotti dalla PA.
Se con la legge 241/1990 in materia di procedimento amministrativo è stato sancito per i cittadini il diritto di prendere visione e di estrarre copia dei documenti le cui finalità siano considerate rilevanti per il pubblico, l’articolo 32 della Legge 69/2009 ha poi incentivato il progressivo superamento della forma cartacea imponendo agli enti pubblici di pubblicare sui propri siti istituzionali gli atti e i provvedimenti amministrativi, allo scopo di garantire il rispetto degli obblighi di pubblicità legale.
Le finalità sottese erano e sono quelle di consentire una maggiore efficienza dei servizi snellendo le procedure burocratiche, per facilitare la fruizione e il reperimento della documentazione da parte del cittadino richiedente, il quale dovrebbe così essere messo nella condizione di monitorare l’iter procedimentale e interagire con l’amministrazione comodamente da remoto.
Uno degli strumenti con i quali gli enti locali sono tenuti a espletare tale servizio è la pubblicazione dei documenti nell’albo pretorio – che da luogo fisico di affissione è divenuto una sezione dedicata della pagina del sito istituzionale – secondo tempistiche e con requisiti formali precisi.
AgID ha predisposto nel 2011 un Vademecum sulle modalità di pubblicazione all’Albo[2], sottolineando come tale procedura richieda una pianificazione preventiva delle attività in termini di modalità di pubblicazione, accesso ed eventuale acquisizione, tempi di pubblicazione, trattamento dei dati, archiviazione dei documenti, con l’ausilio di personale addetto e figure responsabili in possesso di specifiche competenze.
Attraverso un’interfaccia – che dovrebbe essere intuitiva e facile da usare – il cittadino può così consultare, ad esempio, bandi di gara, avvisi, provvedimenti, pubblicazioni di matrimonio, i cui tempi di pubblicazione sono disciplinati dai singoli statuti e regolamenti locali e fissati generalmente nei quindici giorni successivi alla data di pubblicazione.
Il legislatore, consapevole del valore e delle conseguenze giuridiche che comporta tale procedura, che deve conformarsi ai termini di avvio e conclusione del procedimento amministrativo, si è preoccupato di emanare uno specifico DPCM (26 aprile 2011) sulla pubblicazione di bandi, avvisi e bilanci e di “ogni atto e provvedimento concernente procedure ad evidenza pubblica”.
In particolare, il documento pubblicato nell’Albo conclude o avvia un procedimento amministrativo e il rischio di nullità dell’atto dev’essere perciò assolutamente prevenuto. Affinché sia possibile ritenere l’atto autentico e integro e ne sia garantita l’immodificabilità, è assolutamente necessaria l’apposizione della firma digitale del Responsabile del procedimento di pubblicazione – capace così di attestare con certezza la provenienza e la conformità del documento all’originale, sigillandolo appunto con l’unico strumento consentito dalla normativa primaria (ai sensi dell’art. 24 comma 2 del Codice dell’amministrazione digitale) – e l’utilizzo di un formato idoneo anche all’archiviazione e alla conservazione del documento nel lungo periodo.
Nonostante i processi di produzione e pubblicazione documentale siano disgiunti – anche se la pubblicazione in formato elettronico dovrebbe logicamente presuppore che il documento originale sia nativo digitale – le strategie tecnologiche utilizzate a garanzia della legalità dei due processi dovrebbero essere le stesse. Ma quello che invece spesso succede – anche secondo quanto emerso dalla già citata indagine sui siti della PA, condotta dall’ANORC – è di trovarsi a visualizzare nell’Albo una copia informatica di un documento analogico (quindi acquisita con un semplice processo di scansione), magari nel formato proprietario e ormai superato .doc e comunque sprovvista della firma digitale del pubblico ufficiale che ne attesti la conformità all’originale.
Inoltre, per quanto attiene ai certificati di matrimonio e alle istanze di modifica del nome o del cognome, riteniamo utile ricordare che il legislatore è stato particolarmente esplicito circa la necessità di sottoscrizione digitale del documento, affermando, inoltre, che il procedimento di pubblicazione è diretto a dare “pubblica conoscenza e pieno valore legale, agli atti e provvedimenti indicati per legge, anche quando formati da terzi, attestando nel contempo la conformità di quanto pubblicato con l’originale, l’autorevolezza dell’ente emanatore, l’autenticità, la validità giuridica, e l’inalterabilità, la preservazione del valore giuridico e probatorio e la conservazione nel tempo dei documenti pubblicati”[3].
In ultimo, non è possibile ignorare le disposizioni del Garante privacy[4] in materia, che confermano l’opportunità della firma digitale per la contestualizzazione dell’atto pubblicato on line, imponendo anche per questa delicata attività di pubblicazione telematica un trattamento dei dati personali che sia “pertinente, completo e non eccedente” rispetto alle finalità che si perseguono e che garantisca anche il diritto all’oblio dei dati, in modo tale che essi non possano essere più rintracciati attraverso i motori di ricerca una volta scaduti i tempi di pubblicazione all’Albo.
Tutto questo lo si sta facendo? O si continua a confondere la pubblicazione nell’Albo con le ragioni (che hanno presupposti e finalità completamente diversi) della trasparenza contenute nel D. Lgs. 33/2013?
Il rischio, lo ribadiamo, è l’inesistenza giuridica di ciò che si pubblica senza rispettare le precise regole imposte dalla normativa (oltre la possibilità di effettuare illeciti trattamenti di dati personali).
L’obiettivo a cui tendere è sicuramente quello della produzione di documenti nativi digitali, che possano quindi essere acquisiti, distribuiti e gestiti dai vari uffici in modo automatizzato e accuratamente archiviati e resi accessibili agli utenti in modalità elettronica.
I riferimenti normativi sono molteplici e precisi, ma scarsi sono invece gli investimenti economici destinati all’acquisizione di idonei strumenti informatici e all’inclusione nell’organico della PA di personale specializzato. Senza tali presupposti non è possibile avviare un processo di cambiamento in grado di incidere in maniera significativa sulla qualità dei servizi offerti (ormai obbligatoriamente) on line e capace di disincentivare così gli sprechi e velocizzare i tempi di espletamento delle pratiche amministrative.
[1] L’indagine è stata condotta sui siti di 20 Comuni capoluogo di Regione e su quelli di 20 Comuni selezionati in base al numero maggiore di residenti
[2] Linee guida per i siti web della PA: Modalità di pubblicazione dei documenti nell’albo online – Vademecum, DigitPA, versione 2011.
[3] Circolare del Ministero dell’Interno, n. 13 del 21 aprile 2011
[4] “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati” (pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 134 del 12 giugno 2014)