“Le Smart Cities più ‘smart’ d’Europa? Copenaghen, Amsterdam, Helsinki e Santander stanno facendo cose molto interessanti” spiega Peter Madden, Chief Executive Officer della Future Cities Catapult di Londra. Non a caso le prime due occupano i gradini più alti del podio, nella Top 10 delle Smart Cities in Europa.
E allora perché, cercando buone pratiche europee sul tema, guardare al modello inglese? Innanzitutto perché Londra riveste un ottimo settimo posto nella summenzionata classifica, con picchi di eccellenza per quanto riguarda le “start up”, il numero di “open data set” e la “smart economy”, che valgono il primato nelle diverse categorie. Inoltre, e soprattutto, perché da poco più di sei mesi il Regno Unito ha avviato l’interessante esperienza della Future Cities Catapult, un centro globale di eccellenza sull’innovazione urbana, fondata dal Technology Strategy Board con uno stanziamento di 50 milioni di sterline in cinque anni (a cui si aggiungeranno ulteriori ingressi dal settore privato, che dovrebbero portare i finanziamenti per il centro a 150 milioni).
Nel sistema delle sette “Catapult” britanniche, quella dedicata alle Future Cities si propone come un luogo dove le città, le imprese e le università si uniscono per sviluppare soluzioni innovaive alle esigenze future degli agglomerati urbani. “Si tratta di un nuovo centro d’innovazione fondato dal Governo con l’intento di far dialogare i tre motori dello sviluppo, accademia, business e centri urbani, per sostenere l’innovazione – spiega Peter Madden –. L’obiettivo è sostenere progetti che da un lato siano utili per le città e per i cittadini e dall’altro siano in grado di produrre occasioni di business”. Perché ciò sia possibile è necessario che il sistema città lavori compatto verso un obiettivo comune. Si tratta di una grande possibilità, ma anche di un grande impegno, spesso troppo complesso perché una singola città riesca ad affrontarlo da sola. Ecco perché è nata la Future Cities Catapult.
Troppo spesso le città prendono decisioni che si rivelano in contrasto le une con le altre: si cercano soluzioni per la viabilità rendendo più facile la vita per le automobili e si creano problemi di salute per le persone; si utilizza energia per mantenere un edificio fresco accanto a un edificio che si cerca di tenere al caldo; si costruiscono case a chilometri di distanza dai posti di lavoro. “È necessaria una visione integrata dello sviluppo delle città, ma spesso le città non dispongono delle tecnologie necessarie – spiega Madden –. Inoltre, non basta introdurre nuove tecnologie, come l’“Internet of Things” o piattaforme di Cloud Computing, è necessario aiutare le istituzioni a capire come il mondo sta cambiando, quali sono le nuove sfide e i mezzi a disposizione per affrontarle. Questo è il nostro compito”.
La Future Cities Catapult lavora in stretto contatto con le amministrazioni di Londra, Glasgow, che ospita il Future Cities Demonstrator, Bristol e Manchester, tanto fornendo linee generali di indirizzo, quanto su progetti individuali.
“Cerchiamo di dar vita a progetti replicabili – racconta Peter Madden –. Ad esempio stiamo lavorando allo sviluppo di Open Data Platforms e Data Stores con diverse città inglesi, perché siamo convinti che le città del futuro debbano avere un’Open Data Platform ben strutturata; crediamo sia una risorsa importante per fornire servizi ai cittadini e sostenere lo sviluppo dell’impresa. Al momento stiamo sviluppando Open Data Platform con diverse amministrazioni, al termine del percorso cercheremo di capire qual è il sistema più funzionale e poi lo renderemo replicabile e cercheremo di diffonderlo”.
Mettendo assieme analisti e scienziati, esperti di ambiente e antropologi, economisti e architetti, puntando a un’innovazione collaborativa, la Future Cities Catapult opera attraverso tre “step”: dimostrare l’esistenza di un’opportunità e provare che funziona; favorire l’innovazione attraverso la collaborazione e rimuovere gli ostacoli alla “scaling-up”.
La Catapult ha poco più di sei mesi di vita, non si può ancora parlare di primi risultati, ma ci sono alcuni progetti in corso che aiutano a capire come funziona il sistema e quali sono i primi obiettivi che si è posta. “Abbiamo inviato a Manchester dei ‘data fellow’ per aiutare la città a comprendere il potenziale offerto dal controllo dei dati e capire come i dati possono essere utilizzati per sostenere lo sviluppo economico della città e come possono essere condivisi a livello nazionale. A breve manderemo altri ‘data fellow’ in altre città, cercando di far tesoro dell’esperienza maturata a Manchester – racconta Madden –. Un altro progetto a cui stiamo lavorando, con le associazioni dei ciechi e con Microsoft, mira a migliorare la vita dei non vedenti nelle città, attraverso tecnologie di navigazione e geolocalizzazione e applicazioni sviluppate sugli Open Data, per risolvere il problema dei trasporti”.
Il modello adottato dalla Future Cities Catapult è un modello aperto, che mira ad ampliare il raggio di azione dalle “smart cities” alle “smart communities”, per arrivare a parlare di “smart countries”.
“Si lavora sulle città perché sono il luogo in cui la popolazione tende a convergere e perché rappresentano lo spazio ideale dove applicare queste tecnologie, ma l’obiettivo è quello di travalicare i confini delle città – conclude Peter Madden –. Inoltre non si può parlare di smart cities se non ci sono politiche ‘smart’, piani mirati e ‘smart citizens’. La collaborazione è il motore essenziale dell’innovazione, noi lavoriamo con città e centri di innovazione in giro per il mondo: oltre che con le smart cities europee, recentemente abbiamo avviato alcuni progetti con Singapore e New York”.