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La cura all’assenteismo PA è lo smart working: uno studio del Polimi

Dopo il caso del Comune di Sanremo, molti invocano badge, tornelli e controlli tecnologici per i dipendenti della PA. Sbagliato: il problema si risolve migliorando la produttività. Secondo una indagine dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano in collaborazione con Doxa, oltre il 40% delle attività possano essere svolte- in molti casi anche meglio- fuori dall’abituale postazione di lavoro

Pubblicato il 28 Ott 2015

Mariano Corso

Presidente P4I e membro del Board Scientifico Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

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Sull’onda della giusta indignazione per i fenomeni di assenteismo – o meglio di truffa ai danni dello Stato – al Comune di Sanremo, in molti invocano badge, tornelli e controlli tecnologici per forzare i lavoratori del Pubblico Impiego a rispettare gli orari di lavoro. Benché comprensibile in relazione all’entità del malcostume che l’episodio ha fatto emergere, questo dibattito mette impietosamente in luce il basso livello di cultura del lavoro nella Pubblica Amministrazione – e non solo – del nostro Paese.

La vera soluzione all’assenteismo non sono nuove e ancor più ferree regole per imporre la presenza sul posto di lavoro, ma una diversa cultura del lavoro ancorata ad un’etica del servizio e dei risultati. Del resto un fannullone sul luogo di lavoro è forse meno evidente, ma costa e danneggia l’organizzazione quanto o più dell’assenteista. La vera soluzione allora non è incatenare i dipendenti pubblici alla scrivania, ma cercare di motivarli e misurarli sui risultati e poi, se questi ultimi sono inadeguati, sanzionarli o in casi estremi licenziarli. Di fronte a situazioni paradossali come quelle di Sanremo viene da chiedersi, quali obiettivi erano stati dati a quei dipendenti comunali? Come erano misurati e valutati da colleghi dirigenti? E’ possibile che la situazione sia venuta alla luce solo a fronte di una indagine da parte della guardia di finanza?

Il problema della scarsa competitività della Pubblica Amministrazione non si risolve con i tornelli, ma migliorando la produttività. Tra i principali problemi che spiegano la scarsa produttività ci sono proprio la rigidità dell’organizzazione del lavoro e l’arretratezza dei modelli manageriali. I modelli di organizzazione del lavoro, in particolare, così come i contratti e le relazioni industriali che li regolano, sono ancora in gran parte fermi ad un’impostazione che è figlia di un’era tecnologica diversa dove i concetti di luogo e orario di lavoro sono rigidi e intesi come condizione e misura stessa dell’essere “al lavoro”. Ma da quando la rivoluzione digitale ha trasformato il nostro modo di comunicare, informarci e relazionarci, la presenza fisica in un luogo e in un orario non è più condizione necessaria – e in realtà neanche sufficiente – per produrre valore. L’indagine svolta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano in collaborazione con Doxa, mette in luce come oltre il 40% delle attività possano essere svolte – in molti casi anche meglio – fuori dall’abituale postazione di lavoro. La mancanza di flessibilità nei modelli di organizzazione del lavoro, quindi, non solo mette i lavoratori in condizioni di non poter soddisfare le proprie esigenze, ma non permette nemmeno alle organizzazioni di migliorare la produttività valorizzando le capacità e caratteristiche personali delle persone. Bisogna cambiare, occorre diffondere anche nella Pubblica Amministrazione lo Smart Working: ripensare il lavoro in un’ottica più intelligente, mettere in discussione i vincoli legati a luogo e orario di lavoro, responsabilizzando le persone sui risultati e lasciando loro poi maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro. Autonomia, flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia diventano i principi chiave di questo nuovo approccio al lavoro.

Le esperienze a livello internazionale dimostrano come lo Smart Working sia uno strumento potente che permette di ottenere risultati estremamente positive per aziende, lavoratori e la società nel suo complesso. In Italia siamo partiti tardi ma l’effetto positivo sulle prestazioni di iniziative di Smart Working si è rivelato anche più significativo che in altri Paesi. La ragione sta paradossalmente nel fatto che l’introduzione dello Smart Working nel nostro Paese è culturalmente più sfidante perché richiede di lavorare su alcune caratteristiche e abitudini dei manager nel nostro Paese che, oltre ad aver limitato in passato la diffusione di politiche di flessibilità, costituiscono una fonte di perdita di motivazione e produttività. La scarsa propensione a misurare e valutare i collaboratori in base ai risultati e la tendenza a pianificare poco e gestire per urgenze, ad esempio, sono alla base di una cultura che premia il “presenzialismo” e distrugge talento e produttività. Introducendo forme di autonomia e flessibilità, viceversa, lo Smart Working impone ai capi di modificare i propri stili manageriali, programmando le attività e misurandone i risultati in base a indicatori oggettivi. Questo può essere tanto più vero all’interno della Pubblica Amministrazione in cui lo Smart Working può essere l’occasione di ritrovare il senso di orgoglio e responsabilità legato all’essere al servizio della collettività, e si possano riscoprire quei giacimenti nascosti di entusiasmo ed energia sepolti da decenni di abbandono e gestione manageriale burocratica e svogliata

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